0903_TO_Cini.jpgUn ricordo personale di Marcello Cini

scomparso  il 22/10/2012

 

Mi era noto come autore dei libri che hanno fatto la storia dell’ambientalismo scientifico, ma io non sono mai stato un militante ambientalista, perciò l’ho incontrato di persona molto tardi, nel 2004, a Roma, quando Rosalba Conserva gli chiese di presentare al CIDI il mio libro “Il volo di Perseo”. Mi era stato detto che era un lettore critico poco disponibile all’accondiscendenza e ai toni celebrativi che caratterizzano spesso queste occasioni. Perciò fu con preoccupazione che lo vidi arrivare con la copia del libro zeppa di post-it.

Io ero un insegnante di scuola media, che per la prima volta si cimentava con la scrittura di un libro, in cui per di più pretendevo di fare riferimenti alla rivoluzione della fisica degli inizi del XX secolo, la sua materia. Lui si espresse in modo molto positivo sul mio lavoro, ma questo avrebbe solo appagato il mio narcisismo. Quello che mi diede davvero soddisfazione furono le meticolose citazioni e precise osservazioni  (a questo gli servirono i post-it): era entrato nel merito del mio lavoro, dedicandomi tempo e attenzione. 

Nel 2005 ci fu la campagna “Dalla parte di Darwin” organizzata da Legambiente dopo la cancellazione dell’evoluzione dai programmi scolastici ad opera dell’allora ministro Moratti. La partecipazione a quegli incontri è impressa nella mia memoria per la condivisione con Marcello Cini e Marcello Buiatti. Io naturalmente ero molto orgoglioso del fatto che il mio nome sulle locandine fosse affiancato a quello dei due scienziati, ma ero anche intimidito dal dover accostare i miei interventi ai loro. Timidezza che fu subito superata dal loro atteggiamento, sancito dalla riesumazione del nome di un complesso musicale degli anni ’60: “Los Marcellos ferial”.

Fu in quelle occasioni che mi accorsi che gli interventi di Marcello Cini mi commuovevano. Chi lo ha sentito sa benissimo che era persona lontana dalla retorica, che certo non “parlava alla pancia”, che piuttosto argomentava come un vecchio professore, senza mai cambiare il piano tono di voce, senza alcuna ricerca di efficacia della comunicazione che non fosse quella degli argomenti stessi. Allora che cosa mi commuoveva? Forse proprio questo: trovarmi di fronte a contenuti etici nella loro intima relazione con la scienza e l’epistemologia, senza tentativi di manipolazione, nella purezza del pensiero. Forse c’entra quella cosa che ormai non si può più nominare ma cui io sono ancora sensibile: la “verità”?

Nel 2006 gli chiesi di scrivere la prefazione del mio libro “L’arte di (non) insegnare”. Mi invitò nella casa di famiglia sulla Collina di Torino e mi venne a prendere con l’auto. Anche questa volta si era letto tutto con grande cura (“prendersi cura”) e mi diede importanti consigli redazionali: si può sperare di meglio che avere Marcello Cini come “amico critico”?

L’ultimo incontro è stato qualche stagione fa al seminario del circolo Bateson, dove Marcello Cini arrivò camminando a fatica ma intervenne con la consueta lucidità e intensità etica. Tommaso Castellani e io, preparando il nostro intervento sulla metafora nella scienza, avevamo teatralizzato le ambiguità e contraddittorietà dell’argomento nel contrasto delle nostre due voci e alla fine lo chiamammo in causa come “arbitro della contesa”, lasciando che fosse lui a ricomporre la disputa nel quadro in una visione complessa ma per nulla pacificata (posso scomodare di nuovo la parola “verità”?).

Mi sentivo, nonostante la mia età, figlio adottivo di un’ultima generazione di “Cini boys” e ne ero molto orgoglioso.