Marcello Sala - conversazioni in classe: registrazioni e commenti
1^ B 1988-1989 S.M.S. Anna Frank
Cinisello Balsamo (MI) Insegnante Marcello Sala
OGGETTO
SGUARDO IMMAGINE
1 INS.
- Quando noi diciamo di vedere un oggetto, è il nostro sguardo che va all' oggetto
o è qualcosa dell' oggetto, diciamo la sua immagine, che viene dentro i nostri
occhi?
2
DANIELA - Certe volte uno e certe volte l'altro.
3 INS.
- Perché "certe volte"?
4
DANIELA - Perché possono essere delle persone...
I primi due interventi di Daniela
risultano incomprensibili. Per fortuna l’insegnante sta zitto: a far comprendere
il senso saranno interventi di altri (8,12).
5
LUCA - Io dico che sono i nostri occhi che vanno
verso le cose, come una macchina fotografica, come una lente che guarda le cose.
La risposta di Luca sembra collocarsi
in una delle due alternative proposte, ma poi l'esempio scelto è in piena
contraddizione: cosa c'è di più passivo nel raccogliere un'immagine della
macchina fotografica?
6
ANDREA - Per me s'incontrano al centro.
Andrea sembra solo proporre una via
di mezzo a scopo pacificatorio, ma, collocata nel contesto, può essere letta
come un rifiuto della polarità proposta dall'adulto.
7
DANILO - Per me è la vista che guarda l'oggetto che
noi guardiamo, perché per esempio io guardo il calendario là, poi mi giro e
vedo la mappa del cielo: allora è la vista che va a vedere l'oggetto.
8
BRUNELLA - Anche per me è la vista che va
all'oggetto perché se noi non ci accorgiamo di quello che c'è intorno... se noi
non guardiamo una cosa ma guardiamo in quella direzione, non è che la cosa che
guardiamo viene a noi. Lei non ci può guardare, siamo noi che dobbiamo guardare
lei.
Si
comincia a comprendere il 4 (vedi 12).
9
RAFFAELE - Per me invece è una cosa di messa a fuoco,
perché noi possiamo avere due oggetti su una stessa direzione... per esempio,
guardando di là, io vedo sia Luca che la lavagna, però se voglio guardare Luca
concentro la vista su Luca e non vedo la lavagna, o guardo la lavagna e non
vedo Luca; perciò per me è la vista.
Danilo, Brunella e poi Raffaele con
una maggiore "scientificità" sottolineano la componente dell'intenzionalità
dello sguardo. Interessante in questi interventi l’uso del "se” (vedi 10).
10 MASSIMILIANO
- Anche per me è la vista, perché se abbiamo gli occhi chiusi non vediamo
niente, se invece li abbiamo aperti vediamo tutto.
L’uso del "se", al di là
della risposta diretta, è qui proposto con evidenza: uno dei termini della situazione,
in questo caso il soggetto, è visto come condizione del verificarsi della
visione.
11 KATIA -
Secondo me invece sono tutte due le cose insieme, perché se non ci fossero le
cose noi non le potremmo vedere, e se noi non potessimo vedere...
12 GIOVANNA -
Secondo me le cose vengono a noi solo se sono altre cose che possono vedere,
per esempio io guardo la cartina, la cartina non guarda me, perché lei non può
guardare. Se è un animale o una persona, lo sguardo si può incontrare, ma se è
una cosa che non può vedere...
Il fatto di distinguere gli oggetti
propriamente detti dagli oggetti "soggetti" in quanto
"vedenti" fa comprendere il senso di 4. L'oggetto in prima istanza è
visto come un altro soggetto che ti guarda. Si tratta di un caso particolare di oggetti; ciò per un adulto significa un
sottoinsieme della classe di eventi in esame, mentre evidentemente per i
bambini è un caso che ha un particolare significato. I bambini non considerano
come un oggetto qualsiasi un soggetto vivente nella reciprocità dello sguardo
(è in essa che Giovanna coglie la relazione, cui è interessata).. Oltretutto
questo linguaggio condiviso induce a guardare a questo loro pensiero come a una
forma di teoria scientifica e non soltanto come a una strada personale di accesso
al problema. L'emotività è una componente inscindibile del pensiero infantile e
non un'altra cosa rispetto ad esso.
