Galileo fu costretto ad abiurare
con la minaccia della tortura, perché sosteneva che il Sole gira attorno alla
Terra, mentre per la Chiesa di Roma è la Terra che gira attorno al
Sole... Ho intenzionalmente
rovesciato le due affermazioni, per dire che tutta la vicenda di Galileo,
così paradigmatica dal punto di vista storico, culturale e politico, non
sarebbe cambiata se, nel merito, le due opinioni fossero scambiate. Quale delle due teorie è più (o
meno) compatibile con la fede in un Dio creatore? basta farsi questa domanda
per rendersi conto della totale non pertinenza della questione. Ma, obietta qualcuno, non di un dio
creatore qualunque si parla, bensì del Dio della Bibbia. E allora leggiamola:
nel Genesi il racconto di come è avvenuta la creazione... sono due. La
prima (da Gen 1,1 a Gen
2,3) è scandita per giorni e Dio procede, nell’ordine, a separare la luce
dalle tenebre (1), separare le acque e creare il cielo (2), separare le terre
dai mari e creare le specie vegetali (3), creare gli oggetti celesti per dare
luce alla Terra separando giorno e notte e come segni per distinguere le
stagioni (4), creare le specie animali natanti e volanti (5), creare gli
animali terrestri e l’uomo “a sua immagine e somiglianza” “maschio e
femmina”, affidare il mondo all’uomo (6). La seconda descrizione segue la
prima senza interruzione (da Gen 2,4 a Gen 2,25); qui Dio prima crea cielo e terra, dentro la
terra pone i semi, poi crea l’uomo dalla terra e gli dà vita attraverso il soffio,
poi pone l’uomo in un giardino, facendo germogliare i semi, poi forma gli animali
e fa dare loro un nome da Adamo, poi dà ad Adamo “un aiuto” traendo Eva dalla
sua costola. I due racconti sono
diversi, contrastanti nella rappresentazione del rapporto uomo-donna,
addirittura opposti nell’ordine della creazione tra animali e uomo, e sono lì
uno dopo l’altro. Questo di per sé rende semplicemente impossibile, prima
ancora che insensata, una interpretazione letterale del
racconto biblico. I racconti sono due perché chi ha redatto questa parte della
Bibbia si è trovato a fare i conti con differenti tradizioni orali (in cui
persino il nome di Dio è diverso) e ha deciso di non eliminare una delle due.
Questa evidenza mi sembra molto significativa in merito ai rapporti tra
verità religiose e cultura (culture): la Bibbia è un libro multiculturale
(forse anche relativista). Per quanto riguarda la
faccenda di Galileo, è nel quarto giorno del primo racconto che Dio inventa
l’astronomia, ma non prende posizione tra geocentrismo ed eliocentrismo. Ma se la religione ha a
che fare con la vita umana nella sua interezza e pregnanza esistenziale, non
è perché affronta il problema della creazione, che a me pare essenzialmente
intellettuale, ma perché fornisce una soluzione al problema radicale
dell’umanità, quello della sofferenza e della morte; nel caso della religione
cristiana la soluzione passa attraverso la fede nella resurrezione del
Cristo. Rispetto a questo nucleo della fede,
qual è la pertinenza di una teoria astronomica? Evidentemente nessuna; eppure
per gli uomini del tempo di Galileo dalla scelta di una teoria astronomica
dipendeva la permanenza all’interno della comunità della Chiesa Cattolica (e,
in alcuni casi, la sopravvivenza fisica). Newton e Leibniz,
quasi un secolo dopo Galileo, furono protagonisti di un’altra disputa attorno
all’ordine naturale: se il mondo è testimonianza dell’opera di un artefice
divino, ci si domanda se questi opera intervenendo continuamente e dovunque a
regolare il meccanismo (Newton) o se una volta per tutte incorpori nel meccanismo
le “leggi” del suo funzionamento (Leibniz). Rispetto alla disputa sulla
struttura del sistema solare questa è di ben più vasta portata e soprattutto
si riferisce in modo esplicito alle funzioni del Creatore. Eppure in questo
caso tracce della disputa le ritroviamo solo nei libri di storia della
filosofia. Perché la Chiesa Cattolica non minacciò di tortura nessuno dei due
protagonisti? aveva forse perso quella capacità di riconoscere l’eresia nelle
teorie scientifiche che le aveva permesso di scegliere con tanta sicurezza
tra Tolomeo e Copernico? Oppure era diverso il contesto politico di questa divergenza culturale? Non dimentichiamo che l’
“affare Galileo” si colloca in piena controriforma, dopo un secolo di
rivolgimenti politici e sociali originati proprio dalla riforma protestante.
