Gianna Cannaos - Marcello Sala

PAROLE PER DIRE...

pubblicato in

NATURALMENTE  n.1 / 2007

Accademia Editoriale

 

Perché occuparsi di bambini piccoli in una rivista dedicata all’insegnamento disciplinare delle scienze? Per due buoni motivi. Il primo è che noi pensiamo, diversamente dalla ministra Moratti che ha proibito l’evoluzione ai minori di 14 anni, che l’apprendimento scientifico comincia ben prima dell’ingresso alla scuola secondaria, e non perché lo decide o lo controlla la scuola. Il secondo è che una prospettiva genetica (nel senso di Piaget e non di Mendel) dell’apprendimento è essenziale per ricavare dall’epistemologia buone idee pedagogiche e didattiche.

Il lavoro di cui vogliamo riferire si è svolto in una terza elementare e si colloca sullo sfondo di una ricerca attorno all’aspetto linguistico dell’apprendimento scientifico: come si costruisce la conoscenza scientifica tra parole e cose, ovvero tra riferimenti all’esperienza e bagno di linguaggio e di informazioni cui i bambini e i ragazzi sono immersi, dentro e fuori dalla scuola? come gioca in questo il “sapere scientifico”, espressione della scienza come istituzione sociale, ma mediato dalla comunicazione (che spesso non è gestita dagli scienziati)?

Questa esperienza propone anche, come “condizione a contorno”, una cooperazione tra insegnante e tutor che ci pare interessante, tanto che scegliamo di conservarne le tracce usando in questa scrittura i dialoghi così come si sono sviluppati attraverso il mezzo della posta elettronica.

L’INSEGNANTE  - Avevo dato a ciascun bambino durante le vacanze di Natale un pezzo di argilla fresca con la consegna di modellare un oggetto a piacere e di raccogliere in una scheda le osservazioni sul materiale argilla, usando tutti i sensi a disposizione e provando a pensare anche ad azioni particolari a cui sottoporre quel materiale e registrandone poi le conseguenze (es: se lo lancio giù dal tavolo succede che... se lo metto in frigorifero... se lo metto sott'acqua...); dopo una settimana avrebbero dovuto riprendere in mano quell'oggetto e scrivere come era cambiato il materiale argilla.

Al loro ritorno in classe ho raccolto le osservazioni registrate.

La discussione che ne è seguita si è incentrata particolarmente sulla scelta delle “parole per dire" le caratteristiche su cui ci sembrava di essere d'accordo ma che forse avevamo espresso in modo diverso.

Lì è nata la mia inquietudine, perché questo passaggio si stava verificando molto più difficile di quanto avevo previsto; scavando un pochino sotto le parole non solo mi rendevo conto che c'era una grossa differenza e difficoltà nelle spiegazioni, ma cominciava a farsi strada un dubbio: si può domandare di un materiale è pesante? è leggero? È ovvio che non esiste il pesante in assoluto, ma qualcosa di più pesante o di più leggero di qualcos'altro...Tuttavia c'è una radice comune sulla base della quale confrontare le sensazioni fino a comprendersi e scegliere di comune accordo un descrittore oppure un altro?

La settimana seguente ho proposto una scheda per raccogliere le definizioni di ciascun bambino relative  alle parole più usate (molle, duro, fragile, robusto, inodore, puzzolente, elastico, leggero, pesante)..

Ho nuovamente raccolto i significati dati a ciascuna parola e poi sono andata a cercare nel vocabolario on line di De Mauro e nel Vocabolario Etimologico il significato più corretto di tali termini per un confronto (che però ho tenuto per me).

A questo punto però sono entrata in crisi e ho temuto che il mio lavoro non avesse un gran senso, anche perché confrontandomi con colei con cui sto facendo formazione ho ricevuto consigli su come trattare le proprietà della materia, ma non nel merito specifico di quanto avevo raccolto.

Se è vero che usare la lingua per spiegare è fondamentale in un discorso scientifico, credo che sia utile far confrontare i bambini sui significati che stanno dietro alle parole. Molti di questi significati sono legati a sensazioni corporee ben precise (ad esempio: molle è una cosa che se chiudi la mano si schiaccia, leggero è quando qualcosa si tiene senza forza), ma ci sono spiegazioni che possono essere messe in discussione, es. elastico è qualcosa che non si rompe... e altre.

Ricapitolando: ha senso affrontare un confronto anche con i vocabolari? in che modo? attraverso nuove attività?

IL TUTOR – Provo a mettere a fuoco qual è il problema dal punto di vista della scienza in relazione a questo tipo di situazione (osservazione delle caratteristiche di materiali): lo scopo dello “scienziato” è definire le generalità riferite alla realtà (esempio: definizione di “mollezza” e determinazione di un criterio operativo per misurare la mollezza), oppure descrivere la realtà con cui interagisce direttamente (questa particolare argilla in queste particolari condizioni)?

Il primo è uno scienziato classico che insegna all’università, il secondo è uno scienziato che riceve finanziamenti dalla ConfVasai o dalla FAO per trovare il modo di fare i vasi con meno acqua.

I bambini quanto più sono piccoli tanto più sono vicini al secondo scienziato (come epistemologia), cioè fanno una scienza contestualizzata. Le tue indicazioni di interazione con l’oggetto si riferiscono più al secondo tipo, i libri di testo e i manuali sono più vicini al primo.

La generalizzazione è l’oggettività sono fondamentali per la scienza, ma l’errore epistemologico che si rischia di commettere è collocare certe caratteristiche negli oggetti (pensare per sostanze, modo tipicamente occidentale da Platone in poi) quando invece sono una caratteristica del sistema che contiene gli oggetti (pensare per relazioni)[1]. Esempio: se la mollezza dell’argilla dipende da quanta acqua ci metti, è errato attribuire la mollezza all’argilla invece che al sistema argilla + acqua + azione dell’impastare (tempi, modalità ecc.).

Inoltre il sistema della descrizione scientifica comprende anche l’osservatore: è impossibile eliminarlo anche se si tenta di sostituire la soggettività della percezione con l’oggettività di una procedura di misura.

Naturalmente la generalizzazione è ciò che consente di trasferirsi da un caso particolare all’altro, ma se vuoi interagire su una realtà devi contestualizzare.

L’adeguatezza del linguaggio si misura a partire dalla diversità dei due tipi  di scienza. Naturalmente sto semplificando abbastanza rozzamente.

Il vocabolario appartiene per definizione al primo mondo epistemologico, quello della generalizzazione, anche se certe operazioni che si trovano nei vocabolari (come il fare esempi) appartengono al secondo mondo e dimostrano come il primo non sia sufficiente per capire. Prima di rispondere alla tua domanda su che cosa fare del vocabolario in questo contesto, proviamo a esaminarlo.

Il vocabolario fa operazioni molto diverse, e per ciò stesso difficilmente comprensibili per chi non sa che operazioni sono (si tratta di una meta-cognizione rispetto alla ricerca del significato della specifica parola). Facciamo un esempio su “elastico”: la prima mossa  (dotato di elasticità) non so se fa tenerezza tanto è disarmante (non è capace di dire alcunché) o se fa arrabbiare per la sua arroganza accademica (pretende che chi legge capisca di che cosa si sta parlando senza dargli alcuna informazione).

La seconda mossa (tessuto elastico, molla elastica), che rivela la totale insufficienza della prima, è quella opposta, deittica ostensiva, di citare degli esempi particolari: si spera che chi legge, pensando a quegli oggetti, che sicuramente conosce, dica “ah, ecco!”.

Dopo di che si passa subito a significati vicini con intersezioni (estensione: di qualcosa che denota agilità), cioè si passa all’agilità senza aver detto nulla su cosa è elasticità, tanto per confondere le idee, o addirittura a significati traslati (figurato: duttile, perspicace; mente elastica; non essere intransigente, cerca di essere più elastico) e metaforici (figurato: che consente un margine di discrezionalità; norme elastiche; che varia con le situazioni, che ammette deroghe).

