Giovanna Carli  -  Marisa Giunti  -  Marcello Sala

 

Il senso dell'aria

una comunità scientifica in ricerca

 

relazione su un “laboratorio adulto” nel contesto delle

Scuole Estive di Formazione per educatori ed educatrici del MCE

agosto 1998, Montecatini:  “Individuo e gruppo nei processi di conoscenza”

 

PARTE I: LA STRUTTURA DEL LABORATORIO

Lo sviluppo del laboratorio che abbiamo condotto è risultato dalla composizione di due direttrici di lavoro: quella della ricerca scientifica e quella della relazione individuo-gruppo.

La prima, che ha largamente tratto ispirazione dal laboratorio "Le domande dell'acqua" dell’anno precedente, aveva come oggetto l'elemento aria e come ambito la "scienza del quotidiano" ovvero una relazione cognitiva con una realtà fatta di oggetti e situazioni prese da, o riproducibili in, una dimensione quotidiana (siamo circondati da fenomeni che aspettano solo di essere interrogati dalla nostra curiosità). Dunque si è osservato, manipolato, si sono fatte ipotesi, costruite teorie e si sono messe in gioco, il gioco della scienza, che è tentare di mettere ordine senza conoscere prima qual è l'ordine, ma anche scoperta che apre ad altre domande. Un gioco non solo intellettuale, dal momento che il viaggio alla ricerca del senso, nella relazione tra il soggetto e l'oggetto della conoscenza, è passato attraverso i sensi, non solo usandoli come strumenti, ma mantenendoli come canali di relazione non di dominio con le cose.

Su questa direttrice della ricerca scientifica le domande guida sono state "che cosa ho visto? che cosa è successo? come me lo spiego?". Ma c'è una quarta domanda "che senso ha?" che porta a incontrare l'altra direttrice perché non vuole prescindere dal contesto attuale: "che senso ha qui e ora per noi?".

Il "qui e ora" era appunto il contesto in cui avveniva la ricerca dei "che cosa? come? perché?" della conoscenza. La suggestione era quella di una piccola comunità scientifica che però si interrogava sul proprio essere tale: quale specificità portano l'oggetto e il contesto della ricerca nel modo di condurla da parte di un gruppo? e dunque quali sentimenti mette in gioco il gioco della scienza? e soprattutto quali modalità di interazione e quali coloriture affettive caratterizzano l'operare di una piccola comunità scientifica, diversamente da altri gruppi di lavoro? Ci si è interrogati sul rapporto tra percorsi personali ed elaborazione collettiva (conflitto, diversità, integrazione…), sulla relazione tra identità personale, identità di genere, identità di gruppo.

Concretamente ogni incontro di laboratorio si è articolato in tre momenti: un'esperienza cognitiva centrata su uno dei sensi, un set di situazioni da osservare e manipolare per elaborare una conoscenza codificata verbalmente attraverso modalità ogni volta diverse di organizzazione e interazione, una rielaborazione dei vissuti sulla relazione tra processi di conoscenza e dinamiche affettive e relazionali.

I SENSI E L'ARIA

Un'esperienza guidata di movimento individuale in gruppo ha proposto il tatto come contatto con l'aria dentro il corpo e alla superficie del corpo, e l'aria come mezzo interno e mezzo esterno che sta tra il proprio corpo e l'altro.

Un gioco basato sugli odori ha portato ad usare l'olfatto come canale-strumento privilegiato in un circuito senso-motorio di relazione con l'ambiente.

L'udito era il senso sollecitato dai suoni prodotti da strumenti costruiti con materiali "poveri" e suonati dal movimento dell'aria.

Alla vista si è stati sollecitati a ricorrere per sostenere la relazione immagine-forma-movimento in una sorta di percorso circolare dall'osservazione del movimento alla sua fissazione in immagini grafiche, alla loro rilettura, alla costruzione di immagini interne capaci di dare forma ad un movimento del corpo.