13 INS.
- Allora quello che abbiamo disegnato sul vetro che cos'è? Quegli alberelli che
cosa sono? L'idea di qualcosa che viene dall' oggetto a noi non era tanto nel
senso che anche l'oggetto ci guarda, ma nel senso che qualcosa dell' oggetto
arriva al nostro occhio, qualcosa che possiamo chiamare immagine. Allora c'è o
non c'è questa cosa?
14 ANTONELLO -
Volevo dire che se intorno a noi non abbiamo niente non possiamo vedere niente,
se invece abbiamo qualcosa, abbiamo la possibilità di guardarlo, perché c'è
l'immagine di qualcosa. Perciò è sempre l'immagine che viene a noi.
A parte la presa di posizione finale
rivolta all'adulto, ripropone gli elementi come condizioni per la relazione.
15 LUCA - Se tu
hai gli occhi chiusi non vedi niente; è come due lenti: se gli metti davanti
qualcosa non vedono niente.
Ripropone il discorso sulle
condizioni riferendolo al soggetto, ma resta fedele alla sua immagine della
macchina fotografica, a ricordare che il pensiero dei bambini si àncora al concreto o alla memoria percettiva.
16 DANILO -
Sì... La stessa cosa è se c'è la luce: noi vediamo... quando non c'è più luce
non vediamo più niente.
Estende il discorso delle condizioni
al terzo elemento, la luce. Ciò sposta decisamente il discorso dal rapporto
soggetto-oggetto alla relazione in sé.
17 INS.
- Non metto in dubbio che c'entra il nostro sguardo, però che cos'è quella cosa
lì disegnata sul vetro? Non è il nostro sguardo. E poi assomiglia tutta a
quegli alberi che stanno là dietro.
18 DANILO -
Quella roba disegnata sul vetro sarebbero gli alberi che sono fuori disegnati
sul vetro...
19 INS.
- Ma come ci sono arrivati sul vetro?
20 DANILO - Con
i nostri occhi!
La cosa che colpisce nel riascolto
della registrazione è il tono dell'ovvietà in questa risposta che appare più "strana": la provocazione
teorica, in essa contenuta, è inconsapevole come provocazione o come teoria?
21 INS.
- Nel senso che sono i nostri occhi che hanno portato l'immagine degli alberi
sul vetro?
22 DANILO - Sì.
Cioè il disegno l'abbiamo fatto noi vedendo il di fuori...
23 INS.
- Ma quella cosa lì che sta sul vetro che cos'è?
24 DANILO - Un
disegno.
Questo scambio di battute (18-24) appare un po’ come una commedia dell'assurdo e dà
l'idea dell' irriducibilità dei linguaggi, o forse dei pensieri, con la
differenza che l’insegnante non riesce ad entrare in quello di Danilo, mentre
lui sembra passare con disinvoltura da uno all'altro.
25 INS.
- Però è un disegno degli alberi che stanno dietro, non un disegno qualsiasi. Addirittura,
se avete fatto come vi avevo detto, non l'abbiamo neppure disegnato, l'abbiamo
proprio ricalcato.
26 DAVIDE -
Massimiliano ha detto che se noi stiamo con gli occhi chiusi noi non vediamo
niente, però il sogno viene a noi, non è che noi andiamo dal sogno. E il sogno
è sempre un' immagine.
[...]
L’intervento di Davide costituisce una
svolta fondamentale del dialogo che proseguirà verso sviluppi inattesi. Esso
mette contemporaneamente in crisi la vecchia teoria "oggettivista"
(il sogno infatti non è immagine di alcun oggetto presente) e la teoria
"soggettivista" nascente (nel sogno infatti vediamo anche quando il
soggetto non percepisce). Se la visione è una relazione, quale migliore esempio
del sogno per cogliere la relazione allo stato puro, in
assenza cioè dei referenti? Si può pensare che Davide abbia avuto una
straordinaria intuizione che ha fatto fare un salto di livello nel senso della
complessità; ma la naturalezza con cui ha fatto il suo intervento (l'importanza
di poter riascoltare la registrazione!) e gli altri lo hanno seguito fa
dubitare che questa sia una "conquista evolutiva" del pensiero infantile:
forse la complessità è il modo di pensare originario dei bambini.
