Gianna Cannaos
- Marcello Sala PAROLE PER DIRE...
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pubblicato in
NATURALMENTE
n.1 / 2007
Accademia
Editoriale |
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Perché
occuparsi di bambini piccoli in una rivista dedicata all’insegnamento
disciplinare delle scienze? Per due buoni motivi. Il primo è che noi
pensiamo, diversamente dalla ministra Moratti che ha proibito l’evoluzione ai
minori di 14 anni, che l’apprendimento scientifico comincia ben prima
dell’ingresso alla scuola secondaria, e non perché lo decide o lo controlla
la scuola. Il secondo è che una prospettiva genetica (nel senso di Piaget e non di Mendel)
dell’apprendimento è essenziale per ricavare dall’epistemologia buone idee
pedagogiche e didattiche. Il
lavoro di cui vogliamo riferire si è svolto in una terza elementare e si
colloca sullo sfondo di una ricerca attorno all’aspetto linguistico
dell’apprendimento scientifico: come si costruisce la conoscenza scientifica
tra parole e cose, ovvero tra riferimenti all’esperienza e bagno di
linguaggio e di informazioni cui i bambini e i ragazzi sono immersi, dentro e
fuori dalla scuola? come gioca in questo il “sapere scientifico”, espressione
della scienza come istituzione sociale, ma mediato dalla comunicazione (che
spesso non è gestita dagli scienziati)? Questa
esperienza propone anche, come “condizione a contorno”, una cooperazione tra
insegnante e tutor che ci pare interessante, tanto che scegliamo di
conservarne le tracce usando in questa scrittura i dialoghi così come si sono
sviluppati attraverso il mezzo della posta elettronica. L’INSEGNANTE - Avevo dato a ciascun bambino durante le vacanze
di Natale un pezzo di argilla fresca con la consegna di modellare un oggetto
a piacere e di raccogliere in una scheda le osservazioni sul materiale
argilla, usando tutti i sensi a disposizione e provando a pensare anche ad
azioni particolari a cui sottoporre quel materiale e registrandone poi le
conseguenze (es: se lo lancio giù dal tavolo
succede che... se lo metto in frigorifero... se lo metto sott'acqua...); dopo
una settimana avrebbero dovuto riprendere in mano quell'oggetto e scrivere
come era cambiato il materiale argilla.
Al
loro ritorno in classe ho raccolto le osservazioni registrate.
La
discussione che ne è seguita si è incentrata particolarmente sulla scelta
delle “parole per dire" le caratteristiche su cui ci sembrava di essere
d'accordo ma che forse avevamo espresso in modo diverso.
Lì è
nata la mia inquietudine, perché questo passaggio si stava verificando molto
più difficile di quanto avevo previsto; scavando un pochino sotto le parole
non solo mi rendevo conto che c'era una grossa differenza e difficoltà nelle
spiegazioni, ma cominciava a farsi strada un dubbio: si può domandare di un
materiale è
pesante? è leggero? È
ovvio che non esiste il pesante in assoluto, ma qualcosa di più
pesante o di più leggero di qualcos'altro...Tuttavia c'è una radice comune
sulla base della quale confrontare le sensazioni fino a comprendersi e
scegliere di comune accordo un descrittore oppure un altro?
La
settimana seguente ho proposto una scheda per raccogliere le definizioni di
ciascun bambino relative alle parole
più usate (molle, duro,
fragile, robusto, inodore, puzzolente, elastico, leggero, pesante).. Ho
nuovamente raccolto i significati dati a ciascuna parola e poi sono andata a
cercare nel vocabolario on line di De Mauro e nel Vocabolario
Etimologico il significato più corretto di tali termini per un confronto (che
però ho tenuto per me).
A
questo punto però sono entrata in crisi e ho temuto che il mio lavoro non
avesse un gran senso, anche perché confrontandomi con colei con cui sto
facendo formazione ho ricevuto consigli su come trattare le proprietà della
materia, ma non nel merito specifico di quanto avevo raccolto.
Se è
vero che usare la lingua per spiegare è fondamentale in un discorso
scientifico, credo che sia utile far confrontare i bambini sui significati
che stanno dietro alle parole. Molti di questi significati sono legati a
sensazioni corporee ben precise (ad esempio: molle è una cosa che se chiudi la mano
si schiaccia, leggero è quando qualcosa si tiene senza forza), ma ci sono spiegazioni che possono
essere messe in discussione, es. elastico è qualcosa che non si rompe... e
altre.
