Marcello Sala

VERTICALIZZARE?

Linguaggio della scienza e linguaggio

della scuola alla prova della realtà

-pubblicato in- 

NATURALMENTE

n. 2 / 2008

Felici Editore

 

 

Vorrei tornare sui problemi posti dall’articolo di Marco Testa “Meridiani verticali” e lo faccio a partire non da un’aula scolastica o da un laboratorio didattico, ma dallo sport nazionale. Tenendo conto che in stragrande maggioranza chi insegna appartiene al genere femminile, che ha meno dimestichezza con i campi di calcio, mi metterò nei panni di chi non sa già, quindi non darò nulla per scontato.

CALCIATORI E MURATORI

Lo sport del calcio si gioca su un campo (approssimabile a un piano) orizzontale. Per definizione di orizzontale esso non può contenere linee verticali.

Osservando il gioco del calcio, gli unici elementi verticali che è dato di cogliere sono i pali delle porte, le bandierine ai vertici del rettangolo di gioco e, approssimativamente, l’asse principale del corpo dei giocatori, quando non sono in azione. Le traiettorie impresse al pallone sono paraboliche, ma solo nei casi banali,lte ll'un animatore risporata sul portale ULISSE della  e solo in casi abbastanza eccezionali possono avvicinarsi alla verticale; in questi casi nell’oralità che accompagna il gioco del calcio vengono tradizionalmente definite “a campanile”, forse per nostalgia del passato, quando si giocava a pallone sul campetto dell’oratorio.

Nel gioco del calcio ognuna delle due squadre ha come scopo mandare il pallone nella rete della squadra avversaria (le reti sono poste al centro dei lati corti del rettangolo di gioco) e ciò definisce un orientamento base per ogni squadra: quello che va dalla propria porta verso quella avversaria. Per la convenzione fondamentale del gioco avanti è il vettore parallelo all’asse maggiore del campo diretto verso la porta avversaria. I lanci in avanti sono evidentemente quelli che mandano il pallone in questa direzione, che potremmo designare “longitudinale”, e in questo verso.

A ribadire questa convenzione, i lanci del pallone che hanno direzione trasversale, ovvero parallela al lato corto del campo, si usa definirli “laterali”, termine attribuito anche ai giocatori che si muovono in prevalenza nella zona prossima al lato lungo del rettangolo (“fascia laterale”).

Stando così le cose, rimango stupito quando in una telecronaca sento il termine “verticalizzare”; presto attenzione e mi accorgo che viene correntemente usato per movimenti dei giocatori o del pallone effettuati in avanti verso la porta avversaria. Quanto detto esclude la possibilità che l’espressione “in verticale” intervenga per “supplenza”, in assenza di un’altra più semplice di uso comune; anzi si comprende facilmente che “in avanti” avrebbe molte ragioni per essere considerata la più semplice.

Questo uso linguistico è testimoniato anche dalla sua presenza nei dizionari che più sono sensibili alla lingua come fatto sociale, come linguaggio parlato:

verticalizzare “... sport, nel calcio, sviluppare l’azione di attacco lungo l’asse verticale del campo, dando profondità al gioco”

Come inevitabilmente capita nella consultazione dei dizionari la definizione di un termine rimanda ad altri e il gioco continua fino a che chi li consulta trova nelle definizioni solo termini noti, oppure rinuncia disperato di fronte alla amplificazione esponenziale dei termini ignoti.

Per fissare il significato di “verticalizzare” allora cerco la voce contenuta nella sua definizione:

profondità: “condizione, carattere di ciò che è profondo / distanza, misurata in senso verticale, tra il fondo di un corpo cavo e la sua estremità superiore”

Per fissare il significato di “profondità” allora cerco la voce

verticale ”geom., di retta o piano, perpendicolare a un piano orizzontale - estens., che si sviluppa o ha una disposizione perpendicolare rispetto al piano dell’orizzonte o rispetto al terreno o ad altri punti di riferimento”.

Che sarà quel “geom.”? se significa “geometra” capisco che abbia a che fare con l’orizzonte terrestre, se significa “geometria” invece non mi risulta che questa disciplina contempli la forza di gravità. Ma sono quisquilie di fronte al problema che queste voci di vocabolario impongono alla comprensione, che si suppone sia lo scopo di chi le consulta: se “verticale” designa la direzione “perpendicolare rispetto al piano dell’orizzonte” come si può nel gioco del calcio “sviluppare l’azione di attacco lungo l’asse verticale del campo”, il quale non può che essere una linea perpendicolare al piano del campo che passa per il suo centro?

