Artefatti multimediali e interattivi
costituiscono una ”realtà artificiale”. La relazione con le cose mediata dalla
tecnologia può modificare il nostro senso della realtà? Parigi, dicembre 1885. AI Grand Cafè del Boulevard des Capucines il pubblico si è raccolto numeroso.
Dell’invenzione di questi fratelli Lumiere s'è fatto un gran parlare ma sui
volti e nelle conversazioni alla curiosità si mescola la diffidenza. Nel
sotterraneo si fa buio e si spengono le ultime voci. Una macchina posta alle
nostre spalle proietta un fascio di luce su un telo bianco davanti a noi
Davanti ai nostri occhi prende forma quella che alcuni di noi riconoscono
come la stazione ferroviaria di La Ciotat. Poi dal
binario appare una vaporiera che ingrandendo a vista d’occhio si precipita
verso di noi. Balzo in piedi in un moto istintivo; al fracasso delle sedie
rovesciate si sovrappongono le grida di spavento. Tutto dura un attimo finché
il mostro di metallo ci sfila accanto in una nuvola di vapore. Milano,
aprile 1992 Nel
box disadorno i tecnici mi aiutano a infilare la testa in un casco e la mano
destra in un guanto da astronauta. Davanti ai miei occhi la stanza riempie
tutto il campo visivo; muovo la testa: le forme che appaiono intorno a me
sono angolose, come semplificate, le ombre senza sfumature e i colori
sembrano quelli di un cartone animato. Mi volto: c'è un tavolo con sopra
alcuni oggetti di forme angolose e imprecise. C’è un elicottero giocattolo; quando faccio per prenderlo, la mano che
entra nel mio campo visivo è priva di braccio e sembra disegnata, ma i
movimenti che esegue sono i miei, impacciati dal guanto. Avvicino la mano a
toccare l’oggetto e attraverso il guanto sento la consistenza del materiale.
Improvvisamente l’elicottero muove le pale, si solleva e volteggia nella
stanza. Quando si dirige verso il mio viso istintivamente la mia mano si alza
a intercettarlo: sento l’urto. Mi
tolgo il casco: non c'è nessun tavolo, né giocattolo: il casco trasmette
informazioni sulla posizione e sui movimenti della testa e le invia a un
computer che le elabora nella simulazione di uno sguardo in una stanza. Le
immagini di ciò che via via vedrebbe quello sguardo
in movimento, stanza e oggetti, vengono generate e modificate attraverso
sistemi di grafica computerizzata e rimandate a uno schermo video che si
trova all’interno del casco davanti agli occhi di chi lo indossa. Il guanto
manda informazioni sulla posizione e sui movimenti della mano al computer
che, quando calcola che essi corrispondono a un contatto con l'oggetto virtuale, provoca variazioni di pressione nel
guanto che la mano può sentire e interpretare come contatto [1]. Chieti,
ottobre 1992 Sono
con un gruppo di bambini di quarta elementare [2] in
una sala luminosa e sgombra. Su una parete c'è un grande specchio e, accanto
ad esso, una televisione collegata “a circuito chiuso” con una telecamera posta
sopra di essa e puntata nella stessa direzione dello schermo. Specchio e TV
per ora sono, coperti da teli. Propongo ai bambini una serie di attività che
mettono al centro del vissuto percettivo-motorio la
specularità (contrapposta all' ”identità”) nel proprio corpo e
nell’interazione con gli altri (ad esempio “fare lo specchio” di un altro, e
poi fare questo gioco dello specchio in quattro, fingendo due specchi
perpendicolari). Alla fine scopro lo specchio e la
TV e invito i bambini a mettersi di fronte ad essi e ad eseguire dei
movimenti. Durante l'esibizione tutti, e soprattutto l’attore, dovranno osservare
entrambe le immagini. Infine
ci sediamo a terra in circolo [3]: lo
- Quale delle due immagini è la più "giusta" secondo voi? Mauro
- La TV la vedi molto più piccola, invece allo specchio ti vedi all'altezza
giusta. Però fanno vedere le stesse cose. Cristiano
- Ad esempio nella TV il pavimento era obliquo, cioè stava in un'altra
direzione di quella dello specchio che era normale. Valeria
- Io ho notato che quando ho preso i bastoni per mettere dei segni, quando
spostavo i bastoni di qua andava di là… Io
– “Di qua"… cosa intendi? Verso la porta? Valeria - Quando io andavo verso la
finestra l’immagine nella TV andava verso la porta. Invece nello specchio io
mi vedevo normalmente: quando andavo verso la porta andava verso la porta. Lo
- Quindi qual è l’immagine più giusta? Valeria
- Quella dello specchio. Lorenzo
- Io ho notato che quando stai guardando la TV e salti... insomma si vedono
delle linee come salti. È come se ti fa vedere tutto il movimento. Invece
sullo specchio è come lo vedi tu. Domenico Parisi, nel numero 5/6
1992 della rivista Golem, sostiene che la direzione complessiva di sviluppo
attuale delle tecnologie dell’informazione va verso la realtà artificiale.
