Marcello Sala
- Giuliana Monzio Compagnoni LE ATTIVITÀ EDUCATIVE DELLA
LUDOTECA "L'AQUILONE" DI AMELIA (TR) giugno 2000 PREMESSA A
seguito di accordi con l'Associazione di Associazioni "L'Aquilone"
di Amelia (TR) è stata intrapresa dal Dr. Marcello Sala, collaboratore della
Facoltà, e dalla Sig.na Giuliana Monzio Compagnoni, laureanda in
Lettere a indirizzo pedagogico, una ricerca sull'aspetto educativo delle
attività della ludoteca "L'Aquilone" di Amelia. La ricerca, cui si
riferisce la presente relazione, può essere considerata un primo approccio
globale ad una situazione estremamente interessante che si presta ad
ulteriori approfondimenti su aspetti più specifici. Prof.sa Anna Rezzara titolare
della cattedra di "Psicopedagogia
del linguaggio e
della comunicazione" Facoltà
di Scienze della Formazione Università
degli Studi di Milano Bicocca I NUCLEI EDUCATIVI DEL PROGETTO
Nel
progetto della ludoteca "l'Aquilone" di Amelia, presentato
nell'ambito della legge 285/97 ("Disposizioni
per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza")
l'aspetto educativo è esplicitato fin dall'iniziale richiamo alla
Dichiarazione dei Diritti del bambino "...
il bambino deve avere tutte le possibilità di dedicarsi ai giochi ed ad
attività ricreative che devono essere orientate a fini educativi”. Viene
sottolineato il rapporto tra gioco, apprendimento ("Il bambino giocando conosce il mondo, costruisce le sue
strutture mentali e le sviluppa, in una dinamica di continua
evoluzione...") e integrazione sociale ("Il processo che passa attraverso il giocare è un fattore di
adattamento all’ambiente e comporta la trasmissione e la elaborazione di
modelli di vita, di valori umani e culturali, di ruoli nell’interazione tra
gli individui."). Viene riaffermata con forza la valenza educativa
del gioco: "Non può perciò
esistere una formazione ed un processo educativo senza che entrino in campo
giochi e giocattoli e soprattutto lo 'spirito del gioco' ”. Questa intenzionalità educativa prende forme
specifiche, attraverso l'assunzione di metafore orientative come quella del "vecchio 'cortile', dove i 'vicini di
casa' informalmente si incontrano per giocare, chiacchierare, festeggiare,
cucinare, mangiare, sistemare spazi collettivi, costruire..." o
l'esplicitazione di obiettivi quali la "valorizzazione
della libertà e la motivazione infantile", "sviluppare il
protagonismo dei bambini" o l'
"accettazione della
diversità". Proprio dalla lettura degli obiettivi del
progetto sono nate indicazioni di ricerca; ne riportiamo qui alcuni: " 'ascoltare', cioè accogliere le
esigenze profonde di tutti i bambini.", "evitare quelle perdite di senso che spingono i bambini o ad
agire pigramente o ad agitarsi senza scopo", "quello che cerchiamo è una condizione di 'presenza attiva' in
cui ciascuno abbia la possibilità di esprimere se stesso", "nella ludoteca i genitori possono
ritrovare la voglia, schiacciata da troppi impegni e dai tempi frenetici
della vita di oggi, di trascorrere momenti gratuiti di gioco, di ascolto con
i propri figli. La possibilità di farlo insieme ad altri bambini ed adulti
permette di aprire le relazioni, confrontarsi per elaborare alcuni aspetti
inconsapevoli del proprio rapporto con i piccoli, recuperare proprie parti
bambine sopite", "favorire
la pratica di attività espressive, ludico-motorie e pratico-conoscitive",
"aiutare il bambino a soddisfare i
suoi bisogni ludici", "stimolare
relazioni empatiche e collaborative tra ragazzi e tra questi e gli
adulti-educatori", "sviluppare
la capacità di organizzarsi in
maniera non violenta e non
competitiva". La domanda che sorge da questa lettura è come nella ludoteca vengono realizzati questi obiettivi. In particolare