Non è un caso che la Chiesa di Roma farà ammenda su Galileo tre secoli e
mezzo dopo, in ben diverse condizioni politiche. La conclusione è che il
nesso delle teorie scientifiche con la fede religiosa non sta nel loro merito
cognitivo, ma in relazioni di potere storicamente determinate. Nel caso di Darwin la
questione si ripropone. Non è in discussione il problema religioso, se
cioè Cristo con la sua resurrezione dà una risposta al Problema antropologico
della morte; Darwin non si occupa della Creazione dentro un discorso
teologico, si occupa di come
funziona l’ordine del mondo vivente e se ne occupa da scienziato. Ma è
esattamente questo che la Chiesa Cattolica non accetta: che esista un punto
di vista scientifico indipendente. In discussione è l’autonomia della
scienza. La dicotomia tra “creazionisti” ed
“evoluzionisti” sembra avere una notevole rilevanza nella Storia, quella in
cui la relazione tra cultura e politica condiziona la vita delle popolazioni
umane. Il punto è che, nel contesto da cui si è soliti pensare che provenga,
questa disputa non esiste. Tra i biologi la grande questione
oggetto di dibattito è se l’origine dell’ordine sia da cercarsi
nell’adattamento dell’organismo all’ambiente (la funzione determina la forma)
o nei vincoli interni (la forma condiziona la funzione). Tra i
“funzionalisti” che attribuiscono l’ordine essenzialmente all’adattamento troviamo
tanto Darwin quanto il capofila dei suoi avversari “creazionisti”, William Paley (per il quale l’adattamento era la migliore testimonianza
della sapienza del Creatore). Gli schieramenti rispetto a questa questione
fondamentale, che si può etichettare come “funzionalismo/strutturalismo”,
attraversano il campo degli anti-evoluzionisti o pre-evoluzionisti
tanto quanto quello degli evoluzionisti, e arriva ai giorni nostri. Dunque la contraddizione
creazionismo/evoluzionismo non ha rilevanza là dove dovrebbe nascere, e cioè
nel merito delle teorie sulla origine e sul dispiegarsi nel tempo dell’ordine
della natura: perché allora permane e si estende nello spazio della
comunicazione mediatica? La ragione sta nella relazione tra cultura e
politica e nelle relazioni di potere all’interno della società. Ancora oggi qualcuno vuole fare di
Darwin un pretesto; e allora, dal punto di vista di un’ecologia della
cultura, la cosa migliore da fare è quella di difendere la possibilità di
farne un testo, un oggetto da studiare
e discutere nel merito. Il luogo
primario dove ciò può accadere è naturalmente la scuola. Rocco Buttiglione ci ha
spiegato che il governo di cui è ministro ha vietato l’evoluzione ai minori
di 14 anni per il loro bene: “è particolarmente importante fare
attenzione all’età degli allievi ai quali si impartisce l’insegnamento
dell’evoluzionismo...”. Quello che mi interessa è la premessa implicita
del discorso di Buttiglione e cioè che
la scuola è un luogo dove gli insegnanti indottrinano gli allievi: per
questo è così importante discutere di quale dottrina. Io ho una idea diversa
della scuola, come un luogo in cui chi insegna crea le condizioni perché i
bambini co-costruiscano conoscenza in
un contesto sociale di interazione a partire dal riferimento alla realtà e
dal bagno di linguaggio (e di informazioni) in cui sono immersi. È in questo
contesto educativo che mi pongo la domanda se la teoria dell’evoluzione è
accessibile o no alle capacità di comprensione dei bambini. E ho anche la risposta,
che emerge dalle conversazioni dei bambini quando si verificano due condizioni:
a) l’adulto garantisce le condizioni dell’interazione comunicativa, ma non vi
entra (la regola è che non deve dire la sua nel merito); b) l’ascolto parte
dal presupposto che i bambini sono rappresentanti di una cultura i cui significati
non ci appartengono e che vogliamo capire
(una specie di osservazione etnografica). Un primo esempio mi
viene da bambini di sei anni che parlano proprio di creazione: INSEGNANTE:
Prima l’aria o prima noi? Matteo – Prima l’aria e poi noi. NADIA – No, guarda che
