Prefazione

 

"Di quando in quando qualcuno si lamentava che i miei scritti sono densi e difficili da capire. Può essere di conforto a quanti ritengono l’argomento difficile da capire se dico loro che nel corso degli anni io mi sono spinto in un 'luogo' dove le tradizionali asserzioni dualistiche sulle relazioni mentelcorpo... mi sono assolutamente incomprensibili. Comprendere i dualismi sta diventando per me difficile quanto per loro comprendere me."

 G. Bateson

 

“Io penso che ci sono cose che si possono conoscere (qualunque significato si voglia attribuire a questo termine) non ragionando con le parole, ma camminando."

M. Sala

 

Accade spesso che, sulla natura del proprio lavoro, gli insegnanti facciano quel genere di scoperte che mettono seriamente in dubbio ciò che essi faticosamente avevano fino ad allora imparato e insegnato.

Per Marcello Sala la scoperta non è del tutto inattesa: da sempre nutriva seri dubbi su quello che per altri erano certezze: per esempio, che insegnare sia un 'travasare' nozioni da un contenitore 'pieno’ a uno 'vuoto'. Non era mai entrato in classe con un bagaglio di discorsi belli e pronti (non usava nemmeno in libro di testo!) e frequentava persone che si ponevano le stesse sue domande. Di nuovo c’è che quella sua pratica del fare scuola ha adesso acquisito dignità scientifica, in virtù di nuovi studi: la cibernetica di secondo ordine, la biologia evoluzionista, la Gestalt, l’autopoiesi, la complessità ‑ von Foerster, Gould, Maturana e Varela, Ceruti, Morin... e soprattutto Bateson. Il volo di Perseo, scrive Marcello Sala, "è anche una verifica nel contesto educativo delle idee di Gregory Bateson sui sisterni viventi. Il riferirmi a lui non è soltanto un riconoscere la paternità di certe idee che sostengo; è qualcosa di più: è un accorgermi di quanto l’episternologia di Bateson, interagendo profondamente con la mia, sia diventata parte della mia 'natura', ovvero della mia cultura”.

Avventurandosi su “piste inusuali”, nei laboratori dove sperimenta con bambini e insegnanti modi nuovi di relazione, Marcello Sala acquisisce via via consapevolezza del modo di procedere del pensiero osservandolo nel mentre agisce, e in questo suo libro ci racconta cosa è accaduto quando le premesse teoriche sono diventate ‘storie’.

Fondata e cresciuta nell'ascolto, nel silenzio, nella parola parlata e soprattutto nella classe di messaggi che riguardano la persona intera, questa storia del ‘pensare per storie’, mal si presterebbe ‑ per sua natura ‑ ad essere comunicata nella pagina scritta. Dare 'ordine' a ciò che lineare non è costituisce un bel problema. La nostra lingua, incentrata com'è sul nomi più che sui processi, sulle cose più che sulle relazioni, ci impedisce di redigere resoconti precisi, ed è per di più "tanto flessibile da permettere anche la falsificazione”.

Il linguaggio ‑ scrive Bateson ‑ non può che denotare, descrivere particelle dell’universo: "Quando parliamo dell'universo non possiamo far altro che darne descrizioni suddivise. Ma queste suddivisioni dell'universo in parti nominabili possono essere fatte in tanti modi, alcuni migliori, altri peggiori". (Una sacra unità, Adelphi Milano 1989, p.346)

Marcello Sala avrà dovuto usare perciò molta cautela nello scrivere questo libro, e c'è voluto molto studio per superare la linearità del testo scritto, il quale impone che le questioni siano prese una dopo l’altra: una caratteristica questa della descrizione, non del pensiero.

Questo va bene per la poesia, per le divagazioni filosofiche... ma il pensiero scientifico? La scienza è ben altra cosa! Qui serve acquisire 'resoconti', comprenderli, memorizzarli, riformularli... Del resto, logico, analitico, non‑contraddittorio, e soprattutto lineare è il cammino della scienza: è cosi che siamo stati abituati a pensarlo: un procedere di accumulazione di fatti veri e certi, che sostituiscono credenze errate. Basterà che un insegnante esponga i problemi scientifici nella loro esatta, universale enunciazione.