Ricapitolando:
ha senso affrontare un confronto anche con i vocabolari? in che modo?
attraverso nuove attività?
IL
TUTOR – Provo a mettere a fuoco qual è il problema dal punto di vista
della scienza in relazione a questo tipo di situazione (osservazione delle
caratteristiche di materiali): lo scopo dello “scienziato” è definire le
generalità riferite alla realtà (esempio: definizione di “mollezza” e
determinazione di un criterio operativo per misurare la mollezza), oppure
descrivere la realtà con cui interagisce direttamente (questa particolare
argilla in queste particolari condizioni)? Il primo è uno scienziato
classico che insegna all’università, il secondo è uno scienziato che riceve
finanziamenti dalla ConfVasai o dalla FAO per
trovare il modo di fare i vasi con meno acqua. I
bambini quanto più sono piccoli tanto più sono vicini al secondo scienziato
(come epistemologia), cioè fanno una scienza contestualizzata. Le tue
indicazioni di interazione con l’oggetto si riferiscono più al secondo tipo,
i libri di testo e i manuali sono più vicini al primo. La
generalizzazione è l’oggettività sono fondamentali per la scienza, ma l’errore
epistemologico che si rischia di commettere è collocare certe caratteristiche
negli oggetti (pensare per sostanze, modo tipicamente occidentale da
Platone in poi) quando invece sono una caratteristica del sistema che
contiene gli oggetti (pensare per relazioni)[1].
Esempio: se la mollezza dell’argilla dipende da quanta acqua ci metti, è
errato attribuire la mollezza all’argilla invece che al sistema argilla +
acqua + azione dell’impastare (tempi, modalità ecc.). Inoltre
il sistema della descrizione scientifica comprende anche l’osservatore: è
impossibile eliminarlo anche se si tenta di sostituire la soggettività della
percezione con l’oggettività di una procedura di misura. Naturalmente
la generalizzazione è ciò che consente di trasferirsi da un caso particolare
all’altro, ma se vuoi interagire su una realtà devi contestualizzare. L’adeguatezza
del linguaggio si misura a partire dalla diversità dei due tipi di scienza. Naturalmente sto semplificando
abbastanza rozzamente. Il
vocabolario appartiene per definizione al primo mondo epistemologico, quello
della generalizzazione, anche se certe operazioni che si trovano nei
vocabolari (come il fare esempi) appartengono al secondo mondo e dimostrano
come il primo non sia sufficiente per capire. Prima di rispondere alla tua
domanda su che cosa fare del vocabolario in questo contesto, proviamo a
esaminarlo. Il
vocabolario fa operazioni molto diverse, e per ciò stesso difficilmente
comprensibili per chi non sa che operazioni sono (si tratta di una
meta-cognizione rispetto alla ricerca del significato della specifica
parola). Facciamo un esempio su “elastico”:
la prima mossa (dotato di elasticità)
non so se fa tenerezza tanto è disarmante (non è capace
di dire alcunché) o se fa arrabbiare per la sua arroganza accademica
(pretende che chi legge capisca di che cosa si sta parlando senza dargli
alcuna informazione). La seconda mossa (tessuto elastico, molla elastica), che rivela la totale insufficienza
della prima, è quella opposta, deittica ostensiva, di citare degli esempi
particolari: si spera che chi legge, pensando a quegli oggetti, che
sicuramente conosce, dica “ah, ecco!”. Dopo di che si passa subito a
significati vicini con intersezioni (estensione: di qualcosa che denota agilità), cioè si passa all’agilità senza
aver detto nulla su cosa è elasticità, tanto per confondere le idee, o
addirittura a significati traslati (figurato: duttile, perspicace; mente elastica; non essere
intransigente, cerca di essere più elastico) e metaforici (figurato: che consente
un margine di discrezionalità; norme elastiche; che varia con le situazioni,
che ammette deroghe). Passiamo al dizionario etimologico: Deriva
dal greco ELAO = ELAUNO
che vuol dire “stimolare, spingere” e anche “allargare, distendere”. Che
cosa vuol dire “deriva da”? Non diamo per scontato qualcosa che è invece
interessante spiegare: perché sapere quali parole usano parlanti di un’altra
lingua dovrebbe aiutarmi a capire il significato di una parola italiana? Vuol
quindi dire che spinge, che dà impulso: questa conclusione non rende
ragione di ciò che i bambini osservano, perché limita il riferimento
all’azione di un oggetto solo dopo che è stato teso (o compresso), mentre il
significato di elasticità comprende l’azione di stirare (o comprimere)
l’oggetto con il relativo investimento di energia dall’esterno, la deformazione,
il ritorno alla forma iniziale con relativa restituzione di energia. Si
dice per corpi che compressi e allungati tendono a riprendere la forma
primitiva cessata che sia la forza che agisce sopra di essi in quanto si
agitano in maniera contraria a quella della forza medesima:
qui finalmente viene data una definizione, cioè si dice che cosa designa
quella parola, qual è il suo referente. Ma l’esigenza di non contraddirsi, di
essere precisi, di eliminare ogni ambiguità, di generalizzare a tutti i casi
compresi e di eliminare i casi non compresi, rende il linguaggio molto
astratto. C’è una percentuale molto alta di termini probabilmente non noti ai
bambini (compresso, primitiva, cessata, medesima), parole usate
probabilmente in modo diverso da quello noto ai bambini (corpo, si agitano),
forme linguistiche sofisticate (cessata che sia, in quanto che)
costruzioni complicate (cessata che sia la forza che agisce sopra di essi
in quanto si agitano in maniera contraria a quella della forza medesima). La
mia domanda a questo punto è: in che cosa ciò che sta scritto sul vocabolario
è meglio di ciò che dicono i bambini? (più avanti nei riquadri sono
riportati degli esempi). Ma “meglio” in che senso? Qual è lo scopo
educativo che vogliamo raggiungere? Forse “trovare le parole più adeguate per
dirlo”. “Adeguate” in ambito
scientifico significa che il discorso •
deve essere coerente dal punto di
vista logico •
deve fornire una struttura di
informazioni note che possa illuminare sul significato di un termine ignoto
(se, per spiegare un termine che non so, uso un altro termine che non so, a
questo punto i termini da spiegare sono diventati due, e così via in progressione
esponenziale). Dal
mio punto di vista quella dei tuoi bambini è una conoscenza scientifica
adeguata espressa con un linguaggio adeguato, che però è diverso da quello
formale del sapere scientifico. C’è
in giro una cattiva immagine della scienza (una immagine poco complessa e
molto semplificatoria), per colpa degli scienziati
più riduzionisti e scientisti tanto quanto per colpa di coloro che, conoscendo
molto poco della scienza, contrappongono arte a scienza, immaginazione a
rigore ecc. A volte si attribuisce alla scienza ciò che è proprio dello
scientismo o della scienza scolastica: il linguaggio scientifico è
sicuramente rigoroso, ma come punto di arrivo nelle rappresentazioni formali;
e poi nella scienza c’è anche l’uso della metafora, l’invenzione di parole,
l’uso dell’immagine, la retorica ecc. ecc. Per
andare avanti mi interessa sapere cosa pensi tu, qual è non l’obiettivo della
tua programmazione ma la tua intenzione educativa, che cosa ritieni sia
davvero importante per la crescita dei bambini. L’INSEGNANTE
- La mia intenzione educativa si era
persa nel labirinto delle parole e dei significati, annullata dalla tensione
verso una correttezza scientifica troppo rigida e poco adeguata... Ora però
si tratta di renderla esplicita ma soprattutto di organizzare una restituzione
coerente senza cedimenti che arrivi forte e chiara ai bambini. In
sintesi vorrei dire ai miei alunni che i significati che ho raccolto dalle
loro schede sono molto più ricchi e molto più vari di quanto avessi
immaginato e vorrei "scoprirli" insieme a loro. Ma
siccome un lavoro di analisi si dimostrerebbe mortalmente palloso per dei
bimbi di 8 anni, ci va un po' di organizzazione e qualche buona idea. La
prima è di affrontare una coppia di opposti (dove ci sono) per volta. IL
TUTOR – Nello sviluppo del pensiero a partire dall’esperienza, la
conoscenza comincia nei bambini piccoli da discriminazioni tra opposti per
poi svilupparsi nella variazione tra polarità [2]. Ma
si parla di bambini piccoli; i tuoi sono già oltre e potrebbe farli regredire
una cultura adulta che usa un linguaggio di separazioni e opposizioni là dove
si tratta di gradazioni. In termini scientifici non esiste leggero e pesante
ma una gradazione di peso ed è esattamente quello che i bambini costruiscono
con il loro pensiero (fino alla struttura: più pesante = meno leggero
>< più leggero = meno pesante). Voglio dire che loro spontaneamente
arrivano alla gradazione (che è poi quella che interessa al discorso scientifico)
nonostante noi continuiamo a usare leggero e pesante come se fossero
qualità sostanziali. L’INSEGNANTE
- L'obiettivo dell'attività è
l'esplorazione dei significati ma anche delle azioni che stanno dietro alle
parole; gli obiettivi di educazione scientifica potrebbero essere - scoprire che ogni spiegazione è correlata
a un contesto - scoprire che esistono valori relativi e
valori assoluti - scoprire e rendere esplicito che, più che
le caratteristiche di un materiale, indagando bene si arriva a scoprire che a
essere in gioco è l'interazione fra più componenti di un sistema (ho capito
bene?), e che quindi tutto è più complesso e tutto è più relativo e quindi - per dare corrette spiegazioni
scientifiche occorre descrivere molto bene in quale contesto usi quelle
parole; ovvero non te la puoi cavare con un "molle" o con un
"duro", ma devi dare bene le coordinate di ciò a cui si
riferisce... Insomma
questo potrebbe spostarli un pochino da quelle spiegazioni sommarie che loro
danno. è così? IL
TUTOR – Sono un po’ sorpreso dalla tua conclusione, perché le azioni,
la variazione, il contesto sono già ben presenti nelle parole dei bambini,
mentre mancano nel vocabolario. Perché insegnare ai bambini ciò che sanno
già? Una
restituzione, un lavoro meta-cognitivo su ciò che hanno detto e scritto
potrebbe forse aiutare il processo (misterioso) per cui una conoscenza di
gruppo diventa conoscenza di tutti i membri del gruppo, oppure il percorso
dalla conoscenza co-costruita dal gruppo e
“situata” porta al sapere scientifico della comunità di esperti (che però ha
tempo di dispiegarsi da qui a quando finiranno la scuola superiore). Su
questa seconda direttrice forse si può pensare di far confrontare ciò che
hanno detto-scritto loro con ciò che si trova nei libri di scienze. Oppure
introdurre una tua mediazione; a volte quando i bambini co-costruiscono
un concetto abbastanza preciso ci si può mettere sopra una specie di
“etichetta”: ciò che voi avete detto gli scienziati lo chiamano.... Quello che non capisco
bene è se tu pensi che quella elaborata dai bambini “tra parole e cose”, tra
riferimento all’esperienza e bagno culturale di parole in cui sono immersi,
sia una conoscenza scientificamente non adeguata? Se
pensi così, potresti farmi degli esempi di cose dette dai bambini, così come
io ti ho fatto degli esempi di inadeguatezza del vocabolario? L’INSEGNANTE
- Scusami l'equivoco!. per "descrizioni sommarie" non intendevo queste
sul significato delle parole, ma mi riferivo a una tendenza che hanno
espresso in altri lavori precedenti. Ma in questo periodo di ansie e di
incertezze mi sto chiedendo se non sia io invece a pretendere troppo... Per
la verità io pensavo proprio che “quella elaborata dai bambini è una
conoscenza scientificamente non adeguata”. Tu però mi hai smontato
quest'opinione e mi hai permesso di includere fra le spiegazioni accettabili
anche quelle che non mi sembravano tali (anche alla luce del vocabolario
etimologico). Comunque penso ancora che sia utile renderli più consapevoli
del fatto che hanno spiegato usando il corpo e le azioni sugli oggetti
(dicendo loro che è cosa buona e giusta). Una
“restituzione, un lavoro meta-cognitivo su ciò che hanno detto e scritto” mi
sembra più accessibile. ”Far confrontare ciò che loro hanno detto-scritto
loro con ciò che si trova nei libri di scienze”: esatto! vorrei renderli
consapevoli e fare un lavoro di meta-cognizione... IL
TUTOR - Ho provato a rileggere le parole dei bambini partendo dai tre
aspetti che tu hai messo a fuoco (utilizzo le tue parole): 1. la
spiegazione è correlata a un contesto ovvero viene descritto in quale
contesto si usano quelle parole 2. si
manifestano valori relativi e valori assoluti 3. è
esplicito che, più che delle caratteristiche di un materiale, è in gioco è
l'interazione fra più componenti di un sistema. Dopo
aver provato mi sono accorto che 1 e 3 si sovrappongono. Faccio
un esempio: “è una cosa che se la schiacci si forma un buco” ; qui la