Ho provato a chiedere spiegazioni. Escludendo quelle che danno per scontato quello che si chiede di spiegare con la domanda, e che quindi non costituiscono delle risposte, ho trovato interessante “è un modo di dire”, o, in una versione più sofisticata, “è una metafora”.

Effettivamente l’oralità del gioco del calcio è piena di metafore e di modi di dire. So troppo poco di retorica per conoscere i termini appropriati, ma mi pare si debba fare una distinzione. Ci sono modi di dire che assumono un evento particolare come rappresentativo di una classe. Prendiamo ad esempio Cesarini, che era un calciatore cui capitò di segnare goal decisivi negli ultimi minuti della partita e per questo passò alla storia (del calcio). Da allora si dice, di un goal segnato negli ultimi minuti, che è stato segnato in “zona Cesarini”. L’espressione è significativa solo per chi conosce questo riferimento particolare “locale” ma il suo uso si è esteso anche a chi probabilmente ne ignora l’origine: “in zona Cesarini” è diventato un modo di dire.

Ci sono modi di dire o metafore che invece trasferiscono un termine di uso comune per tutti i parlanti di una certa lingua a un ambito diverso da quello in cui è nato e in cui viene usato “letteralmente”. Questo gioco linguistico è basato sull’analogia di rapporti in una struttura: “come A sta in rapporto a B nel contesto C, così D sta in rapporto a E nel contesto F”; dico “il tramonto della vita” per dire la vecchiaia, perché la vecchiaia sta alla vita come il tramonto sta alla giornata. In sostanza un significante, come “tramonto”, viene ad assumere, grazie a questo trasferimento di contesto, un significato diverso da quello abituale, letterale. Ma quanto può essere diverso?

Più è lontano e diverso il contesto in cui viene trasferito il rapporto e più l’effetto è cognitivamente e retoricamente forte, ma con questo aumenta anche la difficoltà di comprensione. Non so se questa diversità e lontananza si possano misurare, ma mi sento di dire che di sicuro si supera un limite della coerenza del sistema linguistico, e quindi della comprensione, se il significato traslato contraddice o, nel caso limite, è opposto rispetto a quello letterale.

Se “verticale” è usato come metafora, il termine assume un significato diverso da quello letterale in un contesto diverso, ma questa diversità può arrivare fino al punto in cui il termine “verticale” viene attribuito a qualcosa di orizzontale?

Non sto certo sostenendo che la metafora è estranea al linguaggio scientifico, anzi! Ma c’è una caratteristica che è “obbligatoria” nella metafora scientifica ed è la consapevolezza che di metafora si tratta, ovvero che è in atto un movimento di trasferimento da un contesto a un altro. In questo senso la lontananza e diversità dei contesti non solo è per la scienza elemento creativo[1] ma favorisce la consapevolezza nella comunicazione: il quadro delle pertinenze del discorso cambia così tanto che, se “non si capisce la barzelletta”, almeno ci si accorge che di barzelletta si tratta e che non la si è capita.

Ma, nel caso di cui stiamo parlando, le pertinenze sono le stesse, quelle relative alla spazialità e all’orientamento; quindi abbiamo un’inversione di significati nello stesso contesto di pertinenza.

Nell’articolo di Marco Testa si vede come i bambini usino riferimenti che sarebbero di per sé contraddittori (verticale è ciò che è parallelo al lato lungo della stanza in cui mi trovo, verticale è ciò che è parallelo all’asse del mio sguardo, verticale è qualcuno o qualcosa che sta in piedi) e che però non entrano in contraddizione per il pensiero contestualizzato e scarsamente astratto dei bambini: per i bambini ogni contesto (di esplorazione e di discorso) è un mondo a sé che ha un suo sistema linguistico; il fatto che venga usato lo stesso termine in contesti diversi nel loro sistema cognitivo è più astratto e meno importante di ciò che accade all’interno di ciascun sistema… purché i sistemi non siano presenti contemporaneamente e non vengano messi a confronto in un meta-contesto con un atto di astrazione. In un certo senso anche gli addetti all’edilizia e i calciatori operano in contesti diversi, ciascuno dotato di un suo linguaggio. Ma che succede quando gli edili vanno allo stadio o i calciatori si fanno costruire una villa e ci tengono a che i muri portanti non vengano edificati adagiati al pavimento? E l’insegnante a scuola deve considerare i propri allievi come futuri edili o futuri calciatori? O deve tenere lezioni separate per i due gruppi? E le future segretarie e i futuri salumieri?

La scuola si pone come luogo per tutti e oltretutto mira allo sviluppo dell’astrazione e della meta-cognizione; e allora il linguaggio che adotta deve essere il più possibile transcontestuale. Perché non usare allora il linguaggio della scienza che si occupa di descrivere le relazioni spaziali, quello che è stato elaborato appositamente per trattare quel tipo di problemi e di aspetti della realtà?

DOV’è IL NORD DAVVERO?

Vorrei ora affrontare un altro nodo problematico che Marco Testa ha individuato nel suo laboratorio. Il Nord è un punto? Può esserlo: ad esempio il Polo Nord è un punto. Rispetto a dove ci troviamo noi esso si trova sotto l’orizzonte e la congiungente tra noi e il Polo Nord passa sotto terra. Se chiedo di indicare dove si trova il Polo Nord il dito indice dovrà essere puntato verso terra (e non verso il cielo, come avviene nella maggior parte delle risposte).

Possiamo accettare che il dito sia puntato orizzontalmente se consideriamo la coincidenza locale tra il piano orizzontale e la superficie terrestre. In effetti non esiste un piano orizzontale sulla Terra dal momento che verticale e orizzontale sono definiti in relazione alla gravità e dunque a un sistema sferico. Si può accettare per approssimazione che una parte della superficie orizzontale della Terra, “a tiro di sguardo” dell’osservatore, sia piana. Solo entro questi limiti di estensione ha senso parlare di “piano orizzontale”.

A volte si parla di Polo Nord astronomico e il riferimento è la stella Polare. Tuttavia ciò che interessa non è la posizione della stella nello spazio fisico, quanto la sua immagine nel nostro spazio proiettivo come punto di riferimento: il piano verticale che contiene quel punto e la nostra posizione è il Piano Meridiano; la linea che questo piano interseca sulla superficie terrestre è il Meridiano Locale, linea “orizzontale” in quanto si trova sulla superficie sferica orizzontale della Terra (e localmente sul “piano” orizzontale).

Il riferimento alla stella Polare per determinare il meridiano, e quindi il sistema Nord-Sud è limitato dalla visibilità del cielo notturno, ma l’altra modalità, quella di assumere come riferimento il Sole a mezzogiorno appare ancora più problematica: a parte la visibilità, il problema è determinare il punto esatto di culminazione della traiettoria del Sole, perché quello è il mezzogiorno e quindi il Sud locale.

Il Nord è una direzione, o meglio un vettore (direzione + verso) che coincide con il meridiano locale? No, se si assume la definizione di direzione in uno spazio euclideo, perché si tratterebbe di una retta, mentre il meridiano è una circonferenza; sì, se si accetta la stessa approssimazione fatta precedentemente per il “piano” orizzontale: in uno spazio limitato, “a tiro di sguardo”, il Nord è un vettore orizzontale.

Quando i bambini (anzi, la stragrande maggioranza di coloro che hanno frequentato la scuola) dicono che il Nord è in alto, intendono una cosa diversa da quella significata dall’indice puntato verso il cielo nel caso in cui si chiede di indicare il Nord; intendono dire (e lo esplicitano) che i meridiani sono verticali  e spesso aggiungono che lo sanno perché gliel’hanno insegnato a scuola.

I bambini spesso fanno una strenua resistenza prima di accettare la dimostrazione che il Nord non è in alto. Sicuramente la cosa è legata alla esposizione delle mappe nel piano verticale delle pareti e i bambini dicono che quella collocazione “è più comoda” nel senso di maggiormente visibile.

A volte fanno l’esempio delle mappe presenti obbligatoriamente a scuola per l’evacuazione in caso di incendio. Proprio quell’esempio dimostra quanto sia difficile usare la mappa per orientarsi nello spazio reale quando la mappa non è orientata, ovvero non ha i propri vettori di riferimento coincidenti con quelli reali (per salvarsi dall’incendio occorre andare in su? o forse in giù? e se vado alla mia destra come sarà rappresentato questo spostamento nella mappa?).

Se le carte geografiche appese al muro delle classi fossero realistiche “le cose scivolerebbero giù” come giustamente dicevano i bambini di Marco Testa. Per orientare la mappa occorre prima di tutto disporla su un piano orizzontale (è ciò che fa spontaneamente nella realtà chi ha davvero l’esigenza di orientarsi).

Mi ha colpito il falso sillogismo: 1. il Nord è in alto, 2. la mia testa è a Nord, 3. allora la mia testa è in alto, 4. quando sono in piedi la mia testa è in alto, 5. quando sono in piedi sono verticale, 6. dunque sono verticale. La sua “falsità” nasce dal mettere insieme in uno stesso contesto di discorso affermazioni “vere” in contesti diversi, ma dimostra ancora una volta che i bambini sviluppano molto presto una capacità logica. Se i risultati non sono adeguati è perché, come in questo caso, la applicano a nozioni non corrette (la 1) che raccolgono dall’ambiente, ossia dagli adulti.

In geometria fisica non ha senso dire che verticale e orizzontale sono opposti; il rapporto tra i due termini non è simmetrico: si può dire che un piano verticale contiene linee orizzontali mentre un piano orizzontale non può contenere linee verticali. Questo nell’ambito formale della geometria, ma nello spazio semantico del linguaggio ha senso dire che verticale e orizzontale sono gli elementi di una coppia di opposti. Allora la cosa interessante è che il nostro bambino applica l’affermazione “la testa è in alto”, su cui regge il suo sillogismo, al caso in cui è in assoluto “meno vera”, se così si può dire, perché l’asse del corpo è contenuto nel piano opposto a quello verticale perché si trova sdraiato a terra. E lo fa con un atteggiamento e un tono che ci fa escludere la provocazione, lo scherzo, la distrazione ecc. (del resto questa presa di posizione è condivisa da altri bambini). Come interpretare questa situazione paradossale?

Intanto si può dire che l’elemento emotivo (difendere una certezza collocata nel contesto di una rete di relazioni che sicuramente fa da solido riferimento affettivo come quella della scuola) supera l’elemento cognitivo (la verità, o se si preferisce adeguatezza e coerenza nella corrispondenza tra realtà e rappresentazione).

nordinalto2

Se non fosse per questo, sarebbe davvero sconcertante che un dato cognitivo costruito tutto in un contesto “virtuale” abbia la meglio quando entra in contrasto con un dato cognitivo che si costruisce nello spazio dell’esperienza percettivo-motoria. Quando i bambini di Marco Testa osservano che sulla carta d’Italia “messa giusta”, cioè orientata correttamente, i meridiani, se sono verticali, dovrebbero essere disegnati come dei puntini, stanno facendo un ragionamento corretto applicato a premesse errate, il che dimostra ancora che il problema non sta nelle scarse competenze logiche o spaziali dei bambini.

Che sia della scuola la responsabilità lo dimostra l’esperienza di decine e decine di classi e sono anche in grado di fornire una prova documentale: l’immagine qui riprodotta è tratta da un libro di testo di terza elementare. Resta la domanda: perché la scuola insegna ai bambini una nozione errata?

A volte la spiegazione è da ricercare nella economicità dell’apprendimento, ma in questo caso escludo che apprendere che il Nord è in alto e che elementi della superficie terrestre, quindi orizzontali, sono verticali sia più facile che apprendere che il Nord è a Nord e che un elemento orizzontale si trova sul piano orizzontale.

La spiegazione non è neppure da attribuire a ragioni di utilità pratica perché in questo caso l’adattamento alla realtà viene reso più difficoltoso (il caso degli edili è emblematico).

Qualsiasi sistema cognitivo è inventato [2], ma tali sistemi si possono collocare lungo un asse che va da un polo più “induttivo” a uno caratterizzato da maggiore convenzionalità. Al polo induttivo possiamo collocare le descrizioni della realtà biologica, all’altro estremo la matematica o meglio le sue applicazioni a situazioni fisiche. I sistemi di orientamento sono vicini a questo polo e lo conferma il fatto che siano possibili e utilizzati diversi sistemi (reticolo latitudine-longitudine oppure coordinate polari ad esempio). Dal momento che il sistema di orientamento è frutto dell’invenzione culturale e dal momento che la cultura è la modalità di adattamento della specie umana, perché inventarlo contraddittorio tanto da non poterlo usare per interagire con la realtà?

In attesa che qualche avvocato o psicologo trovi elementi a discolpa, ritengo, senza alcun ragionevole dubbio, la scuola (o meglio: la cultura scolastica con i suoi stereotipi nozionistici che si tramandano di generazione in generazione senza alcun ripensamento critico) colpevole di diffusione di nozioni false e disadattanti, con l’aggravante di essere una istituzione preposta alla trasmissione di nozioni finalizzate all’adattamento dei giovani.

Come dicono i bambini quando vengono convinti dall’esperienza che il Nord è a Nord: “Ma allora a scuola ci dicono cose fasulle!”, “Ci vogliono complicare la vita!”.

 



[1]  Si veda: R. Boyd e T. Kuhn (1979), La metafora nella scienza, Feltrinelli 1983.

[2]  “F. - ma non è stato lui [Newton] a scoprire la gravità? Con la mela?

 P. - No, tesoro, l’ha inventata –“

(Gregory Bateson (1969), Che cos’è un istinto, in Verso un’ecologia della mente, Adelphi 1976).