Per Marcello Sala l’errore è proprio qui: “credere che esistano problemi scientifici, mentre invece esistono modalità scientifiche di descrivere e spiegare”.

Ciò non vuol dire che vanno sostituiti i contenuti tradizionalmente oggetto di indagine scientifica con contenuti altri o ridotti in pillole, ma che vanno proposti ai bambini gli stessi contenuti (l’ottica, la meccanica, il calcolo delle probabilità, la sintassi della frase...) nella loro originaria complessità: i bambini infatti ‑ ed è questa una delle tesi del libro pensano naturalmente in modo complesso, sono meno lontani da come la natura ci parla, da come la natura è fatta: per l’appunto complessa.

Eppure nella scuola può succedere che quando gli allievi incontrano difficoltà nell'imparare le scienze naturali, la matematica, la fisica, la grammatica..., anziché cercare la strada per appassionarli alle scienze naturali, alla matematica, alla fisica, alla grammatica, si semplifica il più possibile lo studio, fino a banalizzarlo.

Ma sono davvero i bambini a pretendere di essere educati ai sottoprodotti della cultura? e se sì, dove, da chi hanno appreso questa visione della conoscenza e in generale del mondo? "Con gli esseri umani ‑ scrive Batesonc’è il problema che se pensiamo a loro come fossero pezzi di legno, finiscono col somigliare a dei pezzi di legno." (Dove gli angeli esitano, Adelphi Milano 1989, p. 108)

Le voci dei bambini

Pur essendo chiaro nella prima parte ("Lo sfondo") da quali premesse teoriche muove l’articolazione dei discorsi e la conduzione dei laboratori, quella diversa 'cornice teorica' entro cui l’Autore sviluppa il suo pensiero ‑ una cornice entro cui mente e natura non sono separate, né sono rigidamente separati gli ambiti disciplinari ‑ potrebbe costituire per alcuni un duro ostacolo: pensare (e agire) entro una cornice teorica di separazione ‑ dualismo, riduzionismo e cosi via ‑ è per noi (noi adulti) cosi familiare e ‘ovvio’ che persiste anche quando concettualmente l’avessimo rifiutata. Ai paradigmi delle scienze della complessità ‑ ai quali un insegnante, anche non di formazione scientifica, può facilmente accedere e che può facilmente comprendere ‑ non corrisponde una parallela e analoga evoluzione di un linguaggio adeguato a quelle teorie e a quei concetti. Noi, insomma, continuiamo a descrivere il mondo vivente (e probabilmente a pensarlo) con una grammatica che parla di un mondo diviso e non organizzato.

Del resto, la legge del risparmio (il cosiddetto 'rasoio di Occam’), che ci permette di interrompere la ricerca di ulteriori spiegazioni quando l’ultima risultasse 'conveniente', fa sì che non abbandoniamo abitudini di pensiero consolidate anche quando fanno da ostacolo alla conoscenza del nuovo che converrebbe invece conoscere. Torniamo al linguaggio analitico della scienza: perché mai dovremmo cercarne un altro se questo, nelle scuole e nelle università, funziona cosi bene? Per spiegare, ad esempio, la 'natura della comunicazione biologica’ chi mai sceglierebbe di rinunciare al linguaggio canonico per adottare il linguaggio erratico e 'sgrammaticato' di un bambino? Eppure nella spiegazione di questo bambino c'è tanta sapienza:

“lo ho detto che la quercia non ha memoria ma comunica: per esempio, la quercia, quando le andiamo a fianco e le facciamo delle cose, la quercia se ne accorge, i dolori li sente, però quando ce ne andiamo... beh... non ha memoria perché non se lo ricorda; a noi non ce lo dice nessuno che ricorda o no; però invece comunica, perché ci fa capire se cambia la stagione, se c’é il vento...".

Questo brano di discorso, che va letto all’interno di un conversare a più voci (i bambini pensano insieme: altra tesi del libro), e che senza le osservazioni di Marcello Sala troveremmo insignificante, potrebbe divenire oggetto di analisi ben diverse nelle mani di un altro tipo di ricercatore: un linguista, per esempio, costruirebbe 'griglie' con colonne ordinatamente numerate e titolate, numeri assoluti, in percentuale, doverosi Totali: com'è che in tanti si appassionano a questo genere di cose? ‑ mi chiedo tutte le volte che inciampo in pagine zeppe di tabelle sugli usi linguistici dei bambini ‑; è com'è che in tanti prendono sul serio questo spezzettamento della persona?

Sala porge ascolto alle voci dei bambini, interviene a sua volta, registra, trascrive parole e pause. E nel racconto 'racconto' dei suoi laboratori, dove accosta le riflessioni sue a quelle dei bambini, rende agevole ai lettori la messa a fuoco dei nodi teorici, dai quali ricava ed esplicita le sue tesi: che le domande dei bambini sono le stesse che appassionano gli scienziati, che il modo di parlare dei bambini è più efficace, che i bambini rifiutano le false premesse (Per come la penso io, non è vero che gli specchi invertono la destra con la sinistra"), che attraversano con disinvoltura i “tipi logici” ‑ dalla comunicazione alla meta‑comunicazione (“Se noi ‘ragioniamo’ diciamo che stanno tutte e due a destra, ma per chi vede uno sta a destra e uno sta a sinistra”), fino a cogliere il concetto di auto‑organizzazione (“La parola 'meccanico' mi fa pensare che fa dei cambiamenti da sola, si riesce a organizzare da sola"), che sanno distinguere teorie generali da giudizi... ; e siccome pensano insieme, il loro percorso di conoscenza, per il fatto di essere ‘coevolutivo’, è analogo a quello della generalità dei sistemi naturali.

Nel confrontare gli stessi laboratori, le stesse domande che l’Autore propone a bambini e adulti, noteremo la differente 'naturalezza' con cui i bambini discutono di epistemologia: di quelle domande sulla natura e sull’ordine che i filosofi si pongono per professione.

Una grammatica "creaturale"

Siamo tutti un po’ filosofi. Ci interroghiamo tutti ‑ gente istruita e non ‑, e da sempre, su cosa è la vita, come è fatto l’universo, che cos'è veramente un essere umano... E da questo genere di domande deriva un agire che sarà più o meno morale, più o meno in sintonia con i sistemi viventi nei quali siamo immersi e che ci com‑prendono e che noi tentiamo di comprendere: noi ‑ ci ricorda Bateson ‑, che parliamo del mondo che è fuori di noi, siamo fatti della stessa materia delle cose di cui parliamo.

Conviene allora tenere ben chiaro che lo strumento di cui ci serviamo per descrivere, giudicare, per influire sulle cose e sugli esseri viventi è uno strumento delicato: le nostre descrizioni (dettagliate, formali, analitiche) possono infatti infrangere “la struttura che connette"; vale a dire che il linguaggio è si 'natura’ (e quindi ci 'connette'), ma allo stesso tempo ci sconnette tutte le volte che suddividiamo il mondo naturale in "particelle" ignorando la fitta rete delle relazioni. "L'ipotesi da verificare ‑ scrive Sala ‑ è se il linguaggio delle relazioni ci faccia capire meglio il mondo". Da questa ardua domanda è attraversato tutto il libro.

A scuola insegniamo ai nostri allievi grammatiche testuali perché imparino a riconoscere una varietà di forme narrative e perché imparino a loro volta a raccontare, scrivere, inventare storie, non siamo però altrettanto capaci di insegnare un linguaggio scientifico che, pur senza prescindere da nominazioni e classificazioni, sappia descrivere la natura organizzata del mondo biologico: una grammatica descrittiva “creaturale”, come la chiama Bateson, che abbia un suo particolare "rigore” (cfr. Dove gli angeli esitano, p.286).

Prendendo sul serio ciò che i bambini pensano e dicono, Marcello Sala osserva e studia la loro grammatica: sensibile alle metafore, alle storie, che ammette l’ironia, gli scarti di livello, il paradosso... in una parola 'creaturale'.

Le domande precedono le risposte

A chi è rivolto questo libro?

Il sottotitolo dichiara esplicitamente il destinatario: gli insegnanti di materie scientifiche. In verità è rivolto a tutti, a tutti coloro che vorranno saperne di più sull’apprendimento dei bambini, quindi anche ai genitori.

E cosa deve sapere già chi legge questo libro? È molto probabile che conoscere le teorie di Bateson sia di grande aiuto. Ma ancora più importante è la predisposizione ad ascoltare, acquisita per vie non importa quali, e non aver perduto, crescendo, la capacità di stupirsi: quell’atteggiamento proprio dei bambini, per i quali ‑ osserva Sala ‑ "niente sembra inatteso e tutto è degno di attesa”.

Il libro è suddiviso (come dev'essere ogni libro) in capitoli, paragrafi, scrupolosamente intitolati e numerati; nell'Appendice, il testo integrale delle conversazioni prima registrate. È necessario però ribadire un'avvertenza, che già l’Autore ha scritto nelle pagine iniziali.

Volendo cogliere la stretta connessione tra premesse teoriche e conversazioni (i laboratori) dovremo considerare il libro nella sua interezza; solo così se ne potranno isolare le parti senza che il tutto vada perduto. Ciascuna parte è infatti significativa per sé e delle altre (ciò è vero per ogni libro, ma per questo libro è particolarmente vero); in altre parole, l’andamento del libro è ricorsivo.

Lungi dall’idea che si possano 'applicare' a bambini e adulti le teorie, Marcello Sala suggerisce piuttosto al lettore‑insegnante di "lavorare sulle domande prima ancora di cercare le risposte", allo scopo di ricercare una qualche 'verità' sia su ciò che è oggetto di indagine scientifica, sia su noi stessi che indaghiamo: e per passare a questo 'apprendimento di secondo livello’ dovremo risalire ai presupposti della nostra epistemologia personale e divenirne consapevoli.

Un essere umano è in grado di portare alla consapevolezza un gran numero di apprendimenti, ma non è detto che lo ritenga utile o necessario, né che lo ritengano utile o necessario le culture umane. "L'uomo ha vissuto migliaia di anni senza scoprire che l’immagine retinica è rovesciata: allora, qual è il senso della scoperta?".

La cultura occidentale dà molta importanza agli apprendimenti consapevoli (al 'comprendere’ più che all’esercizio meccanico della memoria). Mentre nel passato e tuttora presso altre culture venivano e vengono preferiti gli apprendimenti meccanici, ripetitivi, rituali, e anche un ancoraggio alla visione religiosa del mondo, l’impresa scientifica, da Galileo in poi, ha scelto di spiegare il mondo rinunciando alla metafisica, e ha introdotto spiegazioni che superano o negano l’esperienza immediata dei sensi (è la Terra che gira intorno al Sole!).

Nella nostra visione scientifica del mondo, apprendere vuol dire perciò non soltanto selezionare, riformulare, assegnare nomi, tipologie, e quindi classificare (per ogni cultura ‘conoscere' vuol dire questo), ma fare queste operazioni entro un quadro normativo accuratamente esplicitato (alla scuola, poi, il compito di creare vocabolari di identità).

Questa visione 'secondaria' del mondo ‑ non elaborata né espressa nel linguaggio materno - per il fatto di essere elaborata ed espressa in un pensiero formale distante, diverso dal linguaggio ‘primario', va perciò insegnata in un diverso linguaggio. Ed è proprio qui la polemica di Sala: egli ritiene che nella scuola dell’infanzia vada messa in discussione “la validità di quel linguaggio”, per riuscire meglio ad ascoltare i bambini quando "parlano e pensano per storie".

Questo è un punto cruciale.

È senso comune (e prassi largamente condivisa) che l’educazione scientifica dei bambini richiede che essi abbandonino del tutto il loro modo di vedere, di descrivere, di pensare ‑ quel sicuro orientamento nel mondo che si rinnova a ogni nascita. Sala considera l’infanzia non il luogo e il tempo della felice ignoranza da riempire di conoscenze vere e accertate, ma luogo e tempo per cosi dire 'sacri', dove conviene esitare, e che la "cultura dominante" dovrebbe guardarsi dall’invadere.

Un "manovale delle scienze"

Quando la morte si approssimava, Bateson senti il bisogno di progettare un libro (Mente e natura) che lo mettesse al riparo da interpretazioni fuorvianti: desiderava intatti che le sue teorie sul mondo vivente fossero riconosciute come parte di un più ampio discorso scientifico. In una conferenza del 1975, dove tratterà dell’analogia tra evoluzione e pensiero, Bateson fa una premessa:

"Quello che voglio dire, molto semplicemente, è che ciò che accade all’interno è più o meno identico a ciò che accade all’esterno. E lo dico non da una posizione buddhista, bensì dalla posizione di un manovale impegnato nelle scienze occidentali." (Una sacra unità, p.408)

Ed è questa la definizione che vorrei dare di Marcello Sala: un manovale impegnato nelle scienze occidentali. Dove in tanti cercano una fuga dalla scienza, ritenuta (forse non a torto) riduttiva e finalistica, verso un olismo misticheggiante, egli qui mostra di ritenere che la rinuncia alla scienza ‑ alla possibilità di credere e di dubitare ‑ sia una grande sciocchezza.

Nella scuola, nell'università si sente spesso dire che l’ostacolo delle nuove generazioni ad apprendere è nelle differenze di enciclopedie, in una distanza che alcuni ritengono incolmabile tra noi che insegniamo e loro che imparano (alla loro età noi eravamo diversi: noi, che abbiamo fatto una buona riuscita!).

Quando la spiegazione non trova riscontro nella comprensione (o per meglio dire, quando così viene interpretato ciò che accade) di solito un insegnante ritorna alla sua spiegazione per meglio calibrarla: e il tenere conto del fatto che una spiegazione se non produce comprensione è come se non fosse mai esistita, è già un bel passo in avanti. Non è però della necessità della chiarezza espositiva ciò di cui si occupa l’Autore (almeno non in questo libro); quello che lo interessa è un altro aspetto della complementarità insegnamento/apprendimento: cosa può imparare un insegnante da ciò che l’allievo sa e lui non sa o sapeva e adesso non sa più: "Non 'come suscitare la motivazione dei bambini verso la scienza?' ma 'quali curiosità scientifiche mi sono sorte?’ “.

Crescendo si acquista molto, ma si perde anche tanto ("Diventare adulti significa perdere qualcosa; e proprio sul terreno di ciò di cui gli adulti vanno più orgogliosi: quello del pensare"); gli insegnanti tuttavia hanno la rara fortuna di occuparsi dei piccoli mentre i piccoli agiscono, parlano, giocano: hanno quindi la fortuna di poter imparare i fondamenti della epistemologia. Le spiegazioni dei bambini, infatti, non ci portano lontano dalla scienza, ma ce le fanno incontrare in modo diverso.

E siccome quel rigore che noi tendiamo ad attribuire solamente al ragionamento logico (inteso come lineare e privo di contraddizioni) è a fondamento anche della logica ecologica, ecosistemica del pensiero dei bambini, per imparare questa nuova logica ‑ immaginativa e rigorosa allo stesso tempo ‑, avendola noi adulti perduta, dobbiamo ascoltarli.

La "pedagogia dell'ascolto" proposta da Marcello Sala potrà risultare difficile per chi guarda all'infanzia come a uno stato bisognoso soltanto di cure materiali e di protezione; e interpreta cura e protezione dell’infanzia come cura e protezione per un fatto di minorità, per essere i minori soggetti al pericolo di sbagliare in quanto ignari di come il mondo è 'veramente’ fatto.

Com'è per altri mammiferi, anche gli umani nascono immaturi: l'uovo fecondato riparte da zero, ha bisogno di cure parentali e di imparare ciò che serve per vivere nel suo ambiente: gli apprendimenti culturali infatti non sono trasmessi per via genetica, vanno appresi.

Questo dato indiscusso ‑ tanto da non aver bisogno di dimostrazioni scientifiche ‑ accomuna le culture umane tra loro: nella boscaglia africana il bambino dovrà imparare a fare e disfare una capanna, a condurre al pascolo il bestiame, a leggere le stelle, il mutare del vento, l’impronta di un uccello migratore... e i nostri bambini dovranno imparare a leggere libri, a scrivere e a far di conto, che lampo e tuono sono fenomeni concomitanti, che la Terra gira intorno al Sole, la somma degli angoli di qualunque triangolo è 180°, il pi-greco è un numero infinito, il punto non ha dimensioni, le rette parallele non si incontrano (o forse si)...