“mollezza” è descritta nel contesto di una azione di un soggetto che
schiaccia un oggetto (probabilmente con un dito) fino a produrre un buco,
anzi è probabile che il bambino si riferisca a una sua precisa azione nel
tempo, quindi a un contesto “storico”; ma se il contesto è pertinente
significa che la ”mollezza” è qualcosa che si manifesta nell’interazione tra
soggetto e oggetto e non sta dentro l’oggetto, non fa parte di una sostanza
(i bambini non pensano per sostanze come noi platonico -aristotelici) Per
cui propongo di evidenziare (in corsivo e in MAIUSCOLO rispettivamente)
quando: •
la spiegazione è correlata a un
contesto per cui, più che la caratteristica di un materiale, è in gioco la
relazione, l'interazione fra più componenti di un sistema. •
si
manifestano valori relativi e valori assoluti (valori condizionati) Ma
per certi versi le due cose sono in relazione: nell’esempio fatto prima lo
schiacciare è un contesto di azione ma è anche una condizione di relatività
(se non la schiacci con una forza sufficiente, non si manifesta la
mollezza). Vediamo
qualche esempio delle definizioni dei bambini con le evidenziature
proposte.
Mi
pare che la quasi totalità dei bambini esprimano attraverso il loro
linguaggio un pensiero contestualizzato attento alle relazioni e pochissimo
propenso a cadere nell’errore “sostanzialista”. É una delle basi per il
pensiero scientifico operativo; per intenderci lo scienziato definisce la
“mollezza” solo come ciò che viene misurato da un dispositivo di misura che
consiste nel fare determinate operazioni sugli oggetti. Un dispositivo di
misura è il contesto senza il quale “mollezza” è parola priva di significato. La
seconda base per questo pensare scientifico è la capacità di cogliere
differenze e poi di collocarle in scale quantitative (ma attenzione a non
ridurre la scienza alla fisica, altro errore che accomuna gli
scientisti-riduzionisti ai loro acerrimi avversari che oppongono la scienza
all’arte, il rigore all’immaginazione, la ragione all’emozione ecc.: molte
scienze sono essenzialmente descrittive e qualitative, pur essendo rigorose,
argomentative, razionali e fattuali). In
questa direzione i bambini certamente usano l’ ”è” (oppure “ha”, anche se
“avere un odore” è già un nucleo di relazione rispetto a “è odorosa”) e il
“non” (“senza”) per designare presenza/assenza di qualcosa. Tuttavia questa
modalità è limitata, condizionata spesso al contesto, anche linguistico (vedi
l’esempio di “inodore”, dove prevale il valore assoluto, ma è il termine
usato “IN -odore” a suggerirlo); usano altrettanto le variazioni qualitative
(vedi gli odori) e le gradazioni quantitative (poco, troppo ecc.). In questo
li aiuta molto il riferimento al proprio corpo in azione. La
scienza in fondo non fa che sostituire alla variazione nella percezione del
corpo la variazione in un dispositivo strumentale (in più c’è l’oggettività e
la precisione, in meno la qualità: nessuno strumento può cogliere la
diversità di odori dal momento che gli odori sono percezioni, ovvero fenomeni
relativi al sistema soggetto -oggetto -contesto). Mi
pare interessante il tuo smarrimento finale: se a un certo punto non sai come
andare avanti può essere che hai perso l’orientamento, ma può anche
essere che... sei arrivata. Tu hai fornito ai tuoi
alunni un contesto per fare esperienze attorno a un certo tipo di fenomeni.
Loro hanno messo in azione il corpo nell’interazione con le cose e hanno
pescato dal bagno di linguaggio sociale in cui sono immersi le parole per
dire l’esperienza. Tu di nuovo hai fornito un contesto in cui prestare
attenzione alle parole, creando così la possibilità della meta-cognizione (i
bambini non solo fanno esperienza e usano parole, ma riflettono sulla
relazione tra esperienza e parole). Il
risultato è un linguaggio organico alla conoscenza effettiva dei bambini (e non
appiccicato a forza sopra di essa) derivante da un aggiustamento che loro
hanno fatto in un contesto sociale. In più questo linguaggio
non è affatto anti-scientifico e neppure a-scientifico; anzi appare come il
terreno e insieme il seme per la crescita del sapere e del
linguaggio scientifico esperto. Cosa vuoi di più? Non è una domanda retorica.