Insieme al tatto (e alla propriocezione) la vista è stata il canale attraverso cui trovare la relazione di gruppo con un oggetto dotato di una sua dinamica di movimento in un gioco in cui la recettività e la reattività erano le forme di conoscenza[1].

Anche se questa possibilità non è stata esplorata nel laboratorio, ciascuna di queste esperienze poteva aprire un percorso di ricerca scientifica, nel senso di porre domande sui fenomeni e sulla loro spiegazione.

LA COMUNITà SCIENTIFICA IN RICERCA

Il comportamento di palline da ping-pong in un flusso d'aria, il funzionamento di macchine capaci di produrre flussi d'aria, la dinamica di un sistema di due palloncini gonfiati, il movimento di oggetti di varia forma nell'aria, sono stati, in estrema sintesi, l'oggetto di esplorazioni-sperimentazioni che hanno caratterizzato i quattro incontri.

Ad ogni esplorazione la ricerca del "come" e del "perché" era abbinata una modalità di organizzazione, ad una forma di interazione degli individui nel gruppo e dei gruppi. Nel primo incontro ad una fase di interazione libera si è pian piano sovrapposta la dinamica del rapporto con l'autorità rappresentata sia da un "testo scientifico ufficiale" sia dal ruolo assunto da un conduttore. Nel secondo è stata proposta la "confutazione" come forma codificata di interazione in uso nella comunità scientifica (ha origini nella scolastica medioevale) volta a perfezionare una teoria attraverso un esame critico. Nel terzo incontro i gruppi composti su base di genere sono stati chiamati a competere tra di loro e a collaborare al loro interno. Nel quarto la composizione dei gruppi ha posto di fronte al compito di costruire un prodotto comune sulla base della diversità delle esperienze fatte.

LA RIELABORAZIONE COLLETTIVA

Nel primo incontro chi conduceva il laboratorio ha intenzionalmente messo i partecipanti dentro un gioco senza che loro ne fossero consapevoli: lo spiazzamento vissuto ha fornito il materiale per una rielaborazione che partiva da una asimmetria di punti di vista rispetto all'osservazione. Dal successivo incontro le "regole del gioco" erano esplicitate nella proposta di lavoro come "compiti" e modalità particolari; in questo senso la funzione osservativa veniva restituita ai/alle partecipanti che hanno potuto intervenire "alla pari" alla fase di rielaborazione.

L'incontro "meta" di rielaborazione finale è avvenuto su due livelli. Per quanto riguarda la  ricerca scientifica si è chiesto di costruire per piccoli gruppi spontanei una mappa della conoscenza dell'aria sulla base di un "dossier" che era stato aggiornato ad ogni incontro. Per quanto attiene l'esperienza formativa si è utilizzato un questionario in cui si chiedeva di riportare le emergenze, positive e negative, dell'esperienza di laboratorio, i propri vissuti e riflessioni sulle dinamiche relazionali, sulla conduzione, sul guadagno formativo ("cosa mi porto a scuola"); le risposte, o almeno alcune di esse, sono state messe in comune,

Tutto ciò in qualche modo era già contenuto nel progetto del laboratorio e ne configura la struttura. Ma che cosa è andato a riempire questa struttura, quali sono stati gli “attesi imprevisti”, e quindi che cosa abbiamo imparato dalla storia particolare di questo laboratorio, così come si è svolto in quel tempo, in quel luogo, e con quelle persone?

PARTE II: LA STORIA DEL LABORATORIO

LE DINAMICHE INDIVIDUO-GRUPPO NELLA COMUNITà SCIENTIFICA

Ciò che si è manifestato nel primo incontro è stata una dinamica di aggressione-difesa. Uno dei conduttori recitava la parte dell’ “autorità scientifica” in una forma di “teatro invisibile” in cui i/le partecipanti non erano consapevoli della “finzione”; in questo contesto ha posto il problema del confronto con la teoria “giusta”. Il gruppo ha reagito come se gli errori e le mancanze della propria teoria fossero elementi di giudizio e di svalorizzazione di sé. È interessante notare come, di fronte alla “minaccia esterna”, si sia verificato il compattamento di un gruppo a partire da un insieme di persone che erano appena all’inizio della loro esperienza comune.