Passiamo al dizionario etimologico: Deriva dal greco ELAO = ELAUNO che vuol dire “stimolare, spingere” e anche “allargare, distendere”. Che cosa vuol dire “deriva da”? Non diamo per scontato qualcosa che è invece interessante spiegare: perché sapere quali parole usano parlanti di un’altra lingua dovrebbe aiutarmi a capire il significato di una parola italiana? Vuol quindi dire che spinge, che dà impulso: questa conclusione non rende ragione di ciò che i bambini osservano, perché limita il riferimento all’azione di un oggetto solo dopo che è stato teso (o compresso), mentre il significato di elasticità comprende l’azione di stirare (o comprimere) l’oggetto con il relativo investimento di energia dall’esterno, la deformazione, il ritorno alla forma iniziale con relativa restituzione di energia.

Si dice per corpi che compressi e allungati tendono a riprendere la forma primitiva cessata che sia la forza che agisce sopra di essi in quanto si agitano in maniera contraria a quella della forza medesima: qui finalmente viene data una definizione, cioè si dice che cosa designa quella parola, qual è il suo referente. Ma l’esigenza di non contraddirsi, di essere precisi, di eliminare ogni ambiguità, di generalizzare a tutti i casi compresi e di eliminare i casi non compresi, rende il linguaggio molto astratto. C’è una percentuale molto alta di termini probabilmente non noti ai bambini (compresso, primitiva, cessata, medesima), parole usate probabilmente in modo diverso da quello noto ai bambini (corpo, si agitano), forme linguistiche sofisticate (cessata che sia, in quanto che) costruzioni complicate (cessata che sia la forza che agisce sopra di essi in quanto si agitano in maniera contraria a quella della forza medesima).

La mia domanda a questo punto è: in che cosa ciò che sta scritto sul vocabolario è meglio di ciò che dicono i bambini? (più avanti nei riquadri sono riportati degli esempi). Ma “meglio” in che senso? Qual è lo scopo educativo che vogliamo raggiungere? Forse “trovare le parole più adeguate per dirlo”. “Adeguate”  in ambito scientifico significa che il discorso

             deve essere coerente dal punto di vista logico

             deve fornire una struttura di informazioni note che possa illuminare sul significato di un termine ignoto (se, per spiegare un termine che non so, uso un altro termine che non so, a questo punto i termini da spiegare sono diventati due, e così via in progressione esponenziale).

Dal mio punto di vista quella dei tuoi bambini è una conoscenza scientifica adeguata espressa con un linguaggio adeguato, che però è diverso da quello formale del sapere scientifico.

C’è in giro una cattiva immagine della scienza (una immagine poco complessa e molto semplificatoria), per colpa degli scienziati più riduzionisti e scientisti tanto quanto per colpa di coloro che, conoscendo molto poco della scienza, contrappongono arte a scienza, immaginazione a rigore ecc. A volte si attribuisce alla scienza ciò che è proprio dello scientismo o della scienza scolastica: il linguaggio scientifico è sicuramente rigoroso, ma come punto di arrivo nelle rappresentazioni formali; e poi nella scienza c’è anche l’uso della metafora, l’invenzione di parole, l’uso dell’immagine, la retorica ecc. ecc.

Per andare avanti mi interessa sapere cosa pensi tu, qual è non l’obiettivo della tua programmazione ma la tua intenzione educativa, che cosa ritieni sia davvero importante per la crescita dei bambini.

L’INSEGNANTE  - La mia intenzione educativa si era persa nel labirinto delle parole e dei significati, annullata dalla tensione verso una correttezza scientifica troppo rigida e poco adeguata... Ora però si tratta di renderla esplicita ma soprattutto di organizzare una restituzione coerente senza cedimenti che arrivi forte e chiara ai bambini.

In sintesi vorrei dire ai miei alunni che i significati che ho raccolto dalle loro schede sono molto più ricchi e molto più vari di quanto avessi immaginato e vorrei "scoprirli" insieme a loro.

Ma siccome un lavoro di analisi si dimostrerebbe mortalmente palloso per dei bimbi di 8 anni, ci va un po' di organizzazione e qualche buona idea.

La prima è di affrontare una coppia di opposti (dove ci sono) per volta.

