Marcello Sala

L’OGGETTO LOGO

- pubblicato in-   

COOPERAZIONE EDUCATIVA n. 8-9 / 1986

La Nuova Italia

 

Quando il bambino insegna a pensare all’elaboratore

 

   LOGO è un "software", cioè un programma complesso che, inserito in un computer, lo rende capace di eseguire determinate operazioni. Queste operazioni consistono in primo luogo nella possibilità di ricevere istruzioni dall’utente: perciò LOGO è un "linguaggio di programmazione". Nel caso più semplice il tipo di operazioni che l’utente può far eseguire al computer consistono in movimenti della Tartaruga, un "automa grafico" che, visibile sullo schermo sotto forma di una freccetta, lascia una traccia luminosa: l'utente deve organizzare semplici comandi alla Tartaruga (andare avanti di un certo numero di passi o ruotare su se stessa di un certo angolo) in modo da ottenere il disegno voluto. Le strutture che questi comandi assumono (assemblaggio, ripetizione, ricorsività...) hanno un corrispettivo immediato nel linguaggio LOGO, per cui ad esempio è possibile ottenere il disegno di un triangolo equilatero (ripetizione per tre volte di un movimento costituito dall’assemblaggio di un avanzamento con una rotazione) dando l'istruzione RIPETI 3 [AVANTI 100 DESTRA 120].

   Non si sottolinea mai abbastanza la necessità di non perdere di vista nella valutazione delle risorse informatiche il rapporto con i problemi dell’educare, di assumere cioè un punto di vista pedagogico. Nel caso di LOGO il compito è decisamente facile perché LOGO è un oggetto pedagogico, e lo è intenzionalmente. La prima operazione che possiamo fare è di confrontare con i nostri orientamenti le esplicite professioni pedagogiche di chi l'ha costruito e di chi lo utilizza, dal "Mind storms" di Papert agli interventi che si possono continuamente leggere su riviste come "Compuscuola" o "La tartaruga" (più difficile naturalmente trovare materiali su "Microsoft" o su "Bit") e che vanno dalla "comunità LOGO" all’ "inserimento di LOGO nel programma di matematica".

   LOGO è stato realizzato nel Laboratorio di Intelligenza Artificiale del MIT (Massachusetts Institute of Technology) da un gruppo di matematici e cibernetici, tra cui Seymour Papert, collaboratore per molti anni di Jean Piaget al Centro Internazionale di Epistemologia Genetica di Ginevra.

IL PAPÀ DI LOGO

   Il riferimento psicologico-pedagogico di Seymour Papert è Jean Piaget, con cui ha lavorato a lungo, il Piaget originale però, non il "piagetismo" strumentalizzato dall’istituzione scolastica: <<Ci sono quelli che credono di poter impostare un "programma scolastico piagetiano" o dei "metodi di insegnamento piagetiano". Ma, ai miei occhi, queste espressioni e le attività che esse indicano sono contraddizioni in termini. Io vedo in Piaget il teorico dell’apprendimento senza programmazione e il teorico di un tipo di apprendimento che si svolge senza un insegnamento predeterminato. Fare di lui il teorico di un nuovo programma scolastico è per me assurdo.>> [1] E, per deludere chi è solito chiudere le questioni con facili etichettature da "opposti estremismi" il brano prosegue: <<Peraltro, "insegnare senza programma" non significa "lasciare i bambini soli" in aule scolastiche dove tutto è spontaneo, dove c'è assoluta libertà. Significa, anzi, sostenere i bambini mentre costruiscono le loro strutture intellettuali con materiali ricavati dalla cultura circostante.>>

   Spontaneità dello sviluppo del bambino dunque, ma non spontaneismo dell’educazione, che si propone di risolvere precisi problemi: <<Dobbiamo chiederci perché certi apprendimenti hanno luogo così presto e spontaneamente, mentre qualche altro è ritardato di molti anni o non si realizza affatto, se non attraverso un’istruzione formale volutamente imposta. Se in realtà consideriamo il bambino come "costruttore" ci avviciniamo alla risposta. Tutti i costruttori hanno bisogno di materiali con cui costruire. Là dove io sono in disaccordo con Piaget è nel ruolo che io attribuisco alle culture circostanti in quanto fonte di questi materiali. In taluni casi la cultura li fornisce in abbondanza, facilitando così l'apprendimento costruttivo descritto da Piaget [...] Ma in più di un caso in cui Piaget spiegherebbe lo sviluppo più lento di un particolare concetto con la sua più grande complessità o formalità, io vedo il fattore decisivo nella relativa povertà della cultura riguardo a quei materiali che renderebbero quel concetto semplice e concreto. In altri casi la cultura può fornire materiali ma bloccarne l'uso [...]>>.

