Marcello Sala

REALE ARTIFICIALE

VIRTUALE

-pubblicato in- 

COOPERAZIONE EDUCATIVA

n. 11 / 1993

La Nuova Italia

 

 

Artefatti multimediali e interattivi costituiscono una ”realtà artificiale”.

La relazione con le cose mediata dalla tecnologia può modificare

il nostro senso della realtà?

 

Parigi, dicembre 1885.

AI Grand Cafè del Boulevard des Capucines il pubblico si è raccolto numeroso. Dell’invenzione di questi fratelli Lumiere s'è fatto un gran parlare ma sui volti e nelle conversazioni alla curiosità si mescola la diffidenza. Nel sotterraneo si fa buio e si spengono le ultime voci. Una macchina posta alle nostre spalle proietta un fascio di luce su un telo bianco davanti a noi Davanti ai nostri occhi prende forma quella che alcuni di noi riconoscono come la stazione ferroviaria di La Ciotat. Poi dal binario appare una vaporiera che ingrandendo a vista d’occhio si precipita verso di noi. Balzo in piedi in un moto istintivo; al fracasso delle sedie rovesciate si sovrappongono le grida di spavento. Tutto dura un attimo finché il mostro di metallo ci sfila accanto in una nuvola di vapore.

Milano, aprile 1992

Nel box disadorno i tecnici mi aiutano a infilare la testa in un casco e la mano destra in un guanto da astronauta. Davanti ai miei occhi la stanza riempie tutto il campo visivo; muovo la testa: le forme che appaiono intorno a me sono angolose, come semplificate, le ombre senza sfumature e i colori sembrano quelli di un cartone animato. Mi volto: c'è un tavolo con sopra alcuni oggetti di forme angolose e imprecise. C’è un elicottero giocattolo; quando faccio per prenderlo, la mano che entra nel mio campo visivo è priva di braccio e sembra disegnata, ma i movimenti che esegue sono i miei, impacciati dal guanto. Avvicino la mano a toccare l’oggetto e attraverso il guanto sento la consistenza del materiale. Improvvisamente l’elicottero muove le pale, si solleva e volteggia nella stanza. Quando si dirige verso il mio viso istintivamente la mia mano si alza a intercettarlo: sento l’urto.

Mi tolgo il casco: non c'è nessun tavolo, né giocattolo: il casco trasmette informazioni sulla posizione e sui movimenti della testa e le invia a un computer che le elabora nella simulazione di uno sguardo in una stanza. Le immagini di ciò che via via vedrebbe quello sguardo in movimento, stanza e oggetti, vengono generate e modificate attraverso sistemi di grafica computerizzata e rimandate a uno schermo video che si trova all’interno del casco davanti agli occhi di chi lo indossa. Il guanto manda informazioni sulla posizione e sui movimenti della mano al computer che, quando calcola che essi corrispondono a un contatto con l'oggetto virtuale, provoca variazioni di pressione nel guanto che la mano può sentire e interpretare come contatto [1].

Chieti, ottobre 1992

Sono con un gruppo di bambini di quarta elementare [2] in una sala luminosa e sgombra. Su una parete c'è un grande specchio e, accanto ad esso, una televisione collegata “a circuito chiuso” con una telecamera posta sopra di essa e puntata nella stessa direzione dello schermo. Specchio e TV per ora sono, coperti da teli. Propongo ai bambini una serie di attività che mettono al centro del vissuto percettivo-motorio la specularità (contrapposta all' ”identità”) nel proprio corpo e nell’interazione con gli altri (ad esempio “fare lo specchio” di un altro, e poi fare questo gioco dello specchio in quattro, fingendo due specchi perpendicolari).

Alla fine scopro lo specchio e la TV e invito i bambini a mettersi di fronte ad essi e ad eseguire dei movimenti. Durante l'esibizione tutti, e soprattutto l’attore, dovranno osservare entrambe le immagini.

Infine ci sediamo a terra in circolo [3]:

lo - Quale delle due immagini è la più "giusta" secondo voi?