IL TUTOR – Nello sviluppo del pensiero a partire dall’esperienza, la conoscenza comincia nei bambini piccoli da discriminazioni tra opposti per poi svilupparsi nella variazione tra polarità [2]. Ma si parla di bambini piccoli; i tuoi sono già oltre e potrebbe farli regredire una cultura adulta che usa un linguaggio di separazioni e opposizioni là dove si tratta di gradazioni. In termini scientifici non esiste leggero e pesante ma una gradazione di peso ed è esattamente quello che i bambini costruiscono con il loro pensiero (fino alla struttura: più pesante = meno leggero >< più leggero = meno pesante). Voglio dire che loro spontaneamente arrivano alla gradazione (che è poi quella che interessa al discorso scientifico) nonostante noi continuiamo a usare leggero e pesante come se fossero qualità sostanziali.

L’INSEGNANTE  - L'obiettivo dell'attività è l'esplorazione dei significati ma anche delle azioni che stanno dietro alle parole; gli obiettivi di educazione scientifica potrebbero essere

- scoprire che ogni spiegazione è correlata a un contesto

- scoprire che esistono valori relativi e valori assoluti

- scoprire e rendere esplicito che, più che le caratteristiche di un materiale, indagando bene si arriva a scoprire che a essere in gioco è l'interazione fra più componenti di un sistema (ho capito bene?), e che quindi tutto è più complesso e tutto è più relativo e quindi

- per dare corrette spiegazioni scientifiche occorre descrivere molto bene in quale contesto usi quelle parole; ovvero non te la puoi cavare con un "molle" o con un "duro", ma devi dare bene le coordinate di ciò a cui si riferisce...

Insomma questo potrebbe spostarli un pochino da quelle spiegazioni sommarie che loro danno. è così?

IL TUTOR – Sono un po’ sorpreso dalla tua conclusione, perché le azioni, la variazione, il contesto sono già ben presenti nelle parole dei bambini, mentre mancano nel vocabolario. Perché insegnare ai bambini ciò che sanno già?

Una restituzione, un lavoro meta-cognitivo su ciò che hanno detto e scritto potrebbe forse aiutare il processo (misterioso) per cui una conoscenza di gruppo diventa conoscenza di tutti i membri del gruppo, oppure il percorso dalla conoscenza co-costruita dal gruppo e “situata” porta al sapere scientifico della comunità di esperti (che però ha tempo di dispiegarsi da qui a quando finiranno la scuola superiore).

Su questa seconda direttrice forse si può pensare di far confrontare ciò che hanno detto-scritto loro con ciò che si trova nei libri di scienze. Oppure introdurre una tua mediazione; a volte quando i bambini co-costruiscono un concetto abbastanza preciso ci si può mettere sopra una specie di “etichetta”: ciò che voi avete detto gli scienziati lo chiamano....

Quello che non capisco bene è se tu pensi che quella elaborata dai bambini “tra parole e cose”, tra riferimento all’esperienza e bagno culturale di parole in cui sono immersi, sia una conoscenza scientificamente non adeguata?

Se pensi così, potresti farmi degli esempi di cose dette dai bambini, così come io ti ho fatto degli esempi di inadeguatezza del vocabolario?

L’INSEGNANTE - Scusami l'equivoco!. per "descrizioni sommarie" non intendevo queste sul significato delle parole, ma mi riferivo a una tendenza che hanno espresso in altri lavori precedenti. Ma in questo periodo di ansie e di incertezze mi sto chiedendo se non sia io invece a pretendere troppo...

Per la verità io pensavo proprio che “quella elaborata dai bambini è una conoscenza scientificamente non adeguata”. Tu però mi hai smontato quest'opinione e mi hai permesso di includere fra le spiegazioni accettabili anche quelle che non mi sembravano tali (anche alla luce del vocabolario etimologico). Comunque penso ancora che sia utile renderli più consapevoli del fatto che hanno spiegato usando il corpo e le azioni sugli oggetti (dicendo loro che è cosa buona e giusta).

Una “restituzione, un lavoro meta-cognitivo su ciò che hanno detto e scritto” mi sembra più accessibile. ”Far confrontare ciò che loro hanno detto-scritto loro con ciò che si trova nei libri di scienze”: esatto! vorrei renderli consapevoli e fare un lavoro di meta-cognizione...

