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logo su18 Pietro Danise parla di CASE DELLA SCIENZA                                

Nell'interessante intervista "La scuola è una tela di Penelope? Tiriamo le fila" il coordinatore nazionale di Scienza Under 18 parla di Case della Scienza.

Eccone l'estratto

Quali soluzioni proponete?

Noi pensiamo che bisogna partire dalla valorizzazione delle buone pratiche e dei talenti professionali dei docenti, elementi che, a nostro avviso sono già presenti in abbondanza in tutte le scuole, basta cercarli. In estrema sintesi pensiamo alla creazione di luoghi, che potremmo chiamare Case della Scienza (o forse più propriamente Case del sapere scientifico della scuola), dove anno dopo anno, vengano depositati, documentati in modo opportuno e resi disponibili per tutti, docenti e studenti, i progetti ritenuti dalla stessa comunità educante più significativi in termini di efficacia didattica. Con l’attenzione però, e qui si apre la ricerca, che, a differenza dei Musei classici (Science Center compresi) che espongono per mostrare fenomeni, le Case della Scienza dovranno essere soprattutto luoghi dove si mostra e si ragiona su come insegnare quei fenomeni. Le Case dovranno diventare, quindi, un riferimento per la formazione dei docenti. E’ chiaro che non pensiamo a un’azione solitaria della Scuola; al contrario le Case della Scienza avranno bisogno, a più livelli, dell’apporto e della collaborazione scientifica e pedagogica del Ministero dell’Istruzione, dell’Università, di Associazioni professionali, di esperti museali, Enti (Comuni, Provincie), Fondazioni ecc. Vedere per esempio l’esperienza delle Maisons pour la science in Francia.

Parliamo comunque di Case della scienza, al plurale, perché, a seconda delle condizioni locali e delle possibilità, si possono sperimentare modelli diversi: sicuramente alcune Case potranno  trovare posto all’interno delle scuole, ma pensiamo anche a “spazi pubblici” donati da Comuni, da Musei o altre istituzioni.

Avete pensato a spazi virtuali?

E’ chiaro che per noi che pensiamo che per imparare Scienza occorra “mettere le mani in pasta”, la creazione di “biblioteche di progetti scientifici materiali” (il riferimento è La Library of experiments ancora di Frank Oppenheimer), è l’opzione principe; ma, ben sapendo che oggi i “luoghi materiali” convivono con i “luoghi virtuali”, pensiamo che sia molto utile affiancare alle Case della Scienza che riusciremo a costruire anche uno spazio virtuale complementare, una sorta di archivio che raccolga progetti di qualità e di eccellenza.

 qui sotto e nell'allegato il testo integrale dell'intervista

 

La scuola è una tela di Penelope? Tiriamo le fila

 

Intervista a Pietro Danise, Coordinatore scientifico di Scienza under 18 (Su18)

 

Quali sono i principi che ispirano Su18?  

 

Siamo partiti 24 anni fa dalla considerazione, rivoluzionaria per quei tempi, che la Scuola non è un sistema isolato che riceve la Scienza istituzionale e la trasmette agli studenti tale e quale ma è, piuttosto, un ambiente creativo che produce una forma particolare di Scienza, che noi abbiamo denominato sapere scientifico della scuola, che può dialogare con l’esterno.

 

L’introduzione di questo punto di vista ci ha permesso di liberare un potenziale enorme già presente e operante all’interno della Scuola. Infatti, avere, come docente, la coscienza e la consapevolezza che nel tuo lavoro giornaliero non stai “trasmettendo Scienza preconfezionata” secondo un copione prestabilito, ma stai “ri-creando Scienza” capace di dialogare, attraverso i processi cognitivi attivati e attraverso i prodotti realizzati in classe, con le altre agenzie formative da un senso nuovo al tuo ruolo e, di conseguenza, al ruolo e alla vision dell’Istituzione Scuola.

 

 Come avviene questo dialogo?

 

Chiaramente può avvenire in vari modi e in questi anni ne abbiamo proposti diversi. A mio avviso, la nostra idea più efficace, quella cioè che ci ha permesso di fare un vero salto di qualità, è stata quella di abbattere “la quarta parete della scuola” creando manifestazioni di comunicazione pubblica della scienza nelle quali gli studenti di ogni ordine e grado mostrano ad altri studenti, ai docenti, ad esperti di ogni campo e, perché no, anche a un pubblico generico, i progetti sulla Scienza realizzati in classe: exhibit (soprattutto) ma anche manufatti, modelli, simulazioni, giochi, video, fotografie scientifiche, rappresentazioni di teatro scienza  ecc. Con il linguaggio moderno questi progetti possono essere definiti progetti STEAM. Le manifestazioni in genere si svolgono a maggio, ma, abbiamo verificato che purtroppo, i progetti presentati, una volta ritornati all’interno delle scuole, prima o poi, vengono dimenticati e/o distrutti per cui ogni anno si ricomincia da capo.

 

 Si può parlare di una vera e propria “amnesia” della scuola in particolar modo nelle materie scientifiche?