   Che cosa intende quando parla di questi materiali e del loro ruolo, Papert lo spiega con un riferimento alla propria esperienza di bambino: <<Non avevo ancora due anni che ero già affascinato dalle automobili [...] Fu certamente molti anni dopo che compresi come funziona un ingranaggio; ma dal momento in cui lo capii, giocarci divenne il mio passatempo preferito [...] Divenni esperto nel far girare nella mia testa ruote dentate e nel pensare concatenazioni di causa ed effetto [...] Gli ingranaggi, servendomi da modelli, hanno fatto entrare nella mia mente idee che altrimenti sarebbero restate astratte.>>

   Ma questi materiali sono qualcosa che non può essere ridotto in termini soltanto cognitivi: <<Una Maria Montessori dei nostri giorni potrebbe proporre, se la mia storia l'avesse convinta, di creare una confezione d'ingranaggi per bambini. Così ogni bambino potrebbe fare l'esperienza che io ho fatto. Ma sperarlo sarebbe trascurare l'essenza della storia: io mi ero innamorato degli ingranaggi.>>

   Ma perché gli ingranaggi hanno aiutato le idee matematiche a entrare nella vita di Papert? <<Numerose qualità hanno contribuito alla loro efficacia. In primo luogo essi facevano parte del mio "paesaggio" naturale, appartenevano intimamente alla cultura del mio ambiente. Ciò ha reso possibile che io li scoprissi da solo e mi mettessi in relazione con loro a modo mio. In secondo luogo gli ingranaggi facevano anche parte del mondo degli adulti che mi circondava e attraverso essi io potevo entrare in relazione con queste persone. In terzo luogo il mio corpo stesso poteva aiutarmi a comprendere gli ingranaggi; io potevo capire la rotazione degli ingranaggi, immaginando il mio corpo girare. Io potevo richiamarmi alla mia esperienza concreta, alla mia "conoscenza corporea" per riflettere sul sistema degli ingranaggi. E infine poiché realmente la relazione tra gli ingranaggi contiene una gran quantità di informazioni matematiche, questi ingranaggi hanno potuto servirmi d’introduzione ai sistemi formali [...]>>

   E poiché Papert è un cibernetico, e poiché oggi l'elettronica ha soppiantato la meccanica al centro del progresso tecnologico... <<La mia tesi potrebbe essere sintetizzata nel modo seguente: quello che gli ingranaggi non possono fare, l’elaboratore lo potrebbe. L'elaboratore è il Proteo delle macchine. La sua essenza è la sua universalità, il suo potere di simulare. Poiché può assumere migliaia di forme e può essere utilizzato per migliaia di funzioni, può soddisfare migliaia di gusti.>>

   Ma il computer non l'ha inventato Papert, e nemmeno il suo uso didattico con i bambini: <<Attualmente, quando i bambini sono messi davanti a un elaboratore, è quasi sempre per metterli alla prova, per far loro svolgere esercizi di un livello di difficoltà appropriato, per fornire feed-back, per dispensare informazioni. È l'elaboratore che programma il bambino, né più né meno.>>

   E allora, rispetto al computer come materiale o come strumento, Papert pone con chiarezza il suo punto di vista e il suo fine con due idee fondamentali: <<La prima è che è possibile progettare degli elaboratori in modo che comunicare con loro può essere un processo naturale, molto più simile all’imparare il francese vivendo in Francia, che al tentare di impararlo con l'innaturale processo di lezioni di lingua straniera praticate nelle classi. La seconda è che imparando a comunicare con un elaboratore può cambiare il modo di apprendere.>> Il software che Papert propone scaturisce da queste idee: <<Nell’ambiente LOGO il rapporto è rovesciato: il bambino, anche d’età prescolare, padroneggia la macchina, è lui che programma l'elaboratore. E insegnando all’elaboratore a pensare, i bambini si lanciano in una esplorazione del loro stesso modo di pensare. L'esperienza può essere inebriante. Riflettere sul come si pensa trasforma il bambino in un epistemologo, un’esperienza che molti adulti non hanno mai vissuto.>>

LINGUAGGIO E RICERCA EPISTEMOLOGICA

   Centralità dello sviluppo del bambino rispetto all’insegnamento, importanza della cultura e dell’ambiente, attività del bambino come costruttore ed epistemologo, conoscenza attraverso il vissuto corporeo: è innegabile che le idee di Papert suonano familiari; se non fosse un americano che opera nel covo della supertecnologia americana, potremmo offrirgli una tessera MCE.

   Tanto spazio dato alle idee di chi LOGO lo ha pensato e realizzato sottintende la convinzione che il fine del costruttore sia estremamente significativo e condizioni le possibilità successive di finalizzare uno strumento. In questo senso vale ricordare che il linguaggio BASIC, il più diffuso e praticamente l’unico disponibile per la programmazione degli home-computer oggi in uso nella scuola dell’obbligo, è nato per la didattica della programmazione del computer (il nome significa appunto "linguaggio simbolico di codifica per principianti, adatto a tutte le applicazioni"), come pure insegnare a programmare era lo scopo primo del "Pascal". Il FORTRAN ("FORmula TRANslator" cioè traduttore di formule) nasce per facilitare la programmazione di tipo matematico e tecnico ad alto livello in ambiente scientifico; COBOL è destinato alle applicazioni gestionali amministrative come rivela la traduzione della sigla ("COmmon Business Oriented Language"); il nome di LISP viene invece da "LISt Processing" (= elaborazione di liste) ma la scherzosa interpretazione come "a Lot of Insipid and Stupid Parenthesis" (= un mucchio di insignificanti e stupide parentesi) la dice lunga sulla sua accessibilità a un’utenza infantile, e infatti ha avuto una limitata diffusione in ambienti di ricerca scientifica; PROLOG è una implementazione su computer di una tecnica di dimostrazione di teoremi nata nell’ambiente dei logici.[2]

   Naturalmente a nessuno è chiesto di fidarsi del costruttore quando parla del suo prodotto. Il fatto però è che LOGO è l'unico oggetto-software attorno al quale non solo esiste una letteratura (libri e riviste) che riguarda la sua applicazione nell’ambito della formazione di base, ma si è sviluppato un vero "movimento", tanto che esistono associazioni di "utenti LOGO" e si parla di "comunità LOGO", sempre nell’ambiente educativo. Le ragioni sono già insite nelle idee di Papert e trovano riscontro nell’uso di LOGO nella scuola, pur con le differenze che corrono tra la sperimentazione fatta con gruppi scelti di bambini in condizioni ottimali dagli "alti papaveri" e la pratica quotidiana degli insegnanti nelle scalcinate scuole della repubblica falcucciana.

   In futuro avremo modo di entrare più nel merito delle esperienze; per ora indichiamo gli aspetti più significativi che emergono da questi primi anni di sperimentazione e che rendono l’uso di LOGO di fondamentale interesse per l'educazione. Un primo aspetto sta nella caratteristica della Tartaruga di essere un "automa" che si posiziona e si muove nello spazio, il che consente ai bambini di riprodurre sul proprio corpo o su quello dei compagni i suoi movimenti, dando una dimensione corporea alle strutture spaziali, senza saltare il rapporto tra vissuto e rappresentazione formalizzata.

   La comunicazione con l'automa avviene con un linguaggio decisamente più vicino a quello naturale. Se la programmazione del computer viene citata come utile forma di addestramento alla precisione e non ambiguità nell’uso del linguaggio, qui la cosa avviene senza la difficoltà di un codice troppo astratto e innaturale. Per fare un esempio banale l'ordine al computer di far apparire sullo schermo per dieci volte un messaggio viene espresso in LOGO con:

RIPETI 10 [STAMPA [MESSAGGIO]]

mentre le stesse istruzioni in BASIC si scrivono così:

10 FOR N=1 TO 10

20 PRINT "MESSAGGIO"

30 NEXT N

   Un’altra caratteristica forte da un punto di vista cognitivo è il fatto che LOGO “impara”, con un processo molto simile a quello umano. Quando, per fare l'esempio canonico, si definisce la procedura PER QUADRATO come RIPETI 4 [AVANTI 100 DESTRA 90], e d'ora in poi diventa possibile ottenere il disegno del quadrato semplicemente ordinando QUADRATO, ciò che si è fatto è di “insegnare” a LOGO come si fa a disegnare il quadrato. Il sostituire a una struttura concettuale-operativa di istruzioni un’unica parola capace di ottenerne l'esecuzione corrisponde alla acquisizione di una capacità, di un concetto, che si è evoluto sulla base di elementi noti in precedenza, ma che d'ora in poi è utilizzato come un’unità ed è rappresentato da un unico termine. Il bambino insegnando a LOGO in realtà impara egli stesso cioè costruisce attivamente la corrispondenza tra quel termine e il suo significato.

   Quella che si potrebbe definire la trasparenza di LOGO, cioè la sua capacità di far apparire nella propria forma la struttura cognitiva interna è ciò che lo rende uno dei linguaggi usati per l’"intelligenza artificiale" e, molto più concretamente per noi, per quella ricerca epistemologica del bambino di cui parla Papert. In questo senso il feed-back dell’errore, che è uno degli aspetti più importanti della programmazione del computer, macchina capace di ritornare immediatamente il risultato delle operazioni dell’utente, diventa qui molto più agibile da parte di un bambino, proprio perché il linguaggio nel suo lessico e nella sua struttura rende più immediatamente accessibili i significati.

CREATIVITÀ E PROGETTAZIONE

   Questa accessibilità non è solo importante perché abbassa l'età in cui diventa possibile utilizzare lo strumento, ma soprattutto perché evita che si stravolga il rapporto strumento-fine nel campo della creatività dei bambini. Uno dei problemi della cosiddetta educazione artistica, per fare un esempio più vicino allo stereotipo scolastico della creatività, è quello di fornire tecniche adeguate come indispensabili strumenti perché il bambino possa "esprimersi". Effettivamente lo stesso bambino è spesso insoddisfatto di ciò che riesce a produrre da sé, ed è anche vero che la conoscenza di una tecnica stimola l'espressione creativa, ma tutto ciò non giustifica il fatto che i bambini per la maggior parte del tempo dedicato all’attività grafico-espressiva siano impegnati in esercizi per apprendere la tecnica, e che vengano valutati sul grado di padronanza della tecnica. Dietro a questa incongruenza c'è anche una ragione intrinseca: lo strumento tecnico tanto meno stimola e facilita la creatività quanto più è complesso e quindi difficile da apprendere e faticoso da usare.

   La "facilità" di LOGO ne rende possibile l'uso strumentale per la costruzione di prodotti che hanno finalità, ludiche o di ricerca, anche al di là degli interessi cognitivi: la realizzazione di un gioco di simulazione o di un’animazione grafica, ad esempio. L’acquisizione delle istruzioni "primitive" o delle strutture LOGO necessarie non è in genere così impegnativa da far perdere di vista il prodotto, che in quel momento è l'obbiettivo motivante, o da demoralizzare i meno attrezzati. Naturalmente sta all’insegnante orientare la scelta dei prodotti da realizzare in base alla complessità degli strumenti di programmazione disponibili, ma questo compito è facilitato dalla natura di questi strumenti, che più che seguire una propria logica di evoluzione interna verso una crescente complessità, si presentano piuttosto come una serie di attrezzi concettuali che rispecchiano operazioni mentali e che quindi si rendono disponibili in base al grado di complessità del progetto.