IL TUTOR - Ho provato a rileggere le parole dei bambini partendo dai tre aspetti che tu hai messo a fuoco (utilizzo le tue parole):

1.   la spiegazione è correlata a un contesto ovvero viene descritto in quale contesto si usano quelle parole

2.   si manifestano valori relativi e valori assoluti

3.   è esplicito che, più che delle caratteristiche di un materiale, è in gioco è l'interazione fra più componenti di un sistema.

Dopo aver provato mi sono accorto che 1 e 3 si sovrappongono.

Faccio un esempio: “è una cosa che se la schiacci si forma un buco” ; qui la “mollezza” è descritta nel contesto di una azione di un soggetto che schiaccia un oggetto (probabilmente con un dito) fino a produrre un buco, anzi è probabile che il bambino si riferisca a una sua precisa azione nel tempo, quindi a un contesto “storico”; ma se il contesto è pertinente significa che la ”mollezza” è qualcosa che si manifesta nell’interazione tra soggetto e oggetto e non sta dentro l’oggetto, non fa parte di una sostanza (i bambini non pensano per sostanze come noi platonico -aristotelici)

Per cui propongo di evidenziare (in corsivo e in MAIUSCOLO rispettivamente) quando:

             la spiegazione è correlata a un contesto per cui, più che la caratteristica di un materiale, è in gioco la relazione, l'interazione fra più componenti di un sistema.

             si manifestano valori relativi e valori assoluti (valori condizionati)

Ma per certi versi le due cose sono in relazione: nell’esempio fatto prima lo schiacciare è un contesto di azione ma è anche una condizione di relatività (se non la schiacci con una forza sufficiente, non si manifesta la mollezza).

Vediamo qualche esempio delle definizioni dei bambini con le evidenziature proposte.

MOLLE

MAT - Una cosa che la puoi modellare e rifare tante volte

LUC - è una cosa che se la schiacci si forma un buco

IRI - L’ho capito da come non è liscio

ALESCR - Che si schiaccia, restano su le ditate oppure spiaccica tutta

FRA - Vuol dire che se si schiaccia senti che è molle

ANPLA - è una cosa che si può schiacciare

ANGAM - è una cosa che riesci a romperla con le mani

VERCEL - Una cosa che se la fai cadere non si spacca perché quando è molle si può rimpastare

MAR - Che si può muovere

ALEM - Una cosa che si deforma

JAC - è una cosa che esempio la creta bagnata

ALEFAN - Un materiale che lo schiacci facilmente (se una cosa la butti per terra non si rompe)

GIO - Quando riesci a schiacciarla e quando si piega facilmente

SIM - Quando una cosa si può appiattire

ALEX - Una cosa che quando la prendi in mano si schiaccia

RIC - Morbida, pappona, molliccia, facile da piegare

TOM - Che si schiaccia e si modella subito

GIA -Quando una cosa si può rompere

DAVT - Che si può piegare

DAVB - Che si riesce a bucare con un dito e si riesce a spezzare

LIN - Quando si può impastare facilmente

ALESS - Che si può modellare, come per es. la colla

CLA - Quando mangi un budino, la mollica di pane o l’acqua

CAR - Quando chiudi la mano senza forza e si schiaccia

LUD - Una cosa facile da schiacciare

 