All’interno del gruppo vi erano persone competenti che avrebbero potuto sostenere un conflitto con l’autorità nel merito della questione, ma non l’hanno fatto. Ci si può chiedere quanto ciò sia dovuto all’esigenza di mantenere la solidarietà del gruppo su una base di parità, rinunciando a differenziarsi in una posizione di superiorità, e quanto sia stato subìto e abbia giocato nella relazione il pre‑giudizio sull'infallibilità dell’autorità scientifica. Si tratta di un pre­-giudizio perché la teoria "giusta" era in realtà difettosa e lacunosa; ma, di fronte all’autorità della scienza, il gruppo, invece di attaccarla, ha di fatto difeso una propria teoria anche se debole.

Gli esiti di questa dinamica, resa visibile e fatta oggetto di discussione nel gruppo nella fase di "restituzione", sono divenuti evidenti nell’incontro successivo. Qui era stata proposta la "confutazione" come modalità di interazione molto formalizzata e finalizzata esplicitamente al miglioramento della teoria: dopo la fase di esplorazione di un fenomeno vengono elaborate per scritto ipotesi di spiegazione individuali; un membro del gruppo espone la propria teoria e gli altri hanno il compito di formulare osservazioni critiche precise, per tenere conto delle quali la teoria viene riformulata, sia da parte dell’autore sia da parte del critici.

Se nel primo giro di confutazione in sottogruppo l’attenzione era centrata sul contenuto della teoria, quando il gruppo intero ha confutato la teoria esposta da una volontaria é divenuta evidente agli occhi di chi osservava una dinamica sempre pia aggressiva in cui il contenuto scientifico diventava un pretesto: significativo ad esempio che, nonostante gli interventi in questo senso di chi conduceva, non venisse rispettata la formalità nella esposizione delle critiche richiesta dalla "regola del gioco". Il gruppo in sostanza stava attaccando chi in quel momento, per la sua collocazione asimmetrica (fisicamente si trovava “di fronte" al gruppo), rappresentava l’autorità. Ma la rappresentava nello spazio affettivo del gruppo, non nella struttura di relazioni della situazione proposta. L’esigenza di riscatto dalla dinamica svalorizzante precedentemente subìta diventava un agìto di "vendetta": i termini "capro espiatorio”, "gioco al massacro", "scannare", sono stati usati dagli stessi/dalle stesse partecipanti quando sono stati invitati a osservare la situazione da un punto di vista più "esterno".

Nel terzo incontro ogni gruppo aveva il compito di elaborare una teoria su uno stesso fenomeno e chi conduceva aveva creato un contesto di competizione ("una commissione valuterà"). La situazione di collaborazione nel gruppo e competizione tra gruppi era stata sovrapposta alla tematica della differenza di genere. L’idea era di comporre gruppi omogenei per genere; poiché però l’unico gruppo di uomini comprendeva gli unici due uomini, è stato chiesto ad un gruppo di donne di “fare la parte di” un gruppo di maschi. Il ruolo di questo gruppo è stato determinante perché le caratterizzazioni e le dinamiche imperniate sulla differenza di genere che gli altri gruppi hanno semplicemente agìto, qui sono state fatte oggetto di esplicita riflessione e intenzionalità consapevole. Per “fare i maschi" le donne hanno deciso di caratterizzare il loro lavoro con una più forte centratura sul compito, sul prodotto, anziché sulla ricerca della mediazione più accettabile: maschile secondo loro era il non “accontentarsi”, come invece hanno riconosciuto a posteriori di aver fatto le femmine "vere".

I due maschi, da parte loro, come prodotto finale hanno presentato due teorie diverse. E questo è stato subito letto come segno di irriducibile competitività e incapacità di collaborazione tipicamente maschile; tuttavia, poiché i due avevano lavorato insieme per quasi tutto il tempo in un fitto interscambio, ci si è domandati se questa lettura non fosse frutto di uno stereotipo che rischiava di non considerare la differenziazione del prodotti come positiva, non solo dal punto di vista del compito, in termini di ricerca scientifica cioè, ma anche del lavoro di gruppo.

LA CONOSCENZA SCIENTIFICA SITUATA IN UN CONTESTO DI GRUPPO

Nella prima produzione individuale, le "carte d’identità dell'aria", il linguaggio letterario e il registro umoristico-poetico suggerito dal compito hanno fatto da contenitore ad una giustapposizione e ad un intreccio di nozioni, percetti, emozioni, vissuti, dati concreti, attorno all’oggetto aria. Vi si trovano anche tracce del lavoro precedente sul contatto e il respiro.

Alla richiesta di come rendere questi contributi individuali un patrimonio collettivo la proposta che è emersa dal gruppo è stata di raggruppare il materiale essenzialmente in due categorie: "scientifico" e "narrativo fantastico". Questa classificazione, che non appare corrispondere alla complessità del materiale, risponde ad uno stereotipo potente di separazione che si sarebbe dimostrato significativo nel prosieguo del lavoro.

è utile confrontare queste "carte d'identità" con i "trattati" scritti nel quarto incontro. In questo caso ciascun sottogruppo di 4 persone doveva produrre un "trattato sui movimenti dell'aria e nell'aria" a partire dalle esperienze fatte dalle persone del gruppo provenienti da precedenti sottogruppi che avevano lavorato ciascuno con materiali diversi. Il problema era come utilizzare per una conoscenza comune la diversità delle esperienze cognitive delle singole persone. Questa conoscenza individuale aveva un supporto grafico dal momento che alla fine delle esperienze dei primi quattro gruppi con i quattro tipi di materiale a disposizione era stato chiesto a ciascuno/a di fissare le impressioni di movimento su un foglio bianco con matite e colori.

Il passaggio dai disegni individuali al testo scritto collettivo testimonia una notevole perdita di informazione, un impoverimento della varietà nell'utilizzazione di modelli poetico-umoristici, che sembrano funzionare da stereotipi.

Sembra di poter individuare due versanti del problema. Da una parte il linguaggio espressivo grafico è più capace di rappresentare l’esperienza, la relazione vissuta con l’oggetto nella sua complessità e ricchezza di dettagli. In questo senso è più vicino alla “descrizione scientifica”. Qui purtroppo lo stereotipo dell’ “aridità" del linguaggio scientifico sconta la povertà dei modelli forniti dai nostri libri di testo rispetto alla prosa coinvolgente che molti ricercatori e divulgatori, soprattutto di cultura anglosassone, dimostrano di saper usare nei loro testi. Il linguaggio verbale appare come una scorciatola verso l'espressione intenzionale del significato; ma per contrarre la comunicazione occorre appoggiarsi sui significati comuni ed é più facile utilizzare stereotipi.

Questa interpretazione va collocata sullo sfondo della storia di questo gruppo, il che riporta all'altro versante del problema: la forma del "trattato", sottraendosi alla pesantezza del giudizio giusto/sbagliato cui era stata sottoposta la "teoria" nel confronto con l’ “autorità scientifica” e nella "confutazione", è diventata luogo di ribellione e di riscatto. In realtà questa trasgressione, che rispondeva ad una affermazione di autonomia e non dipendenza dalla scienza come organizzazione culturale‑sociale autoritaria, pagava un tributo allo stereotipo della separazione tra linguaggio scientifico e linguaggio poetico e rimaneva prigioniera nel mito della libera espressione poetica, alternativa e contrapposta all' "aridità" del linguaggio scientifico.

Sul versante delle dinamiche cognitive nel rapporto individuo‑gruppo, una sintesi di gruppo a partire da lavori individuali risulta essere molto meno della somma delle parti, nel senso che costituisce una limitazione delle possibili manifestazioni individuali, e può tuttavia anche essere più della somma delle parti, nel senso che può far emergere livelli di realtà propri della collettività. Ne è un esempio la costruzione di conoscenza collettiva che si realizza in un gruppo attraverso la conversazione, la discussione di esperienze. Le osservazioni fatte prima vanno lette allora come una critica alla modalità della "sintesi" quando parte da prodotti individuali già “completi" e si pone come una specie di "intersezione" delle conoscenze individuali: in questo caso la contrattazione nel gruppo sembra avvenire soltanto nella modalità del "levare", senza mostrare aspetti costruttivi. Più in generale si vuole sottolineare l'opportunità di utilizzare il “lavoro di gruppo" soltanto quando è una modalità organica allo scopo e al contesto, e la necessità di una guida che "contenga" il gruppo.

Un'osservazione collaterale di carattere più generale riguarda la distinzione tra apprendimento in gruppo e apprendimento di gruppo. Nel primo caso un lavoro collettivo, in cui il gruppo è per ciascuno/a il contesto, il contenitore affettivo, lo sfondo, di un percorso di apprendimento, produce apprendimenti in qualche modo oggettivabili in saperi individuali. Nel secondo caso il sapere del gruppo sembra essere di un livello diverso, qualcosa che ha a che fare con “la cultura”, ma si può anche parlare di conoscenza di gruppo come processo il cui soggetto è stato a tutti gli effetti il gruppo in quanto tale.

 

 

Nell’ambito dell'approccio alla conoscenza attraverso i sensi, o meglio attraverso i circuiti senso-motori, è stato proposto ai/alle partecipanti di utilizzare la cupola di un paracadute cui bisognava dare movimento. Le regole del gioco riguardavano il rispetto del silenzio e l'esistenza di un leader, iniziatore del movimento, essendo lo sguardo l’unico tramite diretto tra le persone. Le dimensioni e le caratteristiche fisiche del paracadute, la sua interazione complessa con l’aria fanno sì che sia possibile imprimergli movimento soltanto da parte di un gruppo di persone che lo manovrino disponendosi lungo il bordo circolare e afferrandone ciascuna un tratto. Ma un'intenzionalità concorde da parte del gruppo non è comunque sufficiente a controllare il movimento del sistema che ha una sua inerzia, sue forme e un suo "ritmo", che possono essere modulati ma non semplicemente determinati dall’esterno, pena l’insuccesso. In sostanza occorre "ascoltare" l’oggetto, il sistema, per entrare in un'interazione positiva con esso. Si tratta di un bell'esempio concreto, e non semplicemente una metafora, della conoscenza (di gruppo) come relazione e come interazione adattativa con un ambiente.

Il movimento del paracadute, che assume bellissime forme e che può contenere e nascondere al suo interno l'intero gruppo, crea una forte suggestione estetica e simbolica. L’emotività ha coinvolto molti/e partecipanti in una percezione alterata del gruppo in cui l'illusione fusionale ha rischiato di far perdere il contatto con la realtà; per esempio non è stato percepito il disagio di alcune persone, dichiarato in seguito, derivante da una profonda diversità tra il proprio ritmo e tono corporeo e quello prevalente nel gruppo (diversità attribuita anche al lavoro di movimento immediatamente precedente in cui ogni persona era centrata a livello corporeo essenzialmente su di sé) discordanza vissuta in termini di violenza ed esclusione.

Questi esiti mostrano come la centratura emotiva sul gruppo fusionale abbia eliminato l’aspetto cognitivo, vanificando la funzione dell’ “oggetto mediatore" che nella sua irriducibile fisicità avrebbe dovuto ancorare il vissuto ad una realtà "esterna", e quindi anche alla necessità di una mediazione intersoggettiva.

A fine laboratorio è stato proposto di costruire una "mappa" della conoscenza acquisita sull'aria. Il risultato è sicuramente più vicino all’esperienza del laboratorio che alla sistematizzazione di un sapere acquisito. In queste mappe, più che fare una sintesi come “intersezione" o "minimo comune", si cerca di "unire", compatibilmente con il compito, quanto più possibile delle esperienze fatte nel laboratorio, di tenere insieme la ricerca sull’oggetto e l'attenzione alle dinamiche relazionali, e di conservare l’uso dei linguaggi non verbali.

Un gruppo ha organizzato la rappresentazione attorno alla relazione tra aria e vita: il materiale utilizzato è quello delle esperienze del laboratorio; sono presenti sia il soggetto (i sensi) che l’oggetto (le caratteristiche dell'aria). Un secondo gruppo ha individuato delle direttrici che convergono sull'aria:

-        il metodo di lavoro della ricerca

-        le situazioni relazionali individuo-gruppo

-        il contenuto delle esplorazioni: le variabili dei fenomeni, le teorie

-        i vissuti corporei: percezioni, emozioni, significati, suggestioni.

Un terzo gruppo ha messo insieme esperienze fatte, vissuti e oggetti di ricerca (”l’aria ‑ dove la troviamo ‑ cosa ci facciamo ‑ cosa ci fa") in una rappresentazione che recupera l’uso dei linguaggi non verbali..

IL guadagno formativo

In sede di rielaborazione finale è stato richiesto di segnalare, all'interno del percorso del laboratorio, un episodio emergente alla memoria, di qualificarlo come positivo/negativo, di valutarlo dal punto di vista della formazione e dell'utilità a scuola; inoltre è stato chiesto di segnalare episodi di difficoltà per il gruppo, e, al contrario, di "ariosità"; infine elementi positivi e negativi nella conduzione.

I risultati di questa operazione possono essere letti a due livelli di pertinenza diversi, che rendono bene il rapporto tra individuo e gruppo non come soggetti‑oggetti separati, ma come livelli di pertinenza diversi, che richiedono modalità e strumenti di descrizione e interpretazione diversi. A livello individuale è più significativo cercare una coerenza di senso tra le risposte della stessa persona, quasi a costruire un "ritratto" formativo personale. A livello del gruppo ha più senso tentare letture "trasversali" in relazione alle proposte, alle situazioni del laboratorio. Non è questa la sede per il primo livello, per cui ci si limita a qualche osservazione sul secondo.

14 partecipanti hanno risposto alla prima domanda segnalando 10 esperienze diverse, nessun episodio ha avuto più di tre segnalazioni, neppure il lavoro con il paracadute che si è dimostrato più "spettacolare" e "suggestivo". A livello dell'esperienza collettiva era questo un buon riscontro sul piano della complessità, dell'equilibrio tra elementi che avrebbero potuto polarizzare l’esperienza: soggetto e oggetto nella relazione cognitiva, vissuto e sapere, dinamica di gruppo e ricerca scientifica.

Tenendo conto che la consegna prefigurava un approccio dalla parte del vissuto e della sua qualità emozionale, è interessante osservare che anche le ragioni dell’ “emergenza" alla memoria dei rispettivi episodi mostrano grande varietà; esse vengono individuate nella ludicità, nella leggerezza delle emozioni, nell’aspetto del divertimento, inteso nel senso proprio di “divertere", cioè fare qualcosa di “diverso", nell’uso del linguaggio del corpo, nella coesione del gruppo, intesa come fusionalità ma anche come convergenza su un prodotto intellettuale, nel rapporto tra sé e gruppo vissuto nella complessità e nell'ambivalenza, tra il mito dell’armonia del gruppo e la rivendicazione della propria libertà, nell’interesse per una tematica di grande importanza psicologica, sociale e culturale, nella soddisfazione della comprensione, nello “spiazzamento”.

Con la valutazione della qualità formativa dell’esperienza fatta ci si sposta verso un punto di vista meno interno al vissuto e verso una ripresa di responsabilità individuale. Qui le attribuzioni di valore dei/delle partecipanti riguardano la socialità in sé, la possibilità di realizzare prodotti collettivi, l’ascolto reciproco come base della collaborazione ma anche come "tecnica" attenta di osservazione, il confronto che può valorizzare la diversità nel gruppo ma anche permette di vedere le proprie carenze, il mettersi dalla parte dei bambini, la valorizzazione dei linguaggi non verbali, l’uso del linguaggio del corpo come canale tra "dentro" e "fuori" ma anche come tramite per una scienza percepita come lontana, la ricerca di un equilibrio psico‑fisico, l’unione tra teoria e prassi, l’imparare divertendosi ma acquisendo consapevolezza, l’uso della meta‑comunicazione e il passaggio dall’esperienza alla consapevolezza, il dare valore positivo allo spiazzamento allargando il punto di vista.

Interrogarsi sull’utilità dell’esperienza fatta nel contesto professionale scolastico significa uscire definitivamente dallo "spazio transizionale" del laboratorio per ricollocarsi nel contesto della propria realtà. In molti casi il guadagno formativo è stato anche sentito come un'acquisizione di professionalità; inoltre sono state segnalate come utili per la scuola: la metodologia, l'uso contestualizzato del lavoro di gruppo, la consapevolezza delle dinamiche relazionali tra gruppo e insegnante e del rapporto tra individuo e gruppo, rapporto non scontato in cui la valorizzazione del concreto, del ludico, del non verbale può creare un contesto utile alla coesione del gruppo ma anche disagio al singolo, e infine alcune proposte per un lavoro sull'identità con gli adolescenti.

Gli "scarti"

Due sono stati gli episodi non riducibili alla struttura del laboratorio come progettato da chi lo conduceva e che quindi, come "scarti”, sono stati particolarmente significativi.

Il primo riguarda le “porte aperte”, attività in cui il gruppo avrebbe dovuto “lasciar vedere" agli altri qualcosa capace di far comprendere qual era stato l’oggetto del laboratorio. Il tempo disponibile era volutamente scarso per evitare la costruzione di una comunicazione tutta centrata sull’interlocutore e si è visto che questo modello, riconducibile alle "socializzazioni" scolastiche, alle forme di "scuola aperta", agli spettacoli di fine anno, è un potente attrattore per tutti/e gli/le insegnanti.

Il gruppo in primo luogo ha dovuto mettere a fuoco collettivamente qual era stato effettivamente l’oggetto del laboratorio e poi decidere che cosa materialmente fare per rendere accessibile questo significato agli altri.

Un’esperienza con il paracadute è stata subito proposta su un registro di spettacolarità (“è bello"), ma ben presto il gruppo ne ha sostanzialmente recuperati i significati relazionali. Tuttavia è parso che questa esperienza da sola non rendesse ragione di tutto il lavoro fatto sul versante della ricerca scientifica, forse anche perché la rielaborazione seguita all’esperienza con il paracadute si era centrata sulle dinamiche emotive e relazionali trascurando il merito dell’aspetto cognitivo. Veniva dunque proposto di aggiungervi uno dei percorsi di esplorazione fatti nel laboratorio. La sintesi creativa si è realizzata nell’idea di utilizzare l’esperienza con il paracadute come una nuova esplorazione, ponendo le domande guida della ricerca scientifica: "che cos'hai visto?" "che cosa è successo?" "come te lo spieghi", seguite dalla domanda "che senso ha?" che avrebbe dovuto rappresentare il lavoro di rielaborazione, la "meta‑riflessione" sul "qui e ora" del percorso. Proprio per evitare "recite" il gruppo ha deciso di porre “veramente" agli stessi spettatori le domande.

Ma l’interazione con  il pubblico non si è collocata dentro lo schema di un percorso scientifico di gruppo. è emerso subito con forza l’aspetto emotivo‑proiettivo, in cui l’azione con il paracadute era letta in modo metaforico, in cui forte era l’attrazione esercitata dall’illusione fusionale su uno sfondo di significato che potrebbe essere ben rappresentato dal termine "festa".

Significativa la reazione del gruppo che alla richiesta proveniente dal pubblico di entrare nel “gioco" del paracadute ha risposto inizialmente con il "no". Forse il gruppo ha sentito, nella sua comunicazione su quale fosse stato l’oggetto del laboratorio, una mancanza di ascolto da parte di un pubblico che sembrava cogliere e amplificare solo un aspetto parziale della sua esperienza.

Dopo questo episodio, per verificarne l’impatto, è stato di nuovo chiesto, in sede di rielaborazione finale nel gruppo, quale fosse stato l’oggetto del laboratorio. La maggioranza delle risposte lo identificava con "un'esperienza di formazione": il mantenersi distanti da risposte del tipo “lo studio dell'aria" o “le dinamiche di gruppo" dà l’idea di una rappresentazione che conserva la complessità dell’esperienza, cognitiva e affettiva, ma che anche ormai si collocava ad un livello “meta-" rispetto al vissuto, valutandone il significati nel contesto più professionale e di vita.

Il secondo scarto si riferisce ad un episodio del tutto imprevisto: all'inizio dell’incontro finale il gruppo ha presentato, insieme ad un mazzo di fiori di lavanda destinato ad una delle conduttrici che compiva gli anni, uno scritto che proponeva una specie di parodia delle consegne date al gruppo durante il lavoro. Il conduttore e le conduttrici l’hanno preso come uno spiritoso biglietto di accompagnamento, ma il gruppo ha fatto capire loro che si aspettava che eseguissero "davvero" le consegne.

Il contenuto della consegna, riproponendo (sia pure ricontestualizzato nelle forme proprie del contesto e del registro del linguaggio) una specie di riassunto delle modalità di lavoro dei due giorni precedenti, mostrava quanto il gruppo avesse colto la proposta nella sua struttura e nelle sue modalità, viste dalla parte della conduzione; e questo accadeva al momento di entrare nella fase di meta‑rifiessione, che ha proprio lo scopo di restituire i/le partecipanti alla loro realtà, al loro ruolo di educatori/educatrici, dopo che la forma del “laboratorio adulto" ha chiesto loro di metterlo tra parentesi per fare un'esperienza personale.

Del resto l’ “imposizione" dell’esecuzione della consegna, frutto di una "congiura" di tutto il gruppo, mettendo in scena un ribaltamento dei ruoli, assumeva il senso di una manifestazione di autonomia. Ben diversa però dalla "vendetta" agìta nella "confutazione": qui non si trattava di un comportamento reattivo "eccitato” da una inconsapevole confluenza, bensì cosciente e concordato; e soprattutto diverso era il colore affettivo: i fiori, che da una parte costituivano il pretesto e il legame (per via del profumo e dell'uso dell'olfatto) con il lavoro del laboratorio, dall'altro erano comunque un regalo inatteso e piacevole.

Si trattava dunque di un "gioco", inteso in tutta la pienezza del suo significato, che condivide con la formazione il collocarsi nello "spazio transizionale". E questo esattamente nel momento in cui si usciva dal "gioco" del laboratorio per rielaborarne il significato formativo. Per chi conduceva era il segno positivo più forte dell'esito del laboratorio, al di là della messa in campo di strumenti e modalità di verifica.

 



[1]  L’oggetto è la cupola di un paracadute: se ne parlerà più avanti.