INTRODUZIONE

 

Nei momenti in cui il regno dell'umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell'irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un'altra ottica, un'altra logica, altri metodi di conoscenza...

Italo Calvino "Lezioni americane"

 

Come insegnante di scienze e formatore sono a contatto con il “pensiero scientifico” di bambini e adulti, in particolare insegnanti. Ciò che ho ricavato da questa frequentazione è la convinzione che i bambini pensano non solo in modo diverso dagli adulti, ma spesso in modo più efficace. A questa evidenza è per me legato il desiderio, e la necessità, di volare come Perseo per guardare il mondo con un’altra ottica, ovvero il senso di un mutamento epistemologico e di un cambiamento nella relazione di insegnamento/apprendimento.

Le esperienze che formano il corpo vivo di queste riflessioni vengono presentate nella seconda parte di questo libro (il laboratorio). Ma, quelle che nella mia vita e nel mio lavoro sono conclusioni di un lungo percorso di ricerca, qui costituiscono lo sfondo su cui sono proiettate le esperienze, e dunque nella prima parte del libro ho cercato di esplicitarle. Che cosa vuol dire essere “insegnanti di scienze”: quale collocazione configura? qual è lo specifico della conoscenza scientifica? come e perché il pensiero scientifico degli adulti è spesso inadeguato? in che cosa è diverso il pensiero dei bambini? con quali scenari culturali possono essere messi in relazione? e, infine, che cosa cambia tutto ciò nel mio modo di essere educatore di bambini e formatore di insegnanti?

Questo libro intende raccontare esperienze di scuola e di formazione nella loro storicità (qualcosa che è accaduto, in un luogo e in un tempo, a persone con una precisa identità), ma come base per coinvolgere altri in una riflessione sull’esperienza, per tentare di elaborare un discorso sulla formazione e sull’educazione. Se le esperienze sono presentate come esempi, è importante continuare a chiedersi di che cosa sono esempi?

Parlare di educazione e formazione significa parlare di soggetti, di oggetti, di contesti, di elementi di un sistema che è un aggregato di parti connesse. Subito si pone il problema per chi scrive di ridurre la complessità di un sistema interconnesso alla linearità di un testo scritto che presenta una questione dopo un’altra. Si può fare, ogni libro lo fa; importante è mantenere la consapevolezza che la separazione, la semplificazione, la linearità, la struttura, sono inerenti non alla realtà ma alla descrizione che se ne fa:

“Una descrizione non può mai somigliare alla cosa descritta e, soprattutto, non può mai essere la cosa descritta. L’unica verità che può accostarsi al livello assoluto è la verità che potrebbe venirci dalla cosa in sé, se potessimo raggiungerla; ma questo, purtroppo, come ci ha insegnato Kant, non è possibile […] Nella misura in cui il nome non è mai la cosa designata e la mappa non è mai il territorio, la ‘struttura’ non è mai ‘vera’.”  [1]

E con questa citazione ho anche fatto entrare in scena un personaggio fondamentale. In fondo questo libro è anche una verifica nel contesto educativo delle idee di Gregory Bateson sui sistemi viventi. Il riferirmi a lui non è soltanto un riconoscere la paternità di certe idee che sostengo; è qualcosa di più: è un accorgermi di quanto l’epistemologia di Bateson, interagendo profondamente con la mia, sia diventata parte della mia “natura”, ovvero della mia cultura, del mio modo di conoscere la realtà in cui vivo e lavoro e di rapportarmi con essa.

E tra epistemologia ed etica, tra conoscenza e azione, c’è una sostanziale connessione:

“… desidero esprimere fin d'ora la mia convinzione che certi fatti come la simmetria bilaterale di un animale, la disposizione strutturata delle foglie in una pianta, l'amplificazione progressiva della corsa agli armamenti, le pratiche del corteggiamento, la natura del gioco, la grammatica di una frase, il mistero dell'evoluzione biologica, e la crisi in cui oggi si trovano i rapporti tra l'uomo e l'ambiente, possano essere compresi solo in termini di un'ecologia delle idee…”  [2]

L’impegno per una “conversione ecologica”, se da una parte chiede una pratica di relazione diretta con la natura per riaprire possibilità di fare esperienza della "parentela", della "connessione" con essa, dall'altra trova nella "ecologia delle idee" un terreno vitale.