 

Il discorso è molto complesso, perché riguarda i modi in cui a scuola si forma e si trasmette la conoscenza scientifica a livello esperto per cui non parlerei solo di amnesia. Io partirei da due eventi avvenuti, più o meno contemporaneamente, negli ultimi decenni del secolo sorso che, a mio avviso, potrebbero fornirci qualche spunto per fare delle ipotesi operative.

 

Il primo riguarda le ricerche di Bruno Latour che, entrando nei luoghi della produzione della scienza, scoprì che c’è uno scarto sistematico tra la Scienza raccontata dagli stessi scienziati che la producono e la Scienza in azione che loro stessi praticano. Da questa scoperta possiamo ipotizzare che oggi esista uno scarto, quanto e come colmabile non è dato sapere, anche tra il sapere scientifico della scuola raccontato e il sapere scientifico della scuola in azione.

 

Il secondo riguarda la rivoluzione nella comunicazione scientifica museale promossa da Frank Oppenheimer secondo il quale la comprensione di un fenomeno passa attraverso l’interazione esperienziale.

 

A mio avviso, rientrando nell’ambito scolastico, questo secondo elemento, che sta comunque contribuendo notevolmente al rinnovamento della didattica della Scienza, deve fare i conti con il primo, cioè con lo scarto tra il racconto che oggi si fa della didattica e la didattica in azione. Non si tratta quindi di curare una   semplice amnesia, ma piuttosto si tratta da una parte di rivedere la narrazione  del sapere scientifico della scuola e dall’altra di pensare a come conservarlo e a come renderlo disponibile per la comunità educante.  

 

Quali soluzioni proponete?

 

Noi pensiamo che bisogna partire dalla valorizzazione delle buone pratiche e dei talenti professionali dei docenti, elementi che, a nostro avviso sono già presenti in abbondanza in tutte le scuole, basta cercarli. In estrema sintesi pensiamo alla creazione di luoghi, che potremmo chiamare Case della Scienza (o forse più propriamente Case del sapere scientifico della scuola), dove anno dopo anno, vengano depositati, documentati in modo opportuno e resi disponibili per tutti, docenti e studenti, i progetti ritenuti dalla stessa comunità educante più significativi in termini di efficacia didattica. Con l’attenzione però, e qui si apre la ricerca, che, a differenza dei Musei classici (Science Center compresi) che espongono per mostrare fenomeni, le Case della Scienza dovranno essere soprattutto luoghi dove si mostra e si ragiona su come insegnare quei fenomeni. Le Case dovranno diventare, quindi, un riferimento per la formazione dei docenti. E’ chiaro che non pensiamo a un’azione solitaria della Scuola; al contrario le Case della Scienza avranno bisogno, a più livelli, dell’apporto e della collaborazione scientifica e pedagogica del Ministero dell’Istruzione, dell’Università, di Associazioni professionali, di esperti museali, Enti (Comuni, Provincie), Fondazioni ecc. Vedere per esempio l’esperienza delle Maisons pour la science in Francia.

 

Parliamo comunque di Case della scienza, al plurale, perché, a seconda delle condizioni locali e delle possibilità, si possono sperimentare modelli diversi: sicuramente alcune Case potranno  trovare posto all’interno delle scuole, ma pensiamo anche a “spazi pubblici” donati da Comuni, da Musei o altre istituzioni.

 

Avete pensato a spazi virtuali?

 

E’ chiaro che per noi che pensiamo che per imparare Scienza occorra “mettere le mani in pasta”, la creazione di “biblioteche di progetti scientifici materiali” (il riferimento è La Library of experiments ancora di Frank Oppenheimer), è l’opzione principe; ma, ben sapendo che oggi i “luoghi materiali” convivono con i “luoghi virtuali”, pensiamo che sia molto utile affiancare alle Case della Scienza che riusciremo a costruire anche uno spazio virtuale complementare, una sorta di archivio che raccolga progetti di qualità e di eccellenza.

 

 E gli studenti, che ruolo potranno svolgere, oltre a quello di visitatori accompagnati dagli insegnanti?

 

Tenga presente che per noi di Su18 gli studenti devono essere sempre protagonisti, quando si trovano in classe o in laboratorio, ma soprattutto quando comunicano all’esterno i loro progetti; per questo le biblioteche di progetti scientifici dovranno essere accessibili anche agli studenti in autonomia, non solo guidati dagli insegnanti;  anzi, potranno essere gli studenti stessi a fare da guida ai loro coetanei, realizzando così quella Peer Education che sperimentiamo con successo nelle nostre manifestazioni.

 

 Un’ultima domanda: a chi si rivolge questo ambizioso progetto, oltre agli insegnanti e a chi opera nella scuola?

 

Un documento con la sintesi del progetto ha già suscitato l'interesse di molti docenti della nostra rete, di Università e di Associazioni per cui stiamo pensando di organizzare per settembre/ottobre un "tavolo di progetto" per mettere in comune forze, idee ed esperienze.

 

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