Non è quindi in discussione la necessità di 'trasmettere' ai piccoli ciò che una cultura ha nel tempo acquisito. Ciò che Sala mette in discussione è un atteggiamento verso l’infanzia che identifica la 'minorità' come 'manchevolezza': di modi corretti di pensare. I bambini, invece, non soltanto pensano in modo complesso, non solo usano il linguaggio (più efficace) delle storie e delle relazioni, ma usano anche l’interezza della loro persona (un io non‑diviso) per rappresentarsi la realtà. E noi, che entriamo nel mondo dell'infanzia "come colonizzatori"!.

Per sbagliare di meno

"Sembra che abbiamo la capacità di sbagliare in modi piuttosto creativi ‑ scrive M. C. Bateson - e tali da fare di questo mondo che non riusciamo a capire un mondo in cui non potremo vivere." (Dove gli angeli esitano, p.301)

Esiste una buona e una cattiva ecologia delle idee, hanno modo di radicarsi entrambe, perché anche le idee peggiori funzionano. Se ci guardiamo intorno, troviamo infatti che la volgarità, l'arrivismo, l’ignoranza, le frettolose semplificazioni, la concretezza del fare che nega la concretezza del pensare, dominano e trovano consenso.

Se certa cultura pedagogica ha esercitato il nostro pensiero finalistico ‑ pianificare obiettivi, elencare competenze, la forma separata dal processo, la meta piuttosto che la via... ‑, in questo libro Sala ‑ facendo suo il pensiero di Bateson ‑ ci insegna che possiamo anche non specificare in modo 'perfetto’ lo scopo del nostro insegnare, ma non possiamo sfuggire alla domanda: come apprende un essere umano? e qual è la struttura che lo connette, mentre percepisce, pensa, decide, a ogni altra creatura che percepisce, pensa, decide?

Questo libro, che pare rivolto a chi insegna ai bambini, auguriamoci che venga letto dagli insegnanti che quei bambini li prenderanno quando saranno cresciuti: con quanta arroganza, con quanta insipienza vengono a volte trattati i ragazzi nella scuola superiore, da quegli insegnanti (non tutti per fortuna) preoccupati soltanto di dimostrare che nella scuola primaria non hanno imparato niente! Osserva Sala: "Occorre partire da ciò che ognuno sa, anzi da ciò che ognuno è. Alla domanda: come sono fatti questi studenti? ‑ domanda alla quale seguono spesso apocalittiche risposte ‑, gli insegnanti dovrebbero aggiungere l’altra: come dovrei essere io per poterli capire?

Nel mondo delle cose vive, infatti, ci sono soltanto doppie domande ‑ cito da Bateson: “che cos'è un uomo che può conoscere un numero? e che cos'è un numero che un uomo può conoscerlo?" ‑, e per tentare una risposta dovremo ‑ finalmente ‑ comprendere noi stessi che formuliamo la domanda.

Non c'è chi ‑ genitore o insegnante ‑, per quanto avvertito, possa dirsi al riparo da errori quando educa i piccoli.

Tanti filosofi e tanti scienziati e poeti, aprendoci strade prima non esplorate, ci hanno insegnato come fare per 'sbagliare di meno'. Ripercorrendo insieme a Marcello Sala 'la strada di Bateson' ‑ verso un'ecologia dell'educazione scientifica... ‑, riusciremo forse ad acquisire qualcosa di più o di diverso: quello sguardo che si solleva fino al più ampio orizzonte che comprende (e connette) l’epistemologia di tutte le creature viventi. Quando, poi, come sempre avviene, dovremo tenere desta l’attenzione alle particolari contingenze, sarà con la memoria inconsapevole di quello sguardo, e quindi con una rigenerata razionalità, che potremo "tornare a coltivare il nostro giardino” ‑ come saggiamente deciderà il Candido di Voltaire al termine delle sue mirabolanti avventure. Per noi adulti, l’avventura di re‑imparare dai bambini una qualche originaria innocenza, nel senso letterale di "incapacità di nuocere": al mondo dell'infanzia, al mondo dell'adolescenza, al mondo dei viventi in generale, e a noi stessi.

Rosalba Conserva

Roma, 4 marzo 2002