LEGGERO

MAT - Una cosa che la prendi in mano e la lanci con una mano

LUC - se prendi poca argilla è molto leggero

IRI - Dipende se ne prendi tanta o poca; se ne prendi poca diventa leggero

ALESCR - Che non pesa

FRA - Vuol dire che è come una piuma

ANPLA - Vuol dire che è una cosa che non è difficile da portare in mano

ANGAM - Vuol dire che riesci ad alzarlo molto facilmente

 VERCEL - Quando tu sollevi una busta con un dito vuol dire che è leggero

MAR - Non è formato da troppe cose

ALEM - Una cosa come i fogli di carta

ALEFAN - Una sostanza  che non pesa, tipo una piuma

GIO - Una piuma è leggera, una matita è leggera perché quasi non la senti

SIM - Quando una cosa si riesce a lanciare in aria

ALEX - Quando una cosa non pesa niente

RIC - Pesa poco, quando non fatichi a sollevarla

TOM - Che riesci a sollevarlo facilmente

GIA - Una cosa che si arrotola

DAVT - Una cosa che si tira su molto facilmente

VERF - Che se la prendo in mano la mano sta dritta

DAVB - è leggero quando l’hai tolto un po’ dalla plastica

CLA - Che ti fa un po’ riposare o che ti fa fare pochi sforzi

CAR - Quando si tiene senza forza

LUD - Che sembra leggero come una piuma

 

Mi pare che la quasi totalità dei bambini esprimano attraverso il loro linguaggio un pensiero contestualizzato attento alle relazioni e pochissimo propenso a cadere nell’errore “sostanzialista”.

É una delle basi per il pensiero scientifico operativo; per intenderci lo scienziato definisce la “mollezza” solo come ciò che viene misurato da un dispositivo di misura che consiste nel fare determinate operazioni sugli oggetti. Un dispositivo di misura è il contesto senza il quale “mollezza” è parola priva di significato.

La seconda base per questo pensare scientifico è la capacità di cogliere differenze e poi di collocarle in scale quantitative (ma attenzione a non ridurre la scienza alla fisica, altro errore che accomuna gli scientisti-riduzionisti ai loro acerrimi avversari che oppongono la scienza all’arte, il rigore all’immaginazione, la ragione all’emozione ecc.: molte scienze sono essenzialmente descrittive e qualitative, pur essendo rigorose, argomentative, razionali e fattuali).

In questa direzione i bambini certamente usano l’ ”è” (oppure “ha”, anche se “avere un odore” è già un nucleo di relazione rispetto a “è odorosa”) e il “non” (“senza”) per designare presenza/assenza di qualcosa. Tuttavia questa modalità è limitata, condizionata spesso al contesto, anche linguistico (vedi l’esempio di “inodore”, dove prevale il valore assoluto, ma è il termine usato “IN -odore” a suggerirlo); usano altrettanto le variazioni qualitative (vedi gli odori) e le gradazioni quantitative (poco, troppo ecc.). In questo li aiuta molto il riferimento al proprio corpo in azione.

La scienza in fondo non fa che sostituire alla variazione nella percezione del corpo la variazione in un dispositivo strumentale (in più c’è l’oggettività e la precisione, in meno la qualità: nessuno strumento può cogliere la diversità di odori dal momento che gli odori sono percezioni, ovvero fenomeni relativi al sistema soggetto -oggetto -contesto).

Mi pare interessante il tuo smarrimento finale: se a un certo punto non sai come andare avanti può essere che hai perso l’orientamento, ma può anche essere che... sei arrivata.

Tu hai fornito ai tuoi alunni un contesto per fare esperienze attorno a un certo tipo di fenomeni. Loro hanno messo in azione il corpo nell’interazione con le cose e hanno pescato dal bagno di linguaggio sociale in cui sono immersi le parole per dire l’esperienza. Tu di nuovo hai fornito un contesto in cui prestare attenzione alle parole, creando così la possibilità della meta-cognizione (i bambini non solo fanno esperienza e usano parole, ma riflettono sulla relazione tra esperienza e parole).

Il risultato è un linguaggio organico alla conoscenza effettiva dei bambini (e non appiccicato a forza sopra di essa) derivante da un aggiustamento che loro hanno fatto in un contesto sociale.

In più questo linguaggio non è affatto anti-scientifico e neppure a-scientifico; anzi appare come il terreno e insieme il seme per la crescita del sapere e del linguaggio scientifico esperto. Cosa vuoi di più? Non è una domanda retorica. Forse vuoi fare un ulteriore passo verso il sapere scientifico esperto?

L’INSEGNANTE - No, per ora rimango al livello di meta-cognizione... Se capita, aggiungo qualche dettaglio su come fanno gli esperti a misurare le proprietà... ma non è indispensabile! Ho riletto "il significato delle parole" e... mi hai convinto: effettivamente quasi tutti manifestano le due condizioni che mi interessava fossero presenti...