Mauro - La TV la vedi molto più piccola, invece allo specchio ti vedi all'altezza giusta. Però fanno vedere le stesse cose.

Cristiano - Ad esempio nella TV il pavimento era obliquo, cioè stava in un'altra direzione di quella dello specchio che era normale.

Valeria - Io ho notato che quando ho preso i bastoni per mettere dei segni, quando spostavo i bastoni di qua andava di là…

Io – “Di qua"… cosa intendi? Verso la porta?

Valeria - Quando io andavo verso la finestra l’immagine nella TV andava verso la porta. Invece nello specchio io mi vedevo normalmente: quando andavo verso la porta andava verso la porta.

Lo - Quindi qual è l’immagine più giusta?

Valeria - Quella dello specchio.

Lorenzo - Io ho notato che quando stai guardando la TV e salti... insomma si vedono delle linee come salti. È come se ti fa vedere tutto il movimento. Invece sullo specchio è come lo vedi tu.

Domenico Parisi, nel numero 5/6 1992 della rivista Golem, sostiene che la direzione complessiva di sviluppo attuale delle tecnologie dell’informazione va verso la realtà artificiale. Assumendo che la realtà non è solo ciò che contempliamo ma ciò con cui interagiamo con circuiti senso-motori, si può dire che “finora le tecnologie dell’informazione non hanno modificato la realtà, non hanno creato una realtà artificiale. Hanno creato quadri sensoriali artificiali che possiamo contemplare: i libri, i giornali, la televisione, la radio, il cinema. Da questi media riceviamo stimoli, ma quando si tratta di agire, agiamo sulla realtà reale. I media tradizionali non sono interattivi. [...] è vero che il calcolatore ha una sua interattività ma [...] ci consente di interagire con lui in pochi modi. Troppo pochi perché ci possa dare l’impressione che stiamo interagendo con la realtà.”.

Oggi due sono i contributi della tecnologia alla creazione di una realtà artificiale: la multimedialità che, usando molti canali diversi sensoriali riproduce la molteplicità dei tipi di informazione esterna che caratterizza la realtà, e l'ipertestualità, che rompe la linearità dei media tradizionali guidati dall'autore. Gli “ipertesti” sono insiemi di elementi informativi multimediali (testi, schede, immagini, suoni...) tra i quali è possibile stabilire collegamenti a discrezione dell’utente. L’utente “naviga” nella struttura informativa scegliendo, tra i collegamenti potenziali, di rendere attuali quelli che costituiscono il proprio percorso. Per questo “negli ipertesti ci si può perdere, come ci si perde in tanti modi nella realtà. Si può non sapere più dove si sta”.

All’inferno della realtà artificiale la “realtà virtuale” occupa un posto particolare perché i suoi artefatti operano “sui cicli sensoriali e moti di azione-effetti‑azione con cui siamo in presa diretta e neppure consapevole con la realtà. È questa mancanza di consapevolezza che rende inquietante la realtà virtuale. In ogni interazione, con i media, vecchi e nuovi, i nostri sensi e le nostre azioni interagiscono con una zona di artificiale circondata da una zona di reale. L’interazione segue leggi diverse nei due casi e questa diversità mantiene la separazione, e la consapevolezza della separazione. La realtà virtuale tende invece a prendere tutti i nostri sensi e tutte le nostre azioni, a collegarli secondo le sue leggi al livello di immediatezza tipico dei funzionamenti senso‑motori. Per questo la realtà virtuale può diventare indistinguibile dalla realtà”.

Il problema sta nel fatto che “la realtà virtuale può farci interagire con una realtà che segue leggi diverse, in cui un'azione ha un effetto sensoriale diverso da quello che ha nella realtà reale. [...] Forse la società di domani non sarà più soltanto una società conquistata dall’informazione e dalla comunicazione tra esseri umani mediata dalla tecnologia e dai calcolatori, ma sarà una società che vive dentro una realtà mediata dalla tecnologia e dai calcolatori. Un ‘cyberspazio’ ”.