Insegnare scienze ai bambini significa occuparsi della formazione del pensiero scientifico, di modalità di conoscenza e di pensiero che hanno un ruolo essenziale nel dare forma alla pratica del nostro rapporto con il mondo. E, come sottolinea Isabelle Stengers, in questo rapporto tra pensiero e realtà si gioca la responsabilità dell'uomo nei confronti del mondo:

“La complessità che io tento di definire è d'uso prima di tutto pratico. Possiamo dire che il nostro mondo è complesso, ma questo non lo protegge in nulla contro le nostre strategie semplificatrici, perché queste strategie non si riducono a degli errori, che sarà sufficiente denunciare, ma a delle scelte di storia che possono inventare effettivamente i mezzi per produrre la realtà che le giustifica. È questa produzione di realtà che, fino a qui, s'identifica con l'immagine del progresso […] Mettere in tensione complessità e progresso, per me, non è affermare la complessità del mondo, è affermare la nostra responsabilità nella maniera in cui noi siamo capaci di definire il mondo, di tenerlo in conto nelle nostre pratiche.”  [3]

Non è un caso che venga da una donna questo discorso che sottolinea l’importanza del soggetto che “definisce il mondo”: per la cultura femminista la differenza del soggetto maschile/femminile è costitutiva del rapporto tra scienza e natura, e tra atteggiamento cognitivo ed etica. Elisabetta Donini nello sviluppare le sue riflessioni a partire dalle vicende seguite al disastro nucleare di Chernobyl, propone come punto di riferimento, in quanto donna e femminista, la nozione di “limite”. Sul piano conoscitivo il limite valorizza la “parzialità consapevole”; in ambito etico, come nucleo fondante dell’attenzione per le responsabilità e dell’ “interconnessione tra affermazione di sé e riconoscimento dell’altro”, promuove la compatibilità reciproca anziché il dominio.

La cultura femminista, nel porre come soggetto di pensiero un io sessuato in contrasto con le teorizzazioni generali che presuppongono un io universale preteso neutro, radica questa parzialità del punto di vista nella pregnanza delle pratiche di vita. Ma, dal mio punto di vista, colgo anche il pericolo di una contraddizione tra una pratica ambientalista e abitudini di pensiero profondamente radicate all'interno delle persone stesse. Una ricerca di modi di conoscere organici a una pratica ecologica non può allora che passare attraverso una pratica: costruire esperienze attorno all'azione del pensare. La mia ipotesi è che l'azione del corpo e la percezione, e anche, su un altro piano, l'incontro con situazioni paradossali, lo spostamento del punto di vista, la manipolazione di modelli dal comportamento imprevisto, l'esplorazione di aree di frontiera trascurate dalla scienza scolastica, possano costituire un inciampo per le categorie e le procedure abituali della conoscenza e della ragione, tanto da "mettere in azione" il pensiero su piste inusuali; e che insieme si possa osservare questo pensiero in azione per acquisire una consapevolezza del suo modo di procedere.

Molti anni fa all'interno del Movimento di Cooperazione Educativa fu posta la domanda: è possibile il matrimonio tra scienza e amore? Era una ricerca che si inquadrava nel contesto di una pedagogia e di una pratica didattica sintetizzata dal motto "a scuola con il corpo", dove per "corpo" si intendeva l'interezza della persona, del bambino ma anche dell'educatore.

Molto è stato fatto da allora "con il corpo" per recuperare quella parte che, nella separazione dualista pensiero/corpo, restava esclusa dalla scuola: il fisico, l'immaginazione, l'inconscio, l'emotività. L'urgenza del recupero ha indirizzato la nostra ricerca educativa più verso questa parte sommersa, negata, e si è forse trascurato il terreno della razionalità, del pensiero verbale, già troppo valorizzati e sopravvalutati. Il rischio che si corre nello scegliere una parte (il corpo) è di accettare il dualismo (corpo/pensiero) all'interno del quale quella si definisce appunto come una parte separata. E ancora il rischio è di rinunciare all'altra parte (il pensiero) come irrimediabilmente estranea e ostile.

Il tentativo che mi sembra valga la pena di fare è allora quello di assumere il pensiero, in particolare nel contesto della conoscenza scientifica, come campo e oggetto di ricerca educativa. La sfida è quella di riuscire non tanto a non dimenticare "l'altra metà", quanto a non perdere mai il senso dell'intero.

 



[1]   Gregory Bateson – Mary Catherine Bateson (1987), “Dove gli angeli esitano”, Adelphi Milano 1989.

[2]   Gregory Bateson (1972), "Verso un'ecologia della mente", Adelphi Milano 1976.

[3]  Isabelle Stengers, "Progresso e complessità: tensione tra due immagini", intervento alla Conferenza "Immagini della società, della natura e della scienza attraverso l'educazione ambientale”, Perugia 1992.