Gesù prima ha creato gli animali, poi le scimmie, poi i babbuini e poi siamo
venuti noi… INSEGNANTE – Ma se non veniva
l’aria, dice Matteo, non potevano esserci gli animali…
MATTEO – Perché, prima che
esistevamo noi, ha creato i dinosauri qui, che poi ci sono le ossa. Dunque i bambini, quando provano a
spiegare come avverrebbe la
creazione (qualunque cosa significhi per loro questo termine) manifestano un
pensiero evolutivo, nel senso di una dimensione di sviluppo storico, di un
ordinamento nel tempo (prima... poi). La discriminante introdotta da
Darwin, il punto di discontinuità epistemologica, è proprio la dimensione storica:
la varietà dei viventi e la loro trasformazione è un prodotto della storia.
Ma è stata proprio la cultura giudaico-cristiana, a partire dalla Bibbia, a
introdurre la storia, successione irreversibile di eventi, come struttura fondamentale
nel rapporto tra uomo e Dio. In una terza elementare discutono di
evoluzione bambini che non hanno mai “studiato” l’argomento a scuola e si
portano da casa informazioni ricavate da trasmissioni televisive,
videocassette e pubblicazioni: Leonardo – [...] da bambino diventi adulto e
cresci, quando ti evolvi cambi specie, cambia la specie degli uomini, come
l’australopiteco e poi il sapiens... Marco - Crescita ed evoluzione sono due
cose diverse, se no perché hanno inventato due parole se fossero la stessa
cosa; e poi quando cresci - va beh - diventi più alto - che ne so?- però il
nome non lo cambi e dopo muori ed è una cosa tua, invece l’evoluzione riguarda
tutti gli esseri viventi. i bambini operano una fondamentale distinzione di livello tra organismo e
specie. Leo – Certo: da meno intelligenti a più intelligenti. Akira - Io non sono d’accordo con Nicolò;
lui ha detto “da quando sei nato a quando sei grande”: quella non è
un’evoluzione, quella è una crescita. Evoluzione e crescita sono due cose diverse,
perché crescita stai nella stessa specie, invece evoluzione da una cosa
diventi un’altra: l’Australopiteco è diventato l’habilis. In realtà
sono tre fenomeni diversi: 1) crescita individuale, 2) evoluzione all’interno
della specie, 3) evoluzione per differenziazione di specie. L’elemento
pertinente messo in evidenza è la differenza tra continuità (prima e seconda)
e discontinuità (terza). La seconda (Leo) e la terza (Leonardo, Akira) rappresentano due idee diverse di evoluzione,
anche storicamente in conflitto: progressione lineare (anagenesi) contrapposta a ramificazione
(speciazione allopatrica). Akira
- Noi siamo una specie evoluta […] se non si era evoluta la Terra, non
c’eravamo noi: da quand’era incandescente si è dovuta evolvere e siamo
arrivati noi. c’è qui l’idea di una continuità tra storia della Terra e storia
umana e della unità della vita. Leo - Io non sono d’accordo con Nicolò:
la Terra forse si è freddata per un caso. MAESTRA - Tu dici che nell’evoluzione
c’entra il caso? Akira - Io sono d’accordo con Leo: è un
caso; poteva raffreddarsi in altri modi, quando c’è stato il terremoto che ha
fatto raffreddare tutto era un evento, cioè per caso. e questa è la consapevolezza della contingenza della storia e della
stessa presenza della specie umana. Il riferimento al caso
significa possibilità e imprevedibilità: Leo - Potevamo evolverci in una maniera
tale che potevamo vivere nel fuoco. Leonardo - Può darsi che ci evolviamo ancora, in certi casi
ci evolviamo. Akira - Non è che c’è una specie di uomo
e poi è finita la vita dell’uomo: per adesso dal primo essere vivente c’è
stata la vita fino a qui, adesso possiamo diventare - che ne so?-
elettronici, robot… però quello ancora non è successo; allora per evolversi
tocca aspettare del tempo. E c’è qui anche la consapevolezza
dell’importanza strutturale della dimensione del tempo. In questa conversazione i
bambini incontrano il paradosso del cambiamento: il soggetto di un cambiamento
cesserebbe di essere quel soggetto, di esistere nella sua identità.