La domanda iniziale viene ripetuta in
varie forme più volte (13, 17, 21, 23, 25), ma non riceve mai una risposta soddisfacente.
All'inizio i bambini,
nel contesto di un rapporto asimmetrico d'autorità, sembrano scegliere una
delle due alternative proposte. Ma le spiegazioni che i bambini adducono non
sembrano coerenti, in diretta relazione logico-causale con la premessa: è come
se ci stessero strette e ne trasbordassero. Poi, man mano che i bambini acquistano
sicurezza, le risposte sembrano sfuggire, divergere. C'è come uno scarto di linguaggio
che nasconde un pensiero diverso.
Se non c'è risposta, il problema sta forse nella domanda; come viene
posta ai bambini, contiene alcune premesse implicite: c'è un osservatore, c'è
un oggetto, lo sguardo è un'azione dell' osservatore, l'immagine è una
caratteristica dell' oggetto. Sono quelle premesse ad essere rifiutate dal
pensiero dei bambini. E hanno ragione: tutto ciò che attiene alla visione
esiste solo come relazione; non è possibile caratterizzare i "meccanismi"
della visione senza un qualcosa da vedere, come non si può definire le caratteristiche
visive degli oggetti senza che essi vengano visti, né tutto ciò può avere luogo
e senso senza la luce. Gli adulti definiscono la "trasparenza" come caratteristica
di materiali come il vetro di lasciar passare la luce; quando poi chiedo se il
vetro è trasparente anche al buio, quasi inevitabilmente si infilano in una palude
di contraddizioni, senza rendersi conto che esse nascono dalle premesse "ontologiche"
del loro discorso (l' "esistenza" di un oggetto), le stesse che erano
contenute nella mia domanda iniziale ai bambini.
Si può allora
rileggere il dialogo come il tentativo dei bambini di costruire una teoria
della visione fuori dalle categorie del "nostro" pensiero
scientifico.
Oltretutto
i bambini danno una dimostrazione del ruolo cognitivo della metafora nel
pensiero complesso. Per noi adulti l'usare il termine "visione" al di
fuori del fenomeno della vista costituisce uno slittamento, basato certo su una
analogia, in un contesto non "proprio", in qualche modo meno
concreto. Per i bambini l'utilizzo della stessa parola significa una
fondamentale unità.
"Immagine"
"chiarezza" "mettersi nell' ottica" "punto di vista"
"visione delle cose" "illuminazione" sono termini che si
possono trovare comunemente riferiti alla conoscenza, al pensiero. Lo slittamento
di significato presuppone delle analogie e una facilità di spostamento dall'
area semantica relativa alla visione a quella relativa al pensiero. Probabilmente
la giustificazione sta nel fatto che per l'uomo la visione è uno spazio percettivo
privilegiato nella costruzione delle conoscenze. Spesso ciò che si sa, o si
ricorda, di una cosa proviene in modo determinante, quantitativamente e
qualitativamente, dalla sua percezione visiva.
Se si
vuole porre il problema dell'osservatore, la visione è un contesto in cui il
"punto di vista" non è solo una metafora, ma un fatto intrinseco, un
elemento fondante dell'esperienza.
Per la
scienza classica l'osservatore non è implicato nel fenomeno che osserva: la sua
è una descrizione "obbiettiva". Ma è proprio così? Ad un primo
livello il problema dell'osservatore può essere quello di non interferire nel
fenomeno osservato, problema risolvibile con più discrezione e abilità
nell'usare strumenti appropriati. Ma in un senso più profondo la domanda è se
l'osservatore non è parte del fenomeno, o, in altri termini, se oggetto della
scienza sono i fenomeni oppure le descrizioni che l'osservatore ne fa.
Naturalmente a questo
proposito le opzioni teoriche sono diverse: ciò che è interessante verificare
con i bambini è l'esistenza di pregiudizi e cattive abitudini di pensiero che
impediscono agli adulti di porsi delle domande.
Ad
esempio è un pregiudizio l' "esistenza", la convinzione che "ciò
che vedo è". Impedisce di porsi seriamente domande come "ciò che
penso che sia, è?" "che cosa significa la frase precedente?"
"c'è differenza tra l'esistenza e la affermazione dell' esistenza di un
oggetto?"