Dice
il fisico Fritjof Capra [1]: <<Oggi sta diventando evidente
che un'insistenza eccessiva sul metodo scientifico e sul pensiero razionale,
analitico, ha condotto ad atteggiamenti che sono profondamente antiecologici.
In verità la comprensione di ecosistemi è ostacolata dalla natura stessa
della mente razionale. Il pensiero razionale è lineare, mentre la
consapevolezza ecologica sorge da una comprensione intuitiva di sistemi non
lineari. Una fra le cose più difficili da capire nella nostra cultura è il
fatto che, se si fa qualcosa che è buono, una quantità maggiore della stessa
cosa non sarà necessariamente migliore. Questa è per me l'essenza del
pensiero ecologico.>> La questione sollevata è per me
esistenziale, per due motivi: il primo è che personalmente sono convinto che
nella crisi ecologica attuale, intendendo il termine "ecologico"
nel senso più ampio, sia in gioco la sopravvivenza del pianeta, o almeno
della specie umana sul pianeta, e il secondo è che sono un educatore, cioè
sono in qualche misura responsabile del tipo di pensiero con cui le nuove
generazioni affrontano la vita. PENSIERO
ECOLOGICO L'aspetto di questo problema che interessa
in questa sede può essere condensato in una domanda: la scienza e la
tecnologia del computer sono una espressione forte di quel pensiero lineare,
di quel paradigma scientifico che da Cartesio e Newton in poi ha dato forma
all’epistemologia dominante della civiltà occidentale e che ci ha trascinato
sull’orlo della crisi finale? Una risposta affermativa vuol dire per me porre
la contraddizione tra una mia ricerca svolta in questi anni sull’informatica
a scuola e le nuove finalità che la crisi attuale pone al mio lavoro di
insegnante. Prima però di concludere in tal senso,
vorrei esplorare due possibilità. La prima assume il computer come strumento
in un certo senso "neutro", o meglio "modellabile", e
sposta l'accento sui contenuti di una attività didattica svolta attraverso
l'uso del computer: ecco allora il filone del software di argomento
ecologico, che propone giochi, simulazioni, integrazione di informazioni,
strumenti di analisi. La seconda possibilità è quella di
verificare se la flessibilità del computer trascende i confini del pensiero
che l'ha generato. In altre parole: è possibile usare il computer per un
lavoro che costruisca frammenti di pensiero ecologico, che dia un minimo
spazio germinale a quella che viene identificata come "epistemologia
della complessità"? La ricerca che propongo trae spunto da
interventi di F.J. Varela e di H.Atlan [2] in
cui gli autori ripropongono gli orientamenti di Wiener, il padre della
cibernetica. L'interesse di Wiener era rivolto alle macchine che avessero
attività finalizzate (riflessi, controlli, autoregolazioni); la cognizione
per lui era un'azione autonoma autocreatrice; le sue "macchine"
erano sistemi autonomi determinati dall’interno, organizzati con chiusura
operazionale, basata sulla coerenza e capace di produrre un mondo. Questa impostazione risultò storicamente
perdente rispetto a quella di Von Neumann, che proponeva lo sviluppo di
meccanismi booleani in grado di calcolare qualunque problema avesse soluzione
e venisse presentato nel loro linguaggio. Egli era orientato alla ricerca di
procedimenti universali per risolvere problemi ed era convinto che la
cognizione fosse fondamentalmente un'attività di problem solving (sia
per l'Intelligenza Artificiale che per i sistemi viventi) in cui la nozione
centrale è quella del trattamento delle informazioni. Il suo interesse era
rivolto a sistemi eteronomi, determinati dall’esterno, con una organizzazione
del tipo input/output e operazioni basate sulla corrispondenza. Idee queste
che hanno dato origine alla scienza del computer quale oggi conosciamo come
dominante. Rifarsi all’orientamento di Wiener
significa, secondo Varela recuperare dall’oblio l'aspetto autonomo e
produttore di senso degli esseri viventi, cioè derivare modelli cibernetici di
autoorganizzazione per gli organismi viventi capaci di rendere ragione delle
loro capacità di adattamento al cambiamento, di creazione di significati.
Sono modelli capaci di reagire a perturbazioni casuali con una
riorganizzazione che consenta l'emergenza di nuove proprietà (strutture o
comportamenti); aspetti che, come si vede, hanno un eccezionale interesse
nell’ambito del pensiero ecologico. MATERIALI
PER UNA RICERCA Nel lavoro che sto conducendo in una prima
media il computer viene utilizzato sia come strumento di riproduzione visiva
e sonora sia come "scatola di montaggio" di automi.