Assumendo che la realtà non è solo ciò che contempliamo ma ciò con cui interagiamo
con circuiti senso-motori, si può dire che “finora le tecnologie dell’informazione non hanno modificato la
realtà, non hanno creato una realtà artificiale. Hanno creato quadri
sensoriali artificiali che possiamo contemplare: i libri, i giornali, la
televisione, la radio, il cinema. Da questi media riceviamo stimoli, ma
quando si tratta di agire, agiamo sulla realtà reale. I media tradizionali
non sono interattivi. [...] è
vero che il calcolatore ha una sua interattività ma [...] ci consente di interagire
con lui in pochi modi. Troppo pochi perché ci possa dare l’impressione che
stiamo interagendo con la realtà.”. Oggi
due sono i contributi della tecnologia alla creazione di una realtà
artificiale: la multimedialità che,
usando molti canali diversi sensoriali riproduce la molteplicità dei tipi di
informazione esterna che caratterizza la realtà, e l'ipertestualità, che rompe la linearità dei media tradizionali
guidati dall'autore. Gli “ipertesti” sono insiemi di elementi informativi
multimediali (testi, schede, immagini, suoni...) tra i quali è possibile
stabilire collegamenti a discrezione dell’utente. L’utente “naviga” nella
struttura informativa scegliendo, tra i collegamenti potenziali, di rendere
attuali quelli che costituiscono il proprio percorso. Per questo “negli ipertesti ci si può perdere, come
ci si perde in tanti modi nella realtà. Si può non sapere più dove si sta”. All’inferno
della realtà artificiale la “realtà virtuale” occupa un posto particolare
perché i suoi artefatti operano “sui
cicli sensoriali e moti di azione-effetti‑azione
con cui siamo in presa diretta e neppure consapevole con la realtà. È questa
mancanza di consapevolezza che rende inquietante la realtà virtuale. In ogni
interazione, con i media, vecchi e nuovi, i nostri sensi e le nostre azioni
interagiscono con una zona di artificiale circondata da una zona di reale. L’interazione segue leggi diverse nei due
casi e questa diversità mantiene la separazione, e la consapevolezza della separazione.
La realtà virtuale tende invece a prendere tutti i nostri sensi e tutte le
nostre azioni, a collegarli secondo le sue leggi al livello di immediatezza
tipico dei funzionamenti senso‑motori. Per questo la realtà virtuale
può diventare indistinguibile dalla realtà”. Il
problema sta nel fatto che “la realtà
virtuale può farci interagire con una realtà che segue leggi diverse, in cui
un'azione ha un effetto sensoriale diverso da quello che ha nella realtà
reale. [...] Forse la società di domani non sarà più soltanto una società conquistata
dall’informazione e dalla comunicazione tra esseri umani mediata dalla
tecnologia e dai calcolatori, ma sarà una società che vive dentro una realtà
mediata dalla tecnologia e dai calcolatori. Un ‘cyberspazio’ ”. Forse
è il mio modo di prepararmi a vivere nel cyberspazio, ma mi è sembrato interessante
mettere a confronto due “generazioni” tecnologiche nel contesto in cui tutto
questo discorso assume per me un senso vitale: quello della relazione
educativa. Umberto
Eco sostiene [4] che gli uomini sono
animali “catottrici”, nel senso che sviluppano il proprio schema corporeo, e
quindi il proprio pensiero in una situazione in cui la percezione visiva di
sé è essenzialmente quella mediata dallo specchio. Mi sono domandato che cosa
cambierebbe nella percezione di sé, con tutte le conseguenze psicologiche ed
epistemologiche, se i bambini crescessero in un ambiente in cui tutti gli specchi
venissero sostituiti da monitor “a circuito chiuso” [5] che
mostrano l’immagine “identica” e non speculare di chi sta loro di fronte. Di
qui il piccolo esperimento con i bambini di Chieti, dal quale mi sembra si
possa concludere che i bambini trovano l’immagine speculare in qualche modo
più “naturale”, conformemente alle osservazioni di Eco. Interessante
notare che lo stesso lavoro fatto con bambini più grandi di un anno ha
mostrato un aumento delle quotazioni della TV, e soprattutto un certo numero
di “conversioni” alle ragioni della TV, verificatesi in relazione a
interventi di compagni nel contesto dialettico della conversazione. La mia
ipotesi è che entrano in gioco due diversi livelli di pensiero; voglio dire
che mi sembra ci sia una differenza tra ciò che i bambini dicono quando
riportano semplicemente la loro esperienza senso-motoria e ciò che elaborano
quando l'interazione verbale li inserisce in un contesto di ragionamento più astratto. La
presupposizione di due livelli non implica che il secondo vada considerato un
superamento del primo. Una delle bambine più grandi mi sembra esprima con più
evidenza questa compresenza: Valeria
- Secondo me non è giusto nessuno dei due. Perché se davanti allo specchio
alzi il braccio destro quello alza il sinistro. Però il braccio destro mio e
il braccio sinistro nello specchio stanno di fronte, invece nella TV se alzi
il braccio destro si alza il destro ma non stanno di fronte... Valeria riconosce l’ “irrealtà”
dello schema corporeo nell'immagine speculare, tuttavia individua una
irrealtà altrettanto significativa nel fatto che nell'immagine televisiva gli
arti corrispondenti “non stanno di fronte” (dalla stessa parte rispetto a chi
guarda), cioè in sostanza non si mantengono nella stessa zona del campo
visivo. E questo è essenziale per una operatività basata sul coordinamento visivo-cinestetico: e infatti la difficoltà dei bambini
rispetto alla TV aumenta nel caso essi si muovano nello spazio. Ma
non c'è solo il problema dell’inversione spaziale a giocare contro la TV. Le
osservazioni come quella di Mauro pongono l'accento sull'alterazione delle
dimensioni; Cristiano ha notato, durante uno spostamento casuale della
telecamera che l’immagine assumeva un orientamento arbitrario rispetto alle
direzioni di riferimento fisiche, orizzontale e verticale [6];
Lorenzo è stato colpito, nel caso di movimenti veloci, dalla presenza di
“scie” paragonabili all'effetto di “mosso” delle fotografie. A questo
aggiungerei la limitata limpidezza dell’immagine e la presenza stessa della cassa
dell'apparecchio che la inscatola. Mi sembrano tutti elementi che collocano
l'immagine TV in uno spazio diverso da quello reale della stanza in cui ci si
trova; lo spazio “interno” allo specchio è più facile da percepire in
continuità con quello della stanza, soprattutto se lo specchio è privo di
cornice. Certo,
come osserva Parisi, c'è un salto qualitativo tra TV e realtà virtuale. Per
sapere come reagiranno i bambini a questa nuova sfida non dovremo aspettare
molto: queste attrezzature già sono in vendita come giochi per ricchi (un
centinaio di milioni per vivere l’esperienza di un decollo verticale) e la
televisione ce ne illustra l'uso come simulazioni in attività di
progettazione urbanistica o di ricerca scientifica. Nella
natura ogni specie evolve in relazione ai mutamenti del suo ambiente che evolve
a sua volta in relazione ai mutamenti di quella specie [7].
Quanto questo discorso sia valido anche per l'uomo dipende da quanto la
cultura è in continuità con la natura, da quanto l’ “artificiale” non
costituisca una terza forma di realtà del mondo, oltre a quella della materia
e a quella del vivente (il “pleroma” e la “creatura” di Jung
e Bateson). Ma
preoccuparsi dei bambini è forse un falso problema. Come ci insegna Truffaut nei suoi film, i bambini si salvano sempre,
forse perché, e questa è una mia ipotesi, pensano in modo “complesso”, non
hanno ancora ridotto le loro fragili ma estese potenzialità al solo pensiero
analitico, magari nella versione squallida della cultura dei libri di testo
scolastici, quel pensiero che governa il mondo, il progresso e la tecnologia,
che come si sa, sono opera dei grandi. Il problema è quando i bambini
diventano grandi. E
poi, nella relazione tra noi e la realtà, il problema di “quale realtà” è
solo una delle facce. Metropolis, VI 2043 Ho parlato col capo. C’è un dispositivo da recuperare che
sprigiona una forte radioattività di genere nuovo, capace di causare gravi
danni al cervello, innocua per il resto del corpo. Non si è riusciti a
schermare in qualche modo il cervello, perciò hanno deciso che la persona
inviata per recuperare il dispositivo lascerà a casa il proprio cervello.
Conservato in un luogo sicuro, potrà esplicare le proprie normali funzioni di
controllo grazie a complessi collegamenti via radio. Ciascuna via di ingresso
e di uscita, appena recisa sarà rimessa in funzione grazie a una coppia di
ricetrasmettitori miniaturizzati, uno collegato al cervello e l'altro alle
radici nervose nel cranio svuotato. Non ci sarà alcuna perdita di
informazione: tutto il complesso delle connessioni sarà perfettamente conservato. Accetto
la missione: mi sottopongo all'operazione. Vengo anestetizzato... Non ricordo
nulla. Quando mi sveglio mi guardo allo specchio: a parte le minuscole
antenne impiantate sul cranio, nessuna differenza. Domando
del mio cervello; mi conducono a vederlo: sta in una vasca sospeso in un
liquido quasi tutto coperto di piastrine con circuiti stampati, tubicini di
plastica, elettrodi e altri affari. - è
il mio?- chiedo; - Giri l'interruttore di trasmissione e se ne accorgerà! -.
Lo faccio e di colpo intontito e in preda alla nausea mi accascio. Un tecnico
riaccende e mentre vado recuperando l’equilibrio e la padronanza di me
stesso, mi domando: - Io dove sono?- [8]. |
[1]
Queste dimostrazioni di “realtà virtuale”sono state presentate alla
esposizione internazionale della XVIII Triennale di
Milano La vita tra cose e natura: il progetto e la sfida ambientale.
[2] La classe è la IV 1992-93 della scuola elementare statale di Via Bosio a Chieti Scalo.
[3] Quella che segue è la trascrizione fedele di
una parte della conversazione.
[4] Umberto Eco, Lo specchio e il doppio, F.lli
Fabbri Editori 1987.
[5] Sarebbe
comunque difficile eliminare tutte le immagini speculari in un mondo dove,
è vero, sempre più rari si fanno gli “specchi” d'acqua, ma che fa sempre più
uso di vetro nelle costruzioni.
[6] Lo specchio era fissato alla parete, perciò
Cristiano non aveva l’opportunità di verificare se lo stesso effetto si ottiene
cambiando l'orientamento dello specchio.
[7] Oltretutto, quale sia “la specie” e quale “il
suo ambiente” è una nostra scelta cognitiva a determinarlo, visto che
l’ambiente è fatto anche di altre specie.
[8] Il testo è liberamente tratto da: Daniel C. Dennet, “Dove sono”, in: D.R.
Hofstadter e D.C. Dennet, L’io della mente, Adelphi 1985).