Chiedersi quale immaginario sulla scienza ha chi la insegna vuol
dire porsi domande sulla ideologia e sulla epistemologia che
dominano l’educazione scientifica. Nel
laboratorio che propongo a gruppi di insegnanti e che esplora criticamente i
presupposti della scienza classica con l’intenzione di aprire l'educazione
scientifica alle tematiche "della complessità" e al pensiero "ecosistemico", ho da qualche tempo preso l’abitudine
di proporre, prima di cominciare, un questionario che vuole essere una
esplorazione su come gli insegnanti della scuola di base, in particolare di
formazione magistrale, pensano o si immaginano “la scienza” (uso volutamente
il singolare). Vorrei
riflettere qui sui risultati di quello che può essere considerato un
“assaggio” più che un “sondaggio” (i dati numerici non sono significativi dal
punto di vista statistico), sulle “tendenze” che mi sembra emergano con una certa
evidenza. È importante non confondere questo livello “collettivo” con quello
delle singole risposte individuali, con le loro specificità e le loro
motivazioni, che in questa sede non sono in discussione. I
PERSONAGGI La
prima richiesta del questionario è quella di scegliere 4 personaggi della
storia della scienza cui assegnare dei "super-premi Nobel alla
carriera”. Mettendo insieme le risposte ottenute in tre occasioni diverse
(per un totale di un centinaio di persone) si ottiene un elenco, ma anche se
vogliamo una classifica, che vede in testa Galileo, Leonardo, Newton,
Einstein, Sabin, Marconi, Levi Montalcini, Rubbia,
Fleming. Nel riferire i risultati
complessivi delle risposte ho provato anche a catalogarle. Sottoponendo alla
discussione i criteri usati, ho ottenuto una sostanziale approvazione: posso
dire perciò che le categorie proposte corrispondono abbastanza al senso che
gli autori e le autrici hanno attribuito alle proprie scelte. Le categorie
non sono definite in modo formale perché si tratta di nominalizzazioni
intuitive cui corrispondono raggruppamenti non rigorosi. Alcuni nomi
compaiono in più categorie, dove diversi propositori interpellati li hanno
posti.
La
distribuzione quantitativa privilegia nettamente la categoria degli
“speculativi” (più della metà delle risposte). Sono
convinto che molti degli interessati non saprebbero fornire informazioni
precise sul contenuto delle ricerche di Rita Levi Montalcini, di Carlo
Rubbia, e tantomeno di Antonino Zichichi: sono propenso a credere che le
risposte relative ai personaggi non siano indicative delle loro attività
scientifiche ma di una generica fama fondata sui ricordi scolastici o sulle
suggestioni dei mass-media. Il ruolo della televisione nella formazione delle
immagini della scienza sarebbe confermata del resto dai nomi di Custeau e Quilici, molto noti per i loro documentari
naturalistici. Mi
sembra che gli stessi Custeau, Quilici (e Lorenz, da questo punto di vista) rispondano a quell'immagine
di scienza in stretto rapporto con un atteggiamento di rispetto della natura
che viene esplicitamente evocata da chi ha citato san Francesco: "non è
stato uno scienziato, ma un innamorato della natura: il rispetto della natura
è il fondamento della scienza" avverte una nota. LE
SCOPERTE Anche
la seconda domanda ipotizza dei “super-premi Nobel”, da assegnare questa
volta alle “scoperte” fondamentali della storia della scienza. Anche in
queste classifiche, alcune voci compaiono in più categorie a seconda del
senso che gli autori hanno voluto attribuire loro:
Parlare
di scoperte sposta l’attenzione dalla cultura, intesa nel senso più stretto
di conoscenza o informazione, alla cultura riferita alle concrete forme di
vita di una società. Ed ecco che nelle risposte si verifica un sostanziale
spostamento della prevalenza quantitativa dalla “scienza pura speculativa”
alle applicazioni (alle categorie “tecnologiche” e “mediche” si riferiscono
nove risposte su dieci, mentre quelle riferibili alla “tecnologia materiale”
sono già più della metà del totale). Molte
risposte si riferiscono a qualcosa che ha a che fare con tecniche, oggetti
tecnici, procedure..: la loro appartenenza al mondo della scienza mi sembra
sia da legare al fatto che la loro progettazione e/o il loro uso sono
strettamente legati a conoscenze specifiche, e infatti rimangono riservati a
specialisti identificati come "scienziati" o come “tecnici” (a
seconda che lavorino più su un piano teorico o su un piano pratico). La
comparsa di una categoria “tecniche culturali” mi è stata suggerita dalla
quantità, in certo modo inattesa, di risposte non riferibili a scoperte
propriamente “scientifiche”, intendendo con ciò che hanno un posto nella
cultura dell'umanità molto legato all’esistenza di una istituzione di
specialisti ("la scienza” appunto). Qui invece ci si riferisce a
tecniche, oggetti tecnici, procedure ecc., che, anche se nati come
applicazioni di conoscenze teoriche, sono entrati a far parte della cultura
dell'umanità indipendentemente da esse, perché il loro uso è divenuto
universale (lampadina, telefono...). Per alcuni di essi poi il rapporto con
il termine "scoperte scientifiche" mi sembra azzardato, se non in
senso molto generale, in quanto il loro ingresso nella cultura umana
trascende e/o precede il nascere della "scienza" come si definisce
storicamente e come la si assume nel contesto del presente questionario: mi
riferisco a fuoco, ruota, energia, mezzi di trasporto... A maggior ragione il
discorso vale per quelle che si potrebbero definire più come generiche
"conquiste dell' umanità”: alfabeto, stampa, risparmio... Un accenno a
parte merita "difesa dell' ambiente" che per me si giustifica
soltanto con quel supposto rapporto tra scienza e rispetto della natura già
evidenziato dalla scelta di alcuni personaggi. Insomma
dalle risposte a questa domanda mi sembra che emerga complessivamente una
scarsa messa a fuoco della immagine della scienza; c'è molta approssimazione
e imprecisione nel delimitare ciò che appartiene al campo e alla storia della
scienza, e ciò nonostante non venga messo in discussione quel presupposto
della nostra cultura che la scienza e la sua storia abbiano un ambito ben
definito e separato da altre attività umane. C'è
poi una larga sovrapposizione tra il campo (immaginato) della scienza e
quello della costruzione di ciò che è utile all'uomo, sovrapposizione mediata
dal concetto di tecnologia. È l'idea baconiana e cartesiana dell'utilità
della scienza che sta a origine e fondamento dell'età moderna[1].
L'assunto è: la scienza è la ricerca di conoscenze utili a migliorare la vita
umana; dunque tutto ciò che migliora la vita umana ha a che fare con la
scienza. Non
viene assolutamente colta la fondamentale contraddizione tra il
"rispetto per la natura" e questo criterio antropocentrico
dell'utilità per l'uomo e della conquista (“lo sbarco sulla Luna”), in cui il
valore della natura è quello di "risorsa" da utilizzare, criterio
che costituisce il sostegno ideologico allo sfruttamento e quindi alla
distruzione della natura di cui oggi si comincia a prendere coscienza. LE
IDEE I
successivi “superpremi Nobel” sono assegnati alle "idee più importanti
della scienza". La prima cosa che colpisce è la
grande quantità e dispersione delle risposte. Si fa ancor più fatica a
delimitare un’area di competenza della scienza.
La distribuzione delle risposte
nelle (arbitrarie) categorie vede una sostanziale parità tra idee come
“rappresentazioni” e idee come “progetti”. Solo poche sono "idee
scientifiche" nel senso stretto di concetti, come calore, temperatura,
campo magnetico... Se volessimo assumere i libri come riferimento, c’è una
parte consistente di risposte, una su dieci circa, che difficilmente si
troverebbe in libri “di scienze”, mentre poco meno della metà delle risposte
la si potrebbe rintracciare più nell’area delle “applicazioni”, del rapporto
tra scienza e tecnologia. Molte risposte tendono a qualificare piuttosto la
comunità scientifica nel suo contesto sociale: ricerca, universalità,
linguaggio uguale per tutti, diffusione mondiale delle scoperte, unità dei
ricercatori, unità della scienza volta al sociale...) Da una parte anche qui
è forte il richiamo alla "utilità", dall'altra è presente anche una
istanza etica che assume come riferimento la natura. Ciò da una parte può
essere interpretato come un ingenua, e storicamente scorretta, attribuzione
alla scienza di questa dimensione di rispetto della natura, dall'altra invece
proprio come un richiamo della scienza ai propri limiti, una sua subordinazione
a valori superiori. Si tratta comunque di qualcosa che contrasta con la
