“Il volo di
Perseo” è una ricerca sul pensiero
dei bambini che sostiene un’ipotesi: la differenza tra bambini e adulti non è
quantitativa e progressiva, ma qualitativa e discontinua; i bambini pensano diversamente
dagli adulti. Questa diversa
“epistemologia” emerge dal confronto tra il modo di
pensare dei bambini e degli adulti di fronte a “sfide cognitive” che si
sviluppano nel laboratorio, luogo di ricerca libero da giudizi, o
meglio da pre-giudizi, dove le domande sono “legittime”, cioè non hanno già
una risposta, e una sola. Le tematiche affrontate hanno a che
fare con l’area della “complessità”, intesa nel suo significato più
specifico, più vicino al suo nucleo epistemologico e scientifico: il rapporto
tra conoscenza e vita, il linguaggio come caratteristica del vivente, il
rapporto tra realtà conoscenza e linguaggio, ovvero l’epistemologia tra ontologia
e psicologia, il rapporto tra percezione e rappresentazione, il linguaggio
che parla di oggetti e il linguaggio che parla di relazioni, la differenza
tra complicato e complesso, la relatività dei punti di vista, la scienza come
descrizione, l’integrazione dell’osservatore nella descrizione,
l’imprevedibilità intrinseca, i livelli di organizzazione della realtà, il
problema dell’ordine necessario, il rapporto tra caos e caso, tra ordine
ripetizione e creazione di forme, l’organizzazione come caratteristica dei
sistemi viventi e il rapporto con l’ambiente, l’adattamento e
l’auto-organizzazione. Da questa ricerca
si ricavano alcuni caratteri del pensiero dei bambini: -
è collettivo,
ovvero la conversazione è un sistema vivente, ovvero è un luogo dove si
co-costruiscono conoscenze “situate” -
è evolutivo,
perché procede per tentativi ed errori, variabilità e selezione -
si sviluppa “per
storie”; è adeguato quindi a descrivere la natura in quanto prodotto contingente
di una evoluzione -
è complesso:
comprende relazioni più che oggetti, è in grado di differenziare e
integrare diversi piani di discorso, è in grado di andare oltre la logica del
“tertium non datur” -
è epistemologico,
perché è consapevole del proprio funzionamento, e capace di riflettere sopra
se stesso: quindi -
è metacognitivo
e critico Per queste sue
caratteristiche il pensiero dei bambini è più vicino al “linguaggio del
vivente”, ovvero più in armonia con l’organizzazione del vivente; è più
vicino ad una concezione della mente non come ciò che distingue l’uomo dagli
animali, ma come ciò che lo connette all’intero mondo vivente; una “mente”
intesa come forma dei processi viventi, biologici e culturali: in
questo senso l’estetica diviene la base dell’etica nella
relazione con il mondo. Per queste sue caratteristiche il pensiero dei
bambini è anche più adeguato ad affrontare il problema della scienza, che è
problema della politicità della scienza nel suo rapporto contraddittorio tra
progresso ed ecologia; i bambini restano a contatto con la sostanza epistemologica
del problema, mantenendo la rotta della conoscenza lontana dagli scogli contrapposti
di un’oggettività tanto ingenua quanto autoritaria e di un soggettivismo
irresponsabile. Ne deriva sul
piano dell’educazione che il problema non è di insegnare scienze ai bambini,
ma di ascoltare quanto il loro pensiero complesso è in grado di
elaborare sulla complessità del mondo: l’ascolto non è solo una dimensione
etica (democrazia, rispetto dell’identità…), ma una pedagogia efficiente, che
richiede un suo dispositivo materiale. Questo dispositivo risponde più
ad una strategia che ad un metodo perché assume i bambini non come “macchine
banali” input-output, ma come sistema capace di auto-organizzazione. E questo
supera le separazioni soggetto / oggetto, psicologia / sapere disciplinare,
creatività / trasmissione ecc. “Ascolto” non è un’interpretazione
psicologica, ma un tentativo di comprensione che si sviluppa sul piano
culturale a partire da una totale attenzione al linguaggio dei bambini
nella sua diversità e specificità. Il rapporto
insegnante-bambini si pone allora in una prospettiva “co-evolutiva” a partire
dall’accettazione da parte dell’insegnante di entrare, come adulto, in conflitto
cognitivo con i bambini. L’a-simmetria non sta né nello scarto della conoscenza,
né in una relazione protettiva o acquiscente, sta nella funzione di cura
dell’ “area di sviluppo prossimo”, nel prendersi la responsabilità del dispositivo. Questo dà ragione
anche di un rapporto organico tra laboratorio scolastico e laboratorio “adulto”:
ciò che un insegnante impara come adulto in un laboratorio cognitivo
ha molto a che fare con ciò che insegna. |