abbiamo ritenuto di focalizzare la nostra attenzione su alcuni punti: —
se e come si concretizza una
organizzazione autonoma dei bambini —
quali processi di apprendimento vengono
attivati —
quali forme danno alla relazione
educativa con i bambini le persone che con vari ruoli la assumono —
in quale contesto è contenuto questo
sistema autoorganizzato Questo indirizzo della ricerca ne delimita
anche il campo. Attività organizzate, come i laboratori di ceramica o di
cucina, o momenti particolari, come le attività sportive o le feste, che pure
fanno parte della vita della ludoteca e sono contemplate dal suo progetto,
non sono state oggetto di osservazione se non in modo indiretto attraverso
documenti video-registrati. Questa scelta, se restringe il campo, tuttavia lo
fa attorno a quello che, nella lettura del progetto, sembra essere il suo
fuoco, l'aspetto che appare proporsi come qualificante. GLI SFONDI TEORICI Intendiamo
qui mostrare, attraverso rapidi cenni ad alcuni autori, come le problematiche
oggetto di ricerca si collochino in uno sfondo di discorsi rilevanti nel
campo delle scienze umane. Questa sintetica esposizione ha la funzione di
fornire riferimenti concettuali e lessicali alle chiavi di lettura utilizzate
più avanti nell'analisi dei materiali della ricerca. Il gioco come luogo dello sviluppo del
bambino ci rimanda alle ricerche di Jean Piaget, che in esso vede uno spazio
indispensabile all'equilibrio affettivo e intellettuale del bambino, in cui
egli possa agire non "accomodando" le sue strutture intellettive
alla realtà, quanto "assimilando" il reale ai bisogni dell'io.
Insieme al linguaggio il "gioco simbolico" è il supporto della
funzione rappresentativa dell'intelligenza, ma diversamente dal linguaggio
che è trasmesso al bambino in forme già pronte, il gioco simbolico gli mette
a disposizione un proprio sistema di significanti con cui esprimersi [1]. Erik
Erikson ha interpretato il gioco come una
pratica identificatoria di ruoli sociali, e ne ha sottolineato la
funzione fondamentale per l'equilibrio psichico nel contesto di un
adattamento sociale. I bambini, ma anche gli adolescenti, nel gioco
anticipano il futuro, sperimentando vari ruoli per definire una propria
identità. In certi tipi di gioco i bambini provano il piacere di portare a
compimento una serie di azioni ormai acquisite, ma da perfezionare; in altri
si possono permettere di correre rischi, mettendosi alla prova, in uno spazio
protetto [2]. Nel
gioco, per D. W. Winnicott, il bambino manipola l'esterno in funzione della
sua illusione creativa e investe la realtà esterna dei suoi significati
interni. Il gioco si colloca in quell' "area transizionale" o
"potenziale", che per il bambino piccolo è presidiata dalla madre,
indispensabile perché il bambino possa sperimentare, e tollerare, la
differenza tra sé e la realtà, e la progressiva transizione tra il mondo
della fusione con la madre e l'adattamento all'ambiente attraverso la
separazione [3]. Anche
Lev Vygotskij teorizza una "zona di sviluppo prossimo", in cui
funzioni psicologiche che non operano ancora da sole, sono possibili al
soggetto se è sostenuto dall'aiuto di un supporto esterno, da una forma di
attivazione e di regolazione. In questa zona, che accomuna gioco e
apprendimento, lo sviluppo dell'individuo avviene attraverso un processo di
interiorizzazione di quelle funzioni cognitive che precedentemente si
attivano nell'interazione con altri soggetti. Funzioni psicologiche che
richiedono controllo consapevole devono prima essere usate e praticate
inconsciamente nello scambio sociale [4].
Clotilde Pontecorvo ha documentato questa dinamica ad esempio nel caso della
argomentazione, che nasce come strategia efficