Giovanna Carli -
Marisa Giunti - Marcello Sala Il senso
dell'aria una comunità scientifica in ricerca PARTE I: LA STRUTTURA DEL
LABORATORIO Lo
sviluppo del laboratorio che abbiamo condotto è risultato dalla composizione
di due direttrici di lavoro: quella della ricerca scientifica e quella della
relazione individuo-gruppo. La
prima, che ha largamente tratto ispirazione dal laboratorio "Le domande
dell'acqua" dell’anno precedente, aveva come oggetto l'elemento aria e
come ambito la "scienza del quotidiano" ovvero una relazione cognitiva
con una realtà fatta di oggetti e situazioni prese da, o riproducibili in,
una dimensione quotidiana (siamo circondati da fenomeni che aspettano solo di
essere interrogati dalla nostra curiosità). Dunque si è osservato,
manipolato, si sono fatte ipotesi, costruite teorie e si sono messe in gioco,
il gioco della scienza, che è tentare di mettere ordine senza conoscere prima
qual è l'ordine, ma anche scoperta che apre ad altre domande. Un gioco non solo
intellettuale, dal momento che il viaggio alla ricerca del senso, nella relazione tra il soggetto
e l'oggetto della conoscenza, è passato attraverso i sensi, non solo usandoli come strumenti, ma mantenendoli come
canali di relazione non di dominio con le cose. Su
questa direttrice della ricerca scientifica le domande guida sono state
"che cosa ho visto? che cosa è successo? come me lo spiego?". Ma
c'è una quarta domanda "che senso ha?" che porta a incontrare
l'altra direttrice perché non vuole prescindere dal contesto attuale:
"che senso ha qui e ora per noi?". Il "qui e ora"
era appunto il contesto in cui avveniva la ricerca dei "che cosa? come?
perché?" della conoscenza. La suggestione era quella di una piccola
comunità scientifica che però si interrogava sul proprio essere tale: quale
specificità portano l'oggetto e il contesto della ricerca nel modo di
condurla da parte di un gruppo? e dunque quali sentimenti mette in gioco il
gioco della scienza? e soprattutto quali modalità di interazione e quali
coloriture affettive caratterizzano l'operare di una piccola comunità scientifica,
diversamente da altri gruppi di lavoro? Ci si è interrogati sul rapporto tra
percorsi personali ed elaborazione collettiva (conflitto, diversità, integrazione…),
sulla relazione tra identità personale, identità di genere, identità di
gruppo. Concretamente ogni
incontro di laboratorio si è articolato in tre momenti: un'esperienza cognitiva
centrata su uno dei sensi, un set di situazioni da osservare e manipolare per
elaborare una conoscenza codificata verbalmente attraverso modalità ogni
volta diverse di organizzazione e interazione, una rielaborazione dei vissuti
sulla relazione tra processi di conoscenza e dinamiche affettive e relazionali. I
SENSI E L'ARIA
Un'esperienza guidata di
movimento individuale in gruppo ha proposto il tatto come contatto con
l'aria dentro il corpo e alla superficie del corpo, e l'aria come mezzo
interno e mezzo esterno che sta tra il proprio corpo e l'altro. Un gioco basato sugli
odori ha portato ad usare l'olfatto come canale-strumento privilegiato
in un circuito senso-motorio di relazione con l'ambiente. L'udito era il
senso sollecitato dai suoni prodotti da strumenti costruiti con materiali
"poveri" e suonati dal movimento dell'aria. Alla vista si è
stati sollecitati a ricorrere per sostenere la relazione immagine-forma-movimento
in una sorta di percorso circolare dall'osservazione del movimento alla sua
fissazione in immagini grafiche, alla loro rilettura, alla costruzione di
immagini interne capaci di dare forma ad un movimento del corpo.
Insieme al tatto (e alla propriocezione)
la vista è stata il canale attraverso cui trovare la relazione di gruppo con un oggetto dotato di una
sua dinamica di movimento in un gioco in cui la recettività e la reattività
erano le forme di conoscenza[1]. Anche se questa
possibilità non è stata esplorata nel laboratorio, ciascuna di queste
esperienze poteva aprire un percorso di ricerca scientifica, nel senso di
porre domande sui fenomeni e sulla loro spiegazione. LA COMUNITà SCIENTIFICA IN RICERCA Il comportamento di palline da ping-pong in un flusso
d'aria, il funzionamento di macchine capaci di produrre flussi d'aria, la
dinamica di un sistema di due palloncini gonfiati, il movimento di oggetti di
varia forma nell'aria, sono stati, in estrema sintesi, l'oggetto di
esplorazioni-sperimentazioni che hanno caratterizzato i quattro incontri. Ad ogni esplorazione la
ricerca del "come" e del "perché" era abbinata una
modalità di organizzazione, ad una forma di interazione degli individui nel
gruppo e dei gruppi. Nel primo incontro ad una fase di interazione libera si
è pian piano sovrapposta la dinamica del rapporto con l'autorità rappresentata
sia da un "testo scientifico ufficiale" sia dal ruolo assunto da un
conduttore. Nel secondo è stata proposta la "confutazione" come
forma codificata di interazione in uso nella comunità scientifica (ha origini
nella scolastica medioevale) volta a perfezionare una teoria attraverso un
esame critico. Nel terzo incontro i gruppi composti su base di genere sono
stati chiamati a competere tra di loro e a collaborare al loro interno. Nel
quarto la composizione dei gruppi ha posto di fronte al compito di costruire
un prodotto comune sulla base della diversità delle esperienze fatte. LA RIELABORAZIONE COLLETTIVA
Nel primo incontro chi
conduceva il laboratorio ha intenzionalmente messo i partecipanti dentro un
gioco senza che loro ne fossero consapevoli: lo spiazzamento vissuto ha
fornito il materiale per una rielaborazione che partiva da una asimmetria di
punti di vista rispetto all'osservazione. Dal successivo incontro le
"regole del gioco" erano esplicitate nella proposta di lavoro come
"compiti" e modalità particolari; in questo senso la funzione
osservativa veniva restituita ai/alle partecipanti che hanno potuto intervenire
"alla pari" alla fase di rielaborazione. L'incontro
"meta" di rielaborazione finale è avvenuto su due livelli. Per
quanto riguarda la ricerca scientifica
si è chiesto di costruire per piccoli gruppi spontanei una mappa della conoscenza
dell'aria sulla base di un "dossier" che era stato aggiornato
ad ogni incontro. Per quanto attiene l'esperienza formativa si è utilizzato
un questionario in cui si chiedeva di riportare le emergenze, positive e
negative, dell'esperienza di laboratorio, i propri vissuti e riflessioni
sulle dinamiche relazionali, sulla conduzione, sul guadagno formativo
("cosa mi porto a scuola"); le risposte, o almeno alcune di esse,
sono state messe in comune, Tutto ciò in qualche modo era già contenuto nel progetto
del laboratorio e ne configura la struttura. Ma che cosa è andato a riempire
questa struttura, quali sono stati gli “attesi imprevisti”, e quindi che cosa
abbiamo imparato dalla storia particolare di questo laboratorio, così come si
è svolto in quel tempo, in quel luogo, e con quelle persone? PARTE II:
LA STORIA DEL LABORATORIO LE
DINAMICHE INDIVIDUO-GRUPPO NELLA COMUNITà
SCIENTIFICA Ciò che si è manifestato
nel primo incontro è stata una dinamica di aggressione-difesa. Uno dei conduttori
recitava la parte dell’ “autorità scientifica” in una forma di “teatro
invisibile” in cui i/le partecipanti non erano consapevoli della “finzione”;
in questo contesto ha posto il problema del confronto con la teoria
“giusta”. Il gruppo ha reagito come se gli errori e le mancanze della propria
teoria fossero elementi di giudizio e di svalorizzazione
di sé. È interessante notare come, di fronte alla “minaccia esterna”,
si sia verificato il compattamento di un gruppo a partire da un insieme di
persone che erano appena all’inizio della loro esperienza comune. All’interno del gruppo vi erano persone competenti che
avrebbero potuto sostenere un conflitto con l’autorità nel merito della
questione, ma non l’hanno fatto. Ci si può chiedere quanto ciò sia dovuto
all’esigenza di mantenere la solidarietà del gruppo su una base di parità,
rinunciando a differenziarsi in una posizione di superiorità, e quanto sia
stato subìto e abbia giocato nella relazione il pre‑giudizio
sull'infallibilità dell’autorità scientifica. Si tratta di un pre-giudizio
perché la teoria "giusta" era in realtà difettosa e lacunosa; ma,
di fronte all’autorità della scienza, il gruppo, invece di attaccarla, ha di
fatto difeso una propria teoria anche se debole. Gli esiti di questa
dinamica, resa visibile e fatta oggetto di discussione nel gruppo nella fase
di "restituzione", sono divenuti evidenti nell’incontro successivo.
Qui era stata proposta la "confutazione" come modalità di interazione
molto formalizzata e finalizzata esplicitamente al miglioramento della teoria: dopo la fase di
esplorazione di un fenomeno vengono elaborate per scritto ipotesi di spiegazione
individuali; un membro del gruppo espone la propria teoria e gli altri hanno
il compito di formulare osservazioni critiche precise, per tenere conto delle
quali la teoria viene riformulata, sia da parte dell’autore sia da parte del
critici. Se nel primo giro di confutazione in sottogruppo
l’attenzione era centrata sul contenuto della teoria, quando il gruppo intero
ha confutato la teoria esposta da una volontaria é divenuta evidente agli occhi
di chi osservava una dinamica sempre pia aggressiva in cui il contenuto scientifico
diventava un pretesto: significativo ad esempio che, nonostante gli
interventi in questo senso di chi conduceva, non venisse rispettata la
formalità nella esposizione delle critiche richiesta dalla "regola del
gioco". Il gruppo in sostanza stava attaccando chi in quel momento, per
la sua collocazione asimmetrica (fisicamente si trovava “di fronte" al
gruppo), rappresentava l’autorità. Ma la rappresentava nello spazio affettivo
del gruppo, non nella struttura di relazioni della situazione proposta.
L’esigenza di riscatto dalla dinamica svalorizzante precedentemente subìta diventava
un agìto di "vendetta": i termini
"capro espiatorio”, "gioco al massacro", "scannare",
sono stati usati dagli stessi/dalle stesse partecipanti quando sono stati invitati
a osservare la situazione da un punto di vista più "esterno". Nel terzo incontro ogni
gruppo aveva il compito di elaborare una teoria su uno stesso fenomeno e chi
conduceva aveva creato un contesto di competizione ("una commissione
valuterà"). La situazione di collaborazione nel gruppo e competizione
tra gruppi era stata sovrapposta alla tematica della differenza di genere.
L’idea era di comporre gruppi omogenei per genere; poiché però l’unico gruppo
di uomini comprendeva gli unici due uomini, è stato chiesto ad un gruppo di
donne di “fare la parte di” un gruppo di maschi. Il ruolo di questo gruppo è
stato determinante perché le caratterizzazioni e le dinamiche imperniate
sulla differenza di genere che gli altri gruppi hanno semplicemente agìto, qui sono state fatte oggetto di esplicita
riflessione e intenzionalità consapevole. Per “fare i maschi" le donne
hanno deciso di caratterizzare il loro lavoro con una più forte centratura
sul compito, sul prodotto, anziché sulla ricerca della mediazione più
accettabile: maschile secondo loro era il non “accontentarsi”, come invece
hanno riconosciuto a posteriori di aver fatto le femmine "vere". I due maschi, da parte loro, come prodotto finale hanno
presentato due teorie diverse. E questo è stato subito letto come segno di
irriducibile competitività e incapacità di collaborazione tipicamente maschile;
tuttavia, poiché i due avevano lavorato insieme per quasi tutto il tempo in
un fitto interscambio, ci si è domandati se questa lettura non fosse frutto
di uno stereotipo che rischiava di non considerare la differenziazione del
prodotti come positiva, non solo dal punto di vista del compito, in termini
di ricerca scientifica cioè, ma anche del lavoro di gruppo. LA
CONOSCENZA SCIENTIFICA SITUATA IN UN CONTESTO DI
GRUPPO
Nella prima produzione individuale, le "carte
d’identità dell'aria", il linguaggio letterario e il registro umoristico-poetico suggerito dal compito hanno fatto da
contenitore ad una giustapposizione e ad un intreccio di nozioni, percetti, emozioni,
vissuti, dati concreti, attorno all’oggetto aria. Vi si trovano anche tracce
del lavoro precedente sul contatto e il respiro. Alla richiesta di come rendere questi contributi
individuali un patrimonio collettivo la proposta che è emersa dal gruppo è
stata di raggruppare il materiale essenzialmente in due categorie:
"scientifico" e "narrativo fantastico". Questa
classificazione, che non appare corrispondere alla complessità del materiale,
risponde ad uno stereotipo potente di separazione che si sarebbe dimostrato significativo
nel prosieguo del lavoro. è
utile confrontare queste "carte d'identità" con i
"trattati" scritti nel quarto incontro. In questo caso ciascun
sottogruppo di 4 persone doveva produrre un "trattato sui movimenti
dell'aria e nell'aria" a partire dalle esperienze fatte dalle persone
del gruppo provenienti da precedenti sottogruppi che avevano lavorato
ciascuno con materiali diversi. Il problema era come utilizzare per una conoscenza
comune la diversità delle esperienze cognitive delle singole persone. Questa
conoscenza individuale aveva un supporto grafico dal momento che alla fine
delle esperienze dei primi quattro gruppi con i quattro tipi di materiale a
disposizione era stato chiesto a ciascuno/a di fissare le impressioni di movimento
su un foglio bianco con matite e colori. Il passaggio dai disegni
individuali al testo scritto collettivo testimonia una notevole perdita di informazione,
un impoverimento della varietà nell'utilizzazione di modelli poetico-umoristici, che sembrano funzionare da stereotipi. Sembra di poter individuare due versanti del problema. Da
una parte il linguaggio espressivo grafico è più capace di rappresentare
l’esperienza, la relazione vissuta con l’oggetto nella sua complessità e
ricchezza di dettagli. In questo senso è più vicino alla “descrizione
scientifica”. Qui purtroppo lo stereotipo dell’ “aridità" del linguaggio
scientifico sconta la povertà dei modelli forniti dai nostri libri di testo
rispetto alla prosa coinvolgente che molti ricercatori e divulgatori,
soprattutto di cultura anglosassone, dimostrano di saper usare nei loro
testi. Il linguaggio verbale appare come una scorciatola verso l'espressione
intenzionale del significato; ma per contrarre la comunicazione occorre appoggiarsi
sui significati comuni ed é più facile utilizzare stereotipi. Questa interpretazione va
collocata sullo sfondo della storia di questo gruppo, il che riporta
all'altro versante del problema: la forma del "trattato",
sottraendosi alla pesantezza del giudizio giusto/sbagliato cui era stata sottoposta
la "teoria" nel confronto con l’ “autorità scientifica” e nella
"confutazione", è diventata luogo di ribellione e di riscatto. In
realtà questa trasgressione, che rispondeva ad una affermazione di autonomia
e non dipendenza dalla scienza come organizzazione culturale‑sociale
autoritaria, pagava un tributo allo stereotipo della separazione tra linguaggio
scientifico e linguaggio poetico e rimaneva prigioniera nel mito della libera
espressione poetica, alternativa e contrapposta all' "aridità" del
linguaggio scientifico. Sul versante delle
dinamiche cognitive nel rapporto individuo‑gruppo, una sintesi di
gruppo a partire da lavori individuali risulta essere molto meno della somma
delle parti, nel senso che costituisce una limitazione delle possibili manifestazioni
individuali, e può tuttavia anche essere più della somma delle parti, nel
senso che può far emergere livelli di realtà propri della collettività. Ne è
un esempio la costruzione di conoscenza collettiva che si realizza in un
gruppo attraverso la conversazione, la discussione di esperienze. Le osservazioni
fatte prima vanno lette allora come una critica alla modalità della "sintesi"
quando parte da prodotti individuali già “completi" e si pone come una
specie di "intersezione" delle conoscenze individuali: in questo
caso la contrattazione nel gruppo sembra avvenire soltanto nella modalità del
"levare", senza mostrare aspetti costruttivi. Più in generale si
vuole sottolineare l'opportunità di utilizzare il “lavoro di gruppo"
soltanto quando è una modalità organica allo scopo e al contesto, e la necessità
di una guida che "contenga" il gruppo. Un'osservazione
collaterale di carattere più generale riguarda la distinzione tra
apprendimento in gruppo e apprendimento di gruppo. Nel primo caso
un lavoro collettivo, in cui il gruppo è per ciascuno/a il contesto, il contenitore
affettivo, lo sfondo, di un percorso di apprendimento, produce apprendimenti
in qualche modo oggettivabili in saperi
individuali. Nel secondo caso il sapere del gruppo sembra essere
di un livello diverso, qualcosa che ha a che fare con “la cultura”, ma si può
anche parlare di conoscenza di gruppo come processo il cui
soggetto è stato a tutti gli effetti il gruppo in quanto tale.
Nell’ambito dell'approccio
alla conoscenza attraverso i sensi, o meglio attraverso i circuiti senso-motori,
è stato proposto ai/alle partecipanti di utilizzare la cupola di un paracadute
cui bisognava dare movimento. Le regole del gioco riguardavano il rispetto
del silenzio e l'esistenza di un leader, iniziatore del movimento, essendo
lo sguardo l’unico tramite diretto tra le persone. Le dimensioni e le caratteristiche
fisiche del
Questi esiti mostrano come
la centratura emotiva sul gruppo fusionale abbia
eliminato l’aspetto cognitivo, vanificando la funzione dell’ “oggetto
mediatore" che nella sua irriducibile fisicità avrebbe dovuto ancorare
il vissuto ad una realtà "esterna", e quindi anche alla necessità di
una mediazione intersoggettiva. A fine laboratorio è stato
proposto di costruire una "mappa" della conoscenza acquisita sull'aria.
Il risultato è sicuramente più vicino all’esperienza del laboratorio che alla
sistematizzazione di un sapere acquisito. In queste mappe, più che fare una
sintesi come “intersezione" o "minimo comune", si cerca di
"unire", compatibilmente con il compito, quanto più possibile delle
esperienze fatte nel laboratorio, di tenere insieme la ricerca sull’oggetto e
l'attenzione alle dinamiche relazionali, e di conservare l’uso dei linguaggi
non verbali. Un gruppo ha organizzato
la rappresentazione attorno alla relazione tra aria e vita: il materiale utilizzato
è quello delle esperienze del laboratorio; sono presenti sia il soggetto (i sensi)
che l’oggetto (le caratteristiche dell'aria). Un secondo gruppo ha
individuato delle direttrici che convergono sull'aria: -
il metodo di lavoro della ricerca -
le situazioni relazionali
individuo-gruppo -
il contenuto delle esplorazioni: le
variabili dei fenomeni, le teorie -
i vissuti corporei: percezioni,
emozioni, significati, suggestioni. Un terzo gruppo ha messo
insieme esperienze fatte, vissuti e oggetti di ricerca (”l’aria ‑ dove
la troviamo ‑ cosa ci facciamo ‑ cosa ci fa") in una rappresentazione
che recupera l’uso dei linguaggi non verbali.. IL guadagno formativo
In sede di rielaborazione
finale è stato richiesto di segnalare, all'interno del percorso del laboratorio,
un episodio emergente alla memoria, di qualificarlo come positivo/negativo,
di valutarlo dal punto di vista della formazione e dell'utilità a scuola;
inoltre è stato chiesto di segnalare episodi di difficoltà per il gruppo, e,
al contrario, di "ariosità"; infine elementi positivi e negativi
nella conduzione. I risultati di questa
operazione possono essere letti a due livelli di pertinenza diversi, che rendono
bene il rapporto tra individuo e gruppo non come soggetti‑oggetti
separati, ma come livelli di pertinenza diversi, che richiedono modalità e
strumenti di descrizione e interpretazione diversi. A livello individuale è
più significativo cercare una coerenza di senso tra le risposte della stessa
persona, quasi a costruire un "ritratto" formativo personale. A
livello del gruppo ha più senso tentare letture "trasversali" in relazione
alle proposte, alle situazioni del laboratorio. Non è questa la sede per il
primo livello, per cui ci si limita a qualche osservazione sul secondo. 14 partecipanti hanno
risposto alla prima domanda segnalando 10 esperienze diverse, nessun episodio
ha avuto più di tre segnalazioni, neppure il lavoro con il paracadute che si
è dimostrato più "spettacolare" e "suggestivo". A livello dell'esperienza collettiva era questo un buon riscontro sul
piano della complessità, dell'equilibrio tra elementi che avrebbero potuto
polarizzare l’esperienza: soggetto e oggetto nella relazione cognitiva, vissuto
e sapere, dinamica di gruppo e ricerca scientifica. Tenendo conto che la
consegna prefigurava un approccio dalla parte del vissuto e della sua qualità
emozionale, è interessante osservare che anche le ragioni dell’
“emergenza" alla memoria dei rispettivi episodi mostrano grande varietà;
esse vengono individuate nella ludicità, nella leggerezza
delle emozioni, nell’aspetto del divertimento, inteso nel senso proprio di “divertere", cioè fare qualcosa di
“diverso", nell’uso del linguaggio del corpo, nella coesione del gruppo,
intesa come fusionalità ma anche come convergenza
su un prodotto intellettuale, nel rapporto tra sé e gruppo vissuto nella complessità
e nell'ambivalenza, tra il mito dell’armonia del gruppo e la rivendicazione
della propria libertà, nell’interesse per una tematica di grande importanza
psicologica, sociale e culturale, nella soddisfazione della comprensione,
nello “spiazzamento”. Con la valutazione della
qualità formativa dell’esperienza fatta ci si sposta verso un punto di vista
meno interno al vissuto e verso una ripresa di responsabilità individuale.
Qui le attribuzioni di valore dei/delle partecipanti riguardano la socialità
in sé, la possibilità di realizzare prodotti collettivi, l’ascolto reciproco
come base della collaborazione ma anche come "tecnica" attenta di osservazione,
il confronto che può valorizzare la diversità nel gruppo ma anche permette di
vedere le proprie carenze, il mettersi dalla parte dei bambini, la valorizzazione
dei linguaggi non verbali, l’uso del linguaggio del corpo come canale tra
"dentro" e "fuori" ma anche come tramite per una scienza
percepita come lontana, la ricerca di un equilibrio psico‑fisico,
l’unione tra teoria e prassi, l’imparare divertendosi ma acquisendo
consapevolezza, l’uso della meta‑comunicazione e il passaggio
dall’esperienza alla consapevolezza, il dare valore positivo allo spiazzamento
allargando il punto di vista. Interrogarsi sull’utilità
dell’esperienza fatta nel contesto professionale scolastico significa uscire
definitivamente dallo "spazio transizionale"
del laboratorio per ricollocarsi nel contesto della propria realtà. In molti
casi il guadagno formativo è stato anche sentito come un'acquisizione di professionalità;
inoltre sono state segnalate come utili per la scuola: la metodologia, l'uso
contestualizzato del lavoro di gruppo, la consapevolezza delle dinamiche
relazionali tra gruppo e insegnante e del rapporto tra individuo e gruppo,
rapporto non scontato in cui la valorizzazione del concreto, del ludico, del
non verbale può creare un contesto utile alla coesione del gruppo ma anche disagio
al singolo, e infine alcune proposte per un lavoro sull'identità con gli adolescenti. Gli "scarti"
Due sono stati gli episodi
non riducibili alla struttura del laboratorio come progettato da chi lo conduceva
e che quindi, come "scarti”, sono stati particolarmente significativi. Il primo riguarda le
“porte aperte”, attività in cui il gruppo avrebbe dovuto “lasciar vedere"
agli altri qualcosa capace di far comprendere qual era stato l’oggetto del laboratorio. Il tempo disponibile
era volutamente scarso per evitare la costruzione di una comunicazione tutta
centrata sull’interlocutore e si è visto che questo modello, riconducibile
alle "socializzazioni" scolastiche, alle forme di "scuola
aperta", agli spettacoli di fine anno, è un potente attrattore per
tutti/e gli/le insegnanti. Il gruppo in primo luogo
ha dovuto mettere a fuoco collettivamente qual era stato effettivamente
l’oggetto del laboratorio e poi decidere che cosa materialmente fare per
rendere accessibile questo significato agli altri. Un’esperienza con il
paracadute è stata subito proposta su un registro di spettacolarità (“è bello"),
ma ben presto il gruppo ne ha sostanzialmente recuperati i significati
relazionali. Tuttavia è parso che questa esperienza da sola non rendesse
ragione di tutto il lavoro fatto sul versante della ricerca scientifica,
forse anche perché la rielaborazione seguita all’esperienza con il paracadute
si era centrata sulle dinamiche emotive e relazionali trascurando il merito
dell’aspetto cognitivo. Veniva dunque proposto di aggiungervi uno dei percorsi
di esplorazione fatti nel laboratorio. La sintesi creativa si è realizzata
nell’idea di utilizzare l’esperienza con il paracadute come una nuova esplorazione,
ponendo le domande guida della ricerca scientifica: "che cos'hai
visto?" "che cosa è successo?" "come te lo spieghi",
seguite dalla domanda "che senso ha?" che avrebbe dovuto rappresentare
il lavoro di rielaborazione, la "meta‑riflessione" sul
"qui e ora" del percorso. Proprio per evitare "recite" il