Il concetto centrale è quello di
"automa booleano ad anello (ABA)". Un automa booleano è una
macchina capace di assumere due stati. Un anello booleano è una sequenza
lineare chiusa di automi booleani in cui ogni automa cambia il proprio stato
in dipendenza dallo stato dei due automi adiacenti secondo una delle 16
funzioni di Boole. L'anello
funziona "in parallelo" cioè tutti gli automi cambiano stato
contemporaneamente calcolando lo stato successivo a partire dagli stati
attuali degli automi adiacenti. Il software utilizzato comprende: un generatore di ABA con possibilità di
perturbazioni ambientali un generatore di ritmi lineari grafici un generatore di ritmi sonori un codice di corrispondenza
suono-grafica una "macchina di Ashby"
programmabile una "macchina di Boole"
programmabile
La scelta di LOGO come linguaggio di
programmazione, oltre ad essere imposta dalla mia ignoranza di altri
linguaggi, è giustificata dalla sua "trasparenza" cioè dalla possibilità di
"andare a vedere" con i ragazzi le procedure significative, di
ritrovarvi descritto in modo intelleggibile il funzionamento dell’automa. Quello che traccio qui è solo uno dei
percorsi che è possibile costruire con questo materiale. La prima proposta può essere semplicemente
quella di giocare con gli ABA. Una volta scelta la lunghezza dell’anello,
cioè il numero di automi che lo compongono, il primo stato dell’anello viene
generato casualmente e compare sullo schermo sotto forma di una sequenza
rettilinea di segni binari (idealmente l'ultimo automa a destra si ricollega con
il primo a sinistra); sotto la prima sequenza compaiono quelle
successivamente generate, costruendo delle tessiture grafiche (fig. 1). Ciò
che si verifica è che l'ABA, dopo una prima fase che comprende un numero
variabile di stati successivi, si stabilizza su strutture periodiche.
In questa fase non si chiede neppure ai
ragazzi di ipotizzare il funzionamento dell’automa; tuttalpiù si può condurre
una osservazione globale sulle dinamiche di sviluppo dell'ABA; e si può
introdurre il lavoro sui ritmi, chiedendo loro di identificarne la ciclicità
(ogni quanti anelli ricomincia la successione delle sequenze) (fig. 2). Una
diramazione interessante è la ricerca delle relazioni tra lunghezza dell’ABA
(numero di automi per anello), il periodo di stabilizzazione e la ciclicità. Lo sviluppo del lavoro consiste
nell’affrontare separatamente le due componenti dell’esperienza precedente:
quella visibile dei ritmi, quella sottostante della logica di generazione di
un anello dal precedente. PERCORSI Nel lavoro sui ritmi il concetto di ritmo si
presenta nella sua forma più semplice, che sfrutta l'isomorfismo tra una
sequenza lineare di due tipi di segni grafici e la sequenza temporale di due
tipi di suoni. Il software, che introduce il codice di corrispondenza
suono-segno grafico, semplicemente produce ritmi lineari a partire dalla
definizione di un modulo, ovvero gestisce interattivamente sotto forma di
gioco l'individuazione del modulo a partire dalla visione e/o dall’ascolto di
un ritmo composto dalla ripetizione di un certo numero di moduli. Il lavoro sui meccanismi degli automi
invece può utilizzare le "macchine di Ashby", scatole nere in cui è
possibile, introducendo un dato numerico, osservare il corrispondente dato in
uscita. Ciò che si propone ai ragazzi è di fare e verificare ipotesi sul
funzionamento della macchina prevedendo le uscite. Una macchina di Ashby
"banale" può ad esempio limitarsi a raddoppiare il dato in entrata,
ma è possibile incontrare macchine che, ad esempio moltiplicano x 2 se il
dato in ingresso è pari e moltiplicano x 3 se è dispari. L'identificazione
risulta molto più difficile per il salto di livello e non per la difficoltà
del calcolo. Una diramazione di questo lavoro è quella che utilizza le
funzioni che operano su sequenze di segni come l'inversione e la traslazione,
o le permutazioni. In questa direzione si può proseguire con la composizione
di funzioni semplici. Il computer in questo caso serve a generare ingressi e
corrispondenti uscite secondo certe progressioni di difficoltà combinate con
la casualità e a verificare se la funzione individuata dall’utente è quella
corretta. Quando i ragazzi hanno formulato l'ipotesi
e ritengono di averla verificata sulle uscite previste, si va a vedere con
loro nel "cuore" dell’automa la procedura che utilizza la funzione,
