LABORATORI “Ho imparato nel Movimento di Cooperazione Educativa, dalla tradizione del ‘laboratorio adulto’, dalla pratica dell’ ‘animazione’ con quelli che per me sono stati maestri, come Giorgio Testa. E ho imparato davvero provando io stesso ad animare e progettare laboratori formativi ed esercitando pensiero critico sull’esperienza fatta. La parola laboratorio, soprattutto avendo a che fare con la scienza, evoca l’immagine (vero stereotipo culturale) di esperimenti e provette. Invece in un contesto formativo ciò che voglio portarmi dietro del laboratorio scientifico è l’idea costitutiva di luogo dove si parte dalle domande per costruire ipotesi di risposta in una dinamica sociale, organizzando strumenti e contesti adeguati di ricerca; un ‘dispositivo pedagogico’ (per ricordare un altro dei miei maestri, Riccardo Massa). Se competenza significa saper utilizzare in un contesto problematico il sapere e il saper fare, le competenze si sviluppano solo in un contesto problematico. Perciò il laboratorio è un luogo di sviluppo delle competenze. Il laboratorio è prima di tutto un luogo ‘mentale’, non nel senso dell’introspezione, ma al contrario nel senso di ‘culturale’, che comprende l’aspetto sociale; tanto è vero che per anni ho proposto un laboratorio sull’azione del pensare che era un interagire dei pensieri.
I laboratori sono qualcosa che accade ed è difficile ‘comunicarli’. Posso forse solo fare degli esempi, raccontare le loro storie. I laboratori sono storie aperte, perché non so mai come i partecipanti reagiranno. In un certo senso progettarli è ‘pericoloso’: rischio di crearmi delle aspettative su come dovrebbero andare e quindi di valutare le reazioni dei partecipanti sulla base delle mie aspettative, rendendomi più difficile l’ ‘ascolto’. Ma anche per improvvisare devo avere un tema e un canovaccio e, prima ancora, uno sfondo. Lo sfondo è la rete concettuale ed epistemologica di quel determinato campo di conoscenze. Ogni proposta si muove attorno a uno o ad alcuni dei nodi della rete e prevede uno sviluppo che è stato studiato con criteri di economicità delle idee, di coerenza logica, di propedeuticità, di correttezza scientifica. É lungo questa linea ideale (nel senso delle ‘idee’) di sviluppo che ho predisposto le domande, i materiali che fanno loro da supporto, le eventuali spiegazioni, rappresentazioni, formalizzazioni. Il percorso cognitivo dei partecipanti è possibile che sia meno lineare, più tortuoso. Lo svantaggio è ovviamente la non linearità; il vantaggio, decisivo, è che quello è il loro (di ciascuno/a e del gruppo) effettivo percorso di apprendimento, che risponde al loro stile cognitivo, alla loro epistemologia, alle loro premesse culturali. Per proporre i laboratori ad altri possibili conduttori provo a usare la forma della ‘sceneggiatura’, intesa come canovaccio su cui improvvisare. La componente prevedibile è quella che segue la ‘linea ideale’ e si concretizza in una serie di interventi che chi conduce può predisporre. Tuttavia l’ordine degli interventi e la loro opportunità dipende dalla valutazione che farà in relazione allo sviluppo effettivo dell’interazione. Ma la ‘sceneggiatura’ riporta anche la parte che è prevedibile solo per approssimazione e che ha preso forma sulla base di esperienze precedenti: si può dire che è il comportamento più adeguato alla conoscenza che i partecipanti potrebbero agire, quello che cerco di cogliere e utilizzare quando si manifesta o che cerco di provocare, di innescare, ma sempre attraverso domande, problematizzazioni, stimoli, controesempi ecc. e non sostituendo la mia risposta alle loro.” Laboratorio evoluzione Un esempio LABevo |
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