Forse è il mio modo di prepararmi a vivere nel cyberspazio, ma mi è sembrato interessante mettere a confronto due “generazioni” tecnologiche nel contesto in cui tutto questo discorso assume per me un senso vitale: quello della relazione educativa.

Umberto Eco sostiene [4] che gli uomini sono animali “catottrici”, nel senso che sviluppano il proprio schema corporeo, e quindi il proprio pensiero in una situazione in cui la percezione visiva di sé è essenzialmente quella mediata dallo specchio. Mi sono domandato che cosa cambierebbe nella percezione di sé, con tutte le conseguenze psicologiche ed epistemologiche, se i bambini crescessero in un ambiente in cui tutti gli specchi venissero sostituiti da monitor “a circuito chiuso” [5] che mostrano l’immagine “identica” e non speculare di chi sta loro di fronte. Di qui il piccolo esperimento con i bambini di Chieti, dal quale mi sembra si possa concludere che i bambini trovano l’immagine speculare in qualche modo più “naturale”, conformemente alle osservazioni di Eco.

Interessante notare che lo stesso lavoro fatto con bambini più grandi di un anno ha mostrato un aumento delle quotazioni della TV, e soprattutto un certo numero di “conversioni” alle ragioni della TV, verificatesi in relazione a interventi di compagni nel contesto dialettico della conversazione. La mia ipotesi è che entrano in gioco due diversi livelli di pensiero; voglio dire che mi sembra ci sia una differenza tra ciò che i bambini dicono quando riportano semplicemente la loro esperienza senso-motoria e ciò che elaborano quando l'interazione verbale li inserisce in un contesto di ragionamento più astratto.

La presupposizione di due livelli non implica che il secondo vada considerato un superamento del primo. Una delle bambine più grandi mi sembra esprima con più evidenza questa compresenza:

Valeria - Secondo me non è giusto nessuno dei due. Perché se davanti allo specchio alzi il braccio destro quello alza il sinistro. Però il braccio destro mio e il braccio sinistro nello specchio stanno di fronte, invece nella TV se alzi il braccio destro si alza il destro ma non stanno di fronte...

Valeria riconosce l’ “irrealtà” dello schema corporeo nell'immagine speculare, tuttavia individua una irrealtà altrettanto significativa nel fatto che nell'immagine televisiva gli arti corrispondenti “non stanno di fronte” (dalla stessa parte rispetto a chi guarda), cioè in sostanza non si mantengono nella stessa zona del campo visivo. E questo è essenziale per una operatività basata sul coordinamento visivo-cinestetico: e infatti la difficoltà dei bambini rispetto alla TV aumenta nel caso essi si muovano nello spazio.

Ma non c'è solo il problema dell’inversione spaziale a giocare contro la TV. Le osservazioni come quella di Mauro pongono l'accento sull'alterazione delle dimensioni; Cristiano ha notato, durante uno spostamento casuale della telecamera che l’immagine assumeva un orientamento arbitrario rispetto alle direzioni di riferimento fisiche, orizzontale e verticale [6]; Lorenzo è stato colpito, nel caso di movimenti veloci, dalla presenza di “scie” paragonabili all'effetto di “mosso” delle fotografie. A questo aggiungerei la limitata limpidezza dell’immagine e la presenza stessa della cassa dell'apparecchio che la inscatola. Mi sembrano tutti elementi che collocano l'immagine TV in uno spazio diverso da quello reale della stanza in cui ci si trova; lo spazio “interno” allo specchio è più facile da percepire in continuità con quello della stanza, soprattutto se lo specchio è privo di cornice.

Certo, come osserva Parisi, c'è un salto qualitativo tra TV e realtà virtuale. Per sapere come reagiranno i bambini a questa nuova sfida non dovremo aspettare molto: queste attrezzature già sono in vendita come giochi per ricchi (un centinaio di milioni per vivere l’esperienza di un decollo verticale) e la televisione ce ne illustra l'uso come simulazioni in attività di progettazione urbanistica o di ricerca scientifica.