Senza titolo-1.jpg   La possibilità di dare un nome a una procedura e di ottenerne l'esecuzione utilizzando quel nome (come nell’esempio del QUADRATO fatto sopra) consente di utilizzare le procedure come istruzioni e quindi di costruire una superprocedura le cui istruzioni componenti sono procedure, e così via senza limiti. Questa struttura ricorsiva (ricorsività in senso generale, non specifico) utilizzata "in discesa" ("top-down" come dicono gli informatici) costituisce la cosiddetta "programmazione strutturata": si parte dal prodotto finale, definendolo semplicemente con un nome, si analizza questo prodotto nei suoi componenti assegnando a ognuno di essi un nome che ne indichi il ruolo, la funzione rispetto al prodotto finale; ognuno di questi componenti viene sottoposto allo stesso tipo di analisi e così via fino al livello più basso, in cui i componenti sono le operazioni e gli oggetti più semplici di cui dispone LOGO, le "istruzioni primitive".

   Ecco un semplice esempio di progetto grafico fino al livello di dettaglio precedente a quello delle "primitive" (figura).

   Un modo di procedere monodimensionalmente sequenziale costringerebbe a scendere fino in fondo in una radice prima di poter passare alla radice successiva, e questo rischia di far perdere il filo del progetto complessivo. LOGO invece procede in modo bidimensionalmente strutturale, consentendo di definire complessivamente un livello prima di scendere al successivo. Nell’esempio, io non so ancora quale spostamento sarà necessario per posizionare correttamente i sei triangoli equilateri ma non me ne preoccupo adesso: per ora mi interessa avere chiara la struttura del disegno della "stella a sei punte" come ripetizione per sei volte di un modulo costituito da un triangolo e da uno spostamento.

   Alla realizzazione del prodotto si perviene ripercorrendo dal basso in alto la struttura "a radici": ogni configurazione di istruzioni primitive definisce una procedura che a sua volta diventa istruzione per la procedura di ordine superiore che la contiene; nell’esempio: TRIEQUILATERO viene definito come RIPETI 3 [AVANTI 100 DESTRA 120], SPOSTAMENTO come DESTRA 60 AVANTI 100, MODULO come TRIEQUILATERO SPOSTAMENTO, STELLASEIPUNTE come RIPETI 6 [MODULO].

   La semplicità di questo modo di procedere, la possibilità di verificare immediatamente i risultati, di fare ipotesi sugli errori e di verificarle, fanno di questo tipo di programmazione uno strumento eccezionalmente efficace per la sperimentazione di una attività di progettazione. A questo proposito va anche smentito il luogo comune che riduce LOGO alla Tartaruga: la grafica della Tartaruga è solo l’"ambiente" più semplice di LOGO, quello in cui il livello di astrazione degli oggetti (figure) e delle operazioni su di essi (spostamenti) è minore, quello più vicino al vissuto di uno spazio corporeo. Ma le stesse operazioni e strutture di operazioni possono essere trasferite su oggetti più astratti come le parole o addirittura gli insiemi.

   Dalla possibilità di scomporre il lavoro, che abbiamo visto essere la caratteristica della programmazione strutturata di LOGO, segue quella di affidare la realizzazione delle singole componenti a soggetti diversi, singoli o gruppi, mentre la rappresentazione grafica può essere usata come la sinopia su cui ogni elemento ritrova la propria collocazione funzionale. Ciò significa che si può far lavorare tutti i bambini a un progetto comune facendo sentire a tutti la necessità funzionale del proprio pezzo di lavoro e, nello stesso tempo, distribuire i compiti in modo adeguato alle capacità di ciascuno. La programmazione stessa poi costringe non solo alla ricostruzione finale dell’unità del prodotto, ma anche a una coordinazione durante il lavoro, ad esempio per la gestione delle variabili che devono fare capo a una "banca" comune.

   In conclusione mi sembra che le caratteristiche costitutive di LOGO, come appaiono proprio da un punto di vista pedagogico e in relazione a fini educativi, possano giustificare una valutazione o almeno un interesse positivo anche da parte di chi tra noi vive ancora un senso di estraneità e diffidenza nei confronti dell’informatica e del computer.

 



[1]  S. Papert, Mind storms: bambini computers e creatività, Emme 1984.

[2] Le informazioni sono tratte dalla rubrica "Digidattica" che Giancarlo Mauri, docente di Cibernetica, tiene sulla rivista Compuscuola.