Forse vuoi fare un ulteriore passo verso il sapere scientifico esperto? L’INSEGNANTE
- No, per ora rimango al livello di meta-cognizione... Se capita, aggiungo qualche
dettaglio su come fanno gli esperti a misurare le proprietà... ma non è
indispensabile! Ho riletto "il significato delle parole" e... mi
hai convinto: effettivamente quasi tutti manifestano le due condizioni che mi
interessava fossero presenti... ... Ha
senso, secondo te, proporre le seguenti attività, magari a gruppi e con
modalità ispirate al laboratorio di cooperative learning per renderlo più divertente e sicuramente partecipato
(ovvero in modo che tutti, proprio tutti, siano coinvolti): •
elencate tutti i materiali e gli
oggetti che sono legati a "molle" (e poi a “duro”) •
elencate tutte le azioni collegate
a... •
provate a scrivere le parole che
possono stare al posto di... (ma ha senso senza contestualizzare tale domanda
in frasi?) •
leggete le spiegazioni date dalla
classe e dividete in 3 gruppi: spiegazioni su cui siamo tutti d'accordo,
spiegazioni su cui non siamo d'accordo, spiegazioni che non capiamo bene... Gli
elenchi potrebbero servire a portare in classe successivamente gli oggetti
duri e molli e provare a fare una graduatoria (dal più molle ecc.) per
arrivare alla conclusione che tutto è relativo. Ma
io continuo a chiedermi: come tornare all'argilla e chiudere il cerchio? Non rischio solo di creare
ansia (a me la sta creando notevolmente) e di dare l'impressione (corretta)
che la stessa maestra non riesca a venirne a capo rendendo di qualche utilità
concreta tutta questa... analisi? Non
sono forse troppo piccoli per arrivare alla chiarezza che ho in mente io? Ha
quindi senso cercare di portarceli? Sigh!
Al punto di partenza. Triplo sob!. IL
TUTOR – Secondo me l'unico pericolo è che qualche bambino ricorra
al "telefono azzurro" e, se dice che la maestra non gli vuole
bene, quelli poi intervengono... ;-) Seriamente:
secondo me corri il rischio di far diventare "scolastico"
quello che fin qui era un "gioco" nel senso “serio” del termine (un
contesto di apprendimento organico alla cultura dei bambini). L’INSEGNANTE
- Una restituzione va fatta,
perché loro hanno svolto il loro lavoro e hanno diritto a sapere com’è
andata, cosa ne penso ecc… Bene,
forse le attività abbozzate non sono quelle adeguate, ma voglio usare quanto
raccolto per estendere la condivisione dei significati e rendere loro
consapevoli di quanto c’è dietro alle parole. IL
TUTOR – Condivido, soprattutto sulla “restituzione” ovvero una rilettura
di quello che loro hanno fatto, che gli dia il senso che loro
hanno costruito conoscenza scientifica attraverso il linguaggio (questo
almeno è ciò che io credo abbiano fatto, come ho espresso nei miei commenti). L’INSEGNANTE
- Forse basta una mia sintesi da
fotocopiare e leggere insieme… io speravo di mettere a fuoco qualcosa di più
attivo. È
abbastanza normale per me arrivarci con una certa fatica e dopo vari
tentativi. Visto che non è mia intenzione rischiare una segnalazione a
Telefono azzurro cambierò registro… ma giammai lascerò perdere! ;-) IL
TUTOR – Forse gli si può proporre qualche lavoro “meta-“ sul materiale
da loro prodotto, per esempio che siano loro a fare una sintesi (prima a coppie
poi a quartetti poi a gruppi) per ciascuno dei termini. L’INSEGNANTE
- Non voglio portarli verso un
livello più esperto, ma voglio riconnettere questa digressione sul
significato delle parole al “fare scienza”: un mio alunno mi ha chiesto “ma cosa c’entrano le parole con fare scienza?” Certo, non per questa si
merita una punizione come… le attività che avevo pensato… ma qualcosa devo
fare… IL
TUTOR – Il tuo alunno si merita sicuramente da me il premio “epistemologia
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