gruppo ha deciso di porre “veramente" agli stessi spettatori le domande. Ma l’interazione con il pubblico non si è collocata dentro lo
schema di un percorso scientifico di gruppo. è emerso subito con forza l’aspetto emotivo‑proiettivo,
in cui l’azione con il paracadute era letta in modo metaforico, in cui forte
era l’attrazione esercitata dall’illusione fusionale
su uno sfondo di significato che potrebbe essere ben rappresentato dal
termine "festa". Significativa la reazione
del gruppo che alla richiesta proveniente dal pubblico di entrare nel “gioco"
del paracadute ha risposto inizialmente con il "no". Forse il
gruppo ha sentito, nella sua comunicazione su quale fosse stato l’oggetto del
laboratorio, una mancanza di ascolto da parte di un pubblico che sembrava
cogliere e amplificare solo un aspetto parziale della sua esperienza. Dopo questo episodio, per
verificarne l’impatto, è stato di nuovo chiesto, in sede di rielaborazione finale
nel gruppo, quale fosse stato l’oggetto del laboratorio. La maggioranza delle
risposte lo identificava con "un'esperienza di formazione": il
mantenersi distanti da risposte del tipo “lo studio dell'aria" o “le dinamiche
di gruppo" dà l’idea di una rappresentazione che conserva la complessità
dell’esperienza, cognitiva e affettiva, ma che anche ormai si collocava ad un
livello “meta-" rispetto al vissuto, valutandone il significati nel
contesto più professionale e di vita. Il secondo scarto si
riferisce ad un episodio del tutto imprevisto: all'inizio dell’incontro
finale il gruppo ha presentato, insieme ad un mazzo di fiori di lavanda
destinato ad una delle conduttrici che compiva gli anni, uno scritto che
proponeva una specie di parodia delle consegne date al gruppo durante il lavoro.
Il conduttore e le conduttrici l’hanno preso come uno spiritoso biglietto di
accompagnamento, ma il gruppo ha fatto capire loro che si aspettava che eseguissero
"davvero" le consegne. Il contenuto della
consegna, riproponendo (sia pure ricontestualizzato
nelle forme proprie del contesto e del registro del linguaggio) una specie di
riassunto delle modalità di lavoro dei due giorni precedenti, mostrava quanto
il gruppo avesse colto la proposta nella sua struttura e nelle sue modalità, viste dalla parte della conduzione; e questo accadeva al momento di entrare nella fase di meta‑rifiessione, che ha proprio lo scopo di restituire
i/le partecipanti alla loro realtà, al loro ruolo di educatori/educatrici,
dopo che la forma del “laboratorio adulto" ha chiesto loro di metterlo
tra parentesi per fare un'esperienza personale. Del resto l’
“imposizione" dell’esecuzione della consegna, frutto di una "congiura"
di tutto il gruppo, mettendo in scena un ribaltamento dei ruoli, assumeva il
senso di una manifestazione di autonomia. Ben diversa però dalla "vendetta"
agìta nella "confutazione": qui non si
trattava di un comportamento reattivo "eccitato” da una inconsapevole confluenza,
bensì cosciente e concordato; e soprattutto diverso era il colore affettivo:
i fiori, che da una parte costituivano il pretesto e il legame (per via del
profumo e dell'uso dell'olfatto) con il lavoro del laboratorio, dall'altro
erano comunque un regalo inatteso e piacevole. Si trattava dunque di un
"gioco", inteso in tutta la pienezza del suo significato, che
condivide con la formazione il collocarsi nello "spazio transizionale". E questo esattamente nel momento in
cui si usciva dal "gioco" del laboratorio per rielaborarne il
significato formativo. Per chi conduceva era il segno positivo più forte
dell'esito del laboratorio, al di là della messa in campo di strumenti e modalità
di verifica. |