Nella natura ogni specie evolve in relazione ai mutamenti del suo ambiente che evolve a sua volta in relazione ai mutamenti di quella specie [7]. Quanto questo discorso sia valido anche per l'uomo dipende da quanto la cultura è in continuità con la natura, da quanto l’ “artificiale” non costituisca una terza forma di realtà del mondo, oltre a quella della materia e a quella del vivente (il “pleroma” e la “creatura” di Jung e Bateson).

Ma preoccuparsi dei bambini è forse un falso problema. Come ci insegna Truffaut nei suoi film, i bambini si salvano sempre, forse perché, e questa è una mia ipotesi, pensano in modo “complesso”, non hanno ancora ridotto le loro fragili ma estese potenzialità al solo pensiero analitico, magari nella versione squallida della cultura dei libri di testo scolastici, quel pensiero che governa il mondo, il progresso e la tecnologia, che come si sa, sono opera dei grandi. Il problema è quando i bambini diventano grandi.

E poi, nella relazione tra noi e la realtà, il problema di “quale realtà” è solo una delle facce.

Metropolis, VI 2043

Ho parlato col capo. C’è un dispositivo da recuperare che sprigiona una forte radioattività di genere nuovo, capace di causare gravi danni al cervello, innocua per il resto del corpo. Non si è riusciti a schermare in qualche modo il cervello, perciò hanno deciso che la persona inviata per recuperare il dispositivo lascerà a casa il proprio cervello. Conservato in un luogo sicuro, potrà esplicare le proprie normali funzioni di controllo grazie a complessi collegamenti via radio. Ciascuna via di ingresso e di uscita, appena recisa sarà rimessa in funzione grazie a una coppia di ricetrasmettitori miniaturizzati, uno collegato al cervello e l'altro alle radici nervose nel cranio svuotato. Non ci sarà alcuna perdita di informazione: tutto il complesso delle connessioni sarà perfettamente conservato.

Accetto la missione: mi sottopongo all'operazione. Vengo anestetizzato... Non ricordo nulla. Quando mi sveglio mi guardo allo specchio: a parte le minuscole antenne impiantate sul cranio, nessuna differenza.

Domando del mio cervello; mi conducono a vederlo: sta in una vasca sospeso in un liquido quasi tutto coperto di piastrine con circuiti stampati, tubicini di plastica, elettrodi e altri affari. - è il mio?- chiedo; - Giri l'interruttore di trasmissione e se ne accorgerà! -. Lo faccio e di colpo intontito e in preda alla nausea mi accascio. Un tecnico riaccende e mentre vado recuperando l’equilibrio e la padronanza di me stesso, mi domando: - Io dove sono?-  [8].

 



[1]  Queste dimostrazioni di “realtà virtuale”sono state presentate alla esposizione internazionale della XVIII Triennale di Milano La vita tra cose e natura: il progetto e la sfida ambientale.

[2]  La classe è la IV 1992-93 della scuola elementare statale di Via Bosio a Chieti Scalo.

[3]  Quella che segue è la trascrizione fedele di una parte della conversazione.

[4]  Umberto Eco, Lo specchio e il doppio, F.lli Fabbri Editori 1987.

[5]  Sarebbe  comunque difficile eliminare tutte le immagini speculari in un mondo dove, è vero, sempre più rari si fanno gli “specchi” d'acqua, ma che fa sempre più uso di vetro nelle costruzioni.

[6]  Lo specchio era fissato alla parete, perciò Cristiano non aveva l’opportunità di verificare se lo stesso effetto si ottiene cambiando l'orientamento dello specchio.

[7]  Oltretutto, quale sia “la specie” e quale “il suo ambiente” è una nostra scelta cognitiva a determinarlo, visto che l’ambiente è fatto anche di altre specie.

[8]  Il testo è liberamente tratto da: Daniel C. Dennet, “Dove sono”, in: D.R. Hofstadter e D.C. Dennet, L’io della mente, Adelphi 1985).