...

Ha senso, secondo te, proporre le seguenti attività, magari a gruppi e con modalità ispirate al laboratorio di cooperative learning per renderlo più divertente e sicuramente partecipato (ovvero in modo che tutti, proprio tutti, siano coinvolti):

             elencate tutti i materiali e gli oggetti che sono legati a "molle" (e poi a “duro”)

             elencate tutte le azioni collegate a...

             provate a scrivere le parole che possono stare al posto di... (ma ha senso senza contestualizzare tale domanda in frasi?)

             leggete le spiegazioni date dalla classe e dividete in 3 gruppi: spiegazioni su cui siamo tutti d'accordo, spiegazioni su cui non siamo d'accordo, spiegazioni che non capiamo bene...

Gli elenchi potrebbero servire a portare in classe successivamente gli oggetti duri e molli e provare a fare una graduatoria (dal più molle ecc.) per arrivare alla conclusione che tutto è relativo.

Ma io continuo a chiedermi: come tornare all'argilla e chiudere il cerchio?

Non rischio solo di creare ansia (a me la sta creando notevolmente) e di dare l'impressione (corretta) che la stessa maestra non riesca a venirne a capo rendendo di qualche utilità concreta tutta questa... analisi?

Non sono forse troppo piccoli per arrivare alla chiarezza che ho in mente io?

Ha quindi senso cercare di portarceli? Sigh! Al punto di partenza. Triplo sob!.

 

IL TUTOR – Secondo me l'unico pericolo è che qualche bambino ricorra al  "telefono azzurro" e, se dice che la maestra non gli vuole bene, quelli poi intervengono... ;-)

Seriamente: secondo me corri il rischio di far diventare "scolastico" quello che fin qui era un "gioco" nel senso “serio” del termine (un contesto di apprendimento organico alla cultura dei bambini).

L’INSEGNANTE  - Una restituzione va fatta, perché loro hanno svolto il loro lavoro e hanno diritto a sapere com’è andata, cosa ne penso ecc…

Bene, forse le attività abbozzate non sono quelle adeguate, ma voglio usare quanto raccolto per estendere la condivisione dei significati e rendere loro consapevoli di quanto c’è dietro alle parole.

IL TUTOR – Condivido, soprattutto sulla “restituzione” ovvero una rilettura di quello che loro hanno fatto, che gli dia il senso che loro hanno costruito conoscenza scientifica attraverso il linguaggio (questo almeno è ciò che io credo abbiano fatto, come ho espresso nei miei commenti).

L’INSEGNANTE  - Forse basta una mia sintesi da fotocopiare e leggere insieme… io speravo di mettere a fuoco qualcosa di più attivo.

È abbastanza normale per me arrivarci con una certa fatica e dopo vari tentativi. Visto che non è mia intenzione rischiare una segnalazione a Telefono azzurro cambierò registro… ma giammai lascerò perdere!  ;-)

IL TUTOR – Forse gli si può proporre qualche lavoro “meta-“ sul materiale da loro prodotto, per esempio che siano loro a fare una sintesi (prima a coppie poi a quartetti poi a gruppi) per ciascuno dei termini.

L’INSEGNANTE  - Non voglio portarli verso un livello più esperto, ma voglio riconnettere questa digressione sul significato delle parole al “fare scienza”: un mio alunno mi ha chiesto  “ma cosa c’entrano le parole con  fare scienza?”

Certo, non per questa si merita una punizione come… le attività che avevo pensato… ma qualcosa devo fare…

IL TUTOR – Il tuo alunno si merita sicuramente da me il premio “epistemologia under 18” credo ti abbia messo sulla strada di una riflessione meta-cognitiva: perché abbiamo fatto questo lavoro? cosa ci ha fatto imparare? c’entra con la scienza degli scienziati? Buone domande.

 

 



[1] Si veda: Gaston Bachelard (1938), La formazione dello spirito scientifico, Cortina 1995.

 

[2]  André Lapierre e Bernard Aucouturier, I contrasti - Le sfumature - Le associazioni di contrasti, Sperling & Kupfer 1978.