L’espressione “diventare un altro” è paradossale, sia riferita all’individuo
sia alla specie -
quando ti evolvi diventi sempre altre cose -
nell’evoluzione diventa un’altra persona,
non è sempre… non ha lo stesso nome,
cambia, con l’evoluzione non è la stessa persona -
l’evoluzione è così: una specie diventa un’altra dove
stesso e altro sono le
parole chiave -
Ma un rinoceronte non si può evolvere in un pappagallo! -
No: ti evolvi in una cosa che non esiste ancora. Su questo percorso i bambini poi
incontrano la morte come elemento chiave dell’evoluzione (e quindi della
vita) e arrivano a comprendere il ruolo della morte degli individui per la
vita della specie (“un giorno moriremo
e nascerà un’altra cosa”); questo li porta a riformulare una descrizione
del fenomeno (“… la crescita è che cresci,
l’evoluzione è che cambi di persona, muore uno e quello che rinasce è un po’ diverso”)
che permette di uscire dal paradosso: l’evoluzione è un cambiamento che si sviluppa tra una generazione e la
successiva di individui viventi. (“...c’è un uomo che stava
evolvendosi e muore, e stava già un po’ evolvendosi e il figlio è già un po’ di
più evoluto”: siamo allo stesso punto in cui era Darwin: gli manca la
genetica). Dunque,
riassumendo, attorno all’evoluzione i bambini elaborano spontaneamente una
conoscenza che comprende le seguenti idee: distinzione di livello tra
organismo individuale e specie, distinzione tra progressione lineare e
ramificazione, continuità tra storia della Terra e storia umana, contingenza,
possibilità e imprevedibilità, dimensione temporale, paradosso dell’identità
e del cambiamento, cambiamento che si sviluppa tra una generazione e la
successiva di individui viventi. Una articolazione e profondità di
idee sufficienti a convincermi che i bambini della scuola elementare sono in
grado di affrontare lo studio dell’evoluzione. Questi bambini hanno diritto di
studiare l’evoluzione e di avere una scuola che garantisca le condizioni per
questo apprendimento, così come hanno diritto a non essere presi in giro da
falsi divulgatori che nei musei e nelle manifestazioni scientifiche
propongono laboratori didattici in cui “estraggono il DNA” esattamente come
un mago estrae il coniglio dal cappello; hanno diritto alla consapevolezza
e quindi ad accedere alle conoscenze scientifiche che possono metterli in
grado di decidere consapevolmente su questioni che riguardano la loro vita,
per non trovarsi come si è ritrovato il popolo italiano di fronte ai quesiti
del referendum sulla procreazione assistita. Dobbiamo mettere i futuri cittadini
nella condizione di poter dire: se
le cose stanno così (e questa è la scienza), allora io decido in un
certo modo (e questa è la democrazia) e me ne prendo la responsabilità (e
questa è la civiltà). |