e, se è quella ipotizzata, si chiede loro di modificarla per riproporre il
gioco ai compagni. Dalle macchine di Ashby a quelle di Boole
il passo può essere quello di macchine di Ashby a funzione binaria, cioè con
due dati numerici in ingresso e uno in uscita, a partire dalle familiari
operazioni aritmetiche. Con le macchine di Boole il lavoro
consiste sempre nell’individuare la tabella della funzione, con un salto di
difficoltà insito nella novità dell’operazione non aritmetica. Uno sviluppo
interessante può essere allora quello di cercare di definire a parole il
funzionamento della macchina e la strada è aperta per una ricerca sui modelli
linguistici o logico-formali di tali funzioni e sui loro isomorfismi. Nella fase seguente del lavoro si può
tornare agli automi ad anello per conseguire un controllo sul loro
funzionamento. L'esperienza può essere fatta con modelli viventi degli automi
booleani in cui una serie di ragazzi seduti in cerchio con in mano una carta
a due facce rappresenta l'ABA: ogni ragazzo deve calcolare, in base alla
propria tabella di funzionamento e al segno delle carte dei ragazzi seduti di
fianco, il valore che dovrà assumere la propria carta. Si può partire con una
uniformità delle funzioni booleane per ognuno degli automi, per passare ad
una loro diversificazione individuale. Se si dispongono in linea le sedie
mantenendo però le relazioni di contiguità per il calcolo, si riporta la
situazione a quella rappresentata sullo schermo. Quello che si può chiedere ai ragazzi è di
prevedere lo sviluppo dell’ABA e ciò introduce all’ultima fase, che possiamo
definire come una verifica dei limiti del determinismo meccanicistico verso
una coscienza della complessità. Le capacità di previsione dei tempi di
stabilizzazione o della lunghezza dei cicli infatti si rivelano del tutto
inadeguate già con anelli di pochi elementi; la ragione non sta solo nella
complicazione quantitativa dei calcoli, ma nell’emergere di significati nuovi
e imprevisti dalle dinamiche di sviluppo dell'ABA.
Ciò è ancor più evidente se si introduce
l'elemento casuale sotto forma di "perturbazione". La perturbazione
è presente nell’ambiente come segnale booleano che interferisce nel calcolo
dello stato dell’automa che la incontra (fig. 3). Ciò che avviene è che l'ABA
esce dal ciclo per poi stabilizzarsi su un ciclo diverso (fig. 4/5).
L'osservazione di queste dinamiche porta i ragazzi non certo a
"comprendere" il fenomeno nelle categorie analitiche del
"nostro" pensiero scientifico, ma a farne esperienza. Ciò che i ragazzi hanno sotto gli occhi è
un modello di organizzazione capace di modificarsi da sé, di creare dei
significati imprevisti. E questa è la condizione minimale per parlare di
autocreazione di significati. Autoorganizzazione significa permettere al caso
di acquisire significato, a posteriori e in un determinato contesto di
osservazione. Da un lato una certa quantità di indeterminazione (il caso)
nella fabbricazione e nell’evoluzione del modello consente alla novità di
avere un suo ruolo. Dall’altro lato il ruolo dell’osservatore e del contesto
nella definizione del significato permette alla novità di non essere caos ma
di acquisire eventualmente un significato a posteriori, in un
determinato contesto e per questo contesto.
Un osservatore esterno potrebbe attribuire
all’ABA intenzionalità, perché ogni processo di creazione di significato
osservato in maniera globale dall’esterno sembra essere presieduto da
intenzionalità. Ma la barriera causale/ intenzionale non sta nelle cose in
sé. L'intenzione si trova nel significato che noi diamo alle cose
(interpretazione) e il significato è prodotto dall’osservazione degli effetti
funzionali delle cose. Attribuire intenzionalità dove c'è
significato funzionale ci fa ricadere nello spiritualismo, mentre non
riconoscerla, a causa del metodo di analisi riduzionista, ci riporta al
meccanicismo. Imparare a sfuggire all’uno e all’altro mi sembra un contributo
ad un pensiero ecologico. |
[1] Fritjof Capra, Il punto di svolta, Feltrinelli 1982.
[2] Francisco Varela, Complessità del cervello e autonomia del vivente,
in Bocchi G. e Ceruti M., La sfida della complessita, Feltrinelli 1985.
Henri Atlan, Complessità, disordine e autocreazione del significato,
in Bocchi G. e Ceruti M., La sfida della complessita, Feltrinelli 1985.