"a-moralità" della scienza moderna nata nel seicento, con la sua
autonomia e separazione dalla metafisica o dall'etica. Le
espressioni del tipo "rispetto per la natura" e "difesa dell'
ambiente" presuppongono comunque un uomo "altro" dalla natura
e padrone di essa nel bene come nel male. Tali espressioni ormai abusate mi
suonano come prodotto di un "ecologismo" tutto giocato sul consumo
di parole e immagini, in un corto circuito che va dai mass-media alla
proposta di inserire nella scuola l' "ecologia", come Materia o
come obbiettivo nelle “programmazioni”, ma comunque come cosa da insegnare
come qualsiasi altra cosa, cioè a parole, o peggio a prediche. I
COMPITI La
domanda seguente era: "Quale premi Nobel per la scienza desiderereste
fossero assegnati per il 2000?". Ciò
che viene messo in gioco con la domanda è il livello del desiderio: la
scienza è vista qui sotto l'aspetto dei compiti che ognuno le attribuisce in
relazione ai bisogni. Nella tabella sono indicate le classifiche dei problemi
segnalati nelle risposte (nella parte superiore gli interventi auspicati “in
negativo” in quella inferiore quelli “in positivo”). La ripartizioni: poco
meno della metà delle risposte riguardano la salute e poco meno di un terzo
l’ambiente. Poco rappresentate le risposte che riguardano la “conoscenza”,
che come si vede si orientano verso argomenti piuttosto “strani” confinanti
con quelli della categoria “extra” in cui ho collocato le questioni che hanno
più familiarità con la fantascienza.
Le
immagini che ne emergono sono ancora più lontane dallo statuto istituzionale
che le scienze si danno. Se le scienze vedono oggi il trionfo della iperspecializzazione nei metodi e negli strumenti,
tendono a dare risposte precise a problemi molto delimitati, le immagini
degli insegnanti si riferiscono a problematiche molto generali, che qualsiasi
scienziato rifiuterebbe come obbiettivi della propria ricerca. Domina
naturalmente il criterio della utilità per la vita umana. Si può leggere in
questo anche la pretesa di riscuotere quel credito che la scienza si è
costruito nella cultura e nella percezione comune, ingenua se si vuole; come
dire "se è vero che la scienza è così potente e buona come ci è sempre
stato detto, allora si dia da fare per risolvere i problemi che gravano
sull'umanità". Non c’è nessun accenno al riconoscimento di una
responsabilità della scienza nell’insorgere di quei mali di cui si chiede
proprio alla scienza l’eliminazione. Il fatto di non riconoscere il legame
tra l’ “inquinamento”, i “danni dell’industrializzazione” ecc. e la scienza
sarebbe più comprensibile se la tecnologia fosse percepita come cosa altra
dalla scienza; e invece nelle risposte esaminate la scienza non è percepita
separata dalle sue applicazioni, anzi le due istanze sono considerate
strettamente unite in un’idea di progresso lineare positivo che ci viene da
Bacone. Questa contraddizione fa sì che sia del tutto assente l’idea di un costo del progresso. Nell'
ultima risposta della prima colonna io leggo il segno dell'arroganza
dell'uomo occidentale: ciò che ci si augura che la scienza "scopra"
per il 2000 è ciò che la scienza moderna ha spazzato via; si tratta di quelle
conoscenze tradizionali che dalla natura imparavano come curare e curarsi
(nel nostro linguaggio diremmo "utilizzavano risorse naturali per
curare"). Ma
ciò che mi ha colpito in questa indagine sui compiti che si attribuiscono
alla scienza sono i termini usati. Soltanto in poco più di un caso su venti
si tratta di un’espressione che si può considerare “specifica” rispetto al
problema (colture nelle terre aride, riciclaggio dei rifiuti, rimboschimento,
biodegradabilità della plastica, utilizzo economicamente competitivo
dell’energia solare...) Più di un terzo dei termini usati sono genericamente
positivi (risolvere, conquista, recuperare, vittoria su, scoprire, strategia
per, tecnica per, migliorare, cura di...); per un altro terzo circa si tratta
di termini genericamente negativi (sconfiggere, scomparsa, debellare,
ridurre, bloccare, evitare il rischio di, eliminare le cause, abolire...);
circa una risposta su dieci nomina un “oggetto materiale” (una macchina per,
una sostanza per...); più di una risposta su dieci non usa alcun termine
riferito al problema, nel senso che nomina soltanto il problema. Leggo
questa evidenza come segno di un atteggiamento di delega nei confronti degli
scienziati: ”non vi do indicazioni più precise perché non ne so abbastanza e
comunque mi fido di voi”. Se si completa il quadro con i dati relativi a
“società economia” e “etica generale” (un sesto circa del totale delle
risposte), vale a dire se si considera che alla scienza viene attribuita la
soluzione di problemi di carattere politico, o addirittura etico-sociale, la soddisfazione delle aspirazioni tanto
universali quanto generiche dell’umanità, come pace, uguaglianza, felicità,
giustizia..., se ne ricava un’immagine che con i partecipanti a un
laboratorio abbiamo definito così: “alla scienza come a San Gennaro”. Non
posso fare a meno di mettere in relazione l’eccessiva fiducia nella scienza
con una deresponsabilizzazione rispetto alla partecipazione ai processi di
cambiamento che riguardano la vita dell’umanità nei suoi aspetti sociali
economici. EDUCAZIONE
SCIENTIFICA In
una occasione agli insegnanti è stato richiesto di indicare "quali cose
in campo scientifico i bambini dovrebbero assolutamente imparare". Molte
risposte mi pare confermino che gli insegnanti hanno in mente alcuni
atteggiamenti, comportamenti desiderabili da acquisire nell' ambito di una
buona educazione: "acquisire il senso critico", "osservare la
realtà", "studio e verifica", "osservare ponendosi
domande", "raccogliere dati", "un metodo di
ricerca", "accogliere le novità", "curiosità", "capacità
di meravigliarsi", "capacità di autocritica", "uso dell'
esperienza", "uso del libro". Ciò che è significativo è che li
attribuiscano all'ambito dell'educazione scientifica, anche se non c'è alcun
motivo perché la pratica scientifica, tanto meno quella scolastica,
rivendichi in modo esclusivo questa paternità. Tuttalpiù,
all'inverso, si potrebbe dire che chi è dotato di queste qualità generali può
essere un buon scienziato. In sostanza c'è un pre-giudizio positivo nei
confronti della scienza, in una visione alquanto stereotipata e semplificata
(si veda l'ingenuo "ogni scoperta deriva da esperimenti"). Ritorna
anche il pregiudizio che appartenga alla scienza l'atteggiamento di rispetto
della natura e che quindi questo si impari da quella; una risposta come
"strumenti per apprezzare la natura" unita alle prime risposte su
personaggi come Quilici o Custeau è interpretabile
pensando al ruolo, tutto da discutere ma effettivo, dei media nella
diffusione di conoscenze "ecologiche". Di contro rispondere l'
"uso delle macchine" ripropone la sovrapposizione
scienza-tecnologia in termini di utilità. La
visione della scienza come attività a fini essenzialmente utilitaristici, e
quindi strettamente connessa alla tecnologia, scompare quando la domanda si
fa diretta "che cos'è la scienza?". I
termini usati nelle risposte, "studio", "conoscenza",
"spiegazione", "riflessione", "curiosità",
"sapere", sembrano riproporre l'immagine di un'attività esplorativa
che spinge il suo sguardo curioso e disinteressato su un mondo vergine e (si
intuisce) felice. Un mondo fuori da quella realtà che urgeva nelle risposte
precedenti, tanto è vero che non ha più bisogno di essere protetto e salvato.
Scomparse le istanze etiche, le urgenze ecologiche, i compiti finalizzati al
benessere umano, rimane un'immagine di scienza "pura", che sembra
far parte di quella particolare cultura "umanistica" che si coltiva
come prodotto di serra nelle istituzioni scolastiche. |
[1]
«[...] è possibile arrivare a conoscenze molto utili alla vita, e in
luogo della filosofia speculativa che si insegna nelle Scuole, se ne può
trovare una pratica, in virtù della quale, conoscendo la forza e le azioni del
fuoco, dell' acqua, dell' aria, degli astri e dei cieli e di tutti gli altri
corpi che ci circondano così distintamente come conosciamo le diverse tecniche
degli artigiani, potremmo parimenti impiegarle in tutti gli usi a cui sono
adatte, e renderci quasi signori e padroni della natura. Il che non soltanto è
desiderabile per inventare una infinità di macchine che ci consentirebbero di
godere senza alcuna fatica dei frutti della terra e di tutti gli altri beni che
vi si trovano, ma anche e in primo luogo di conservare la salute, che è senza
dubbio il primo di questi beni e il fondamento di tutti gli altri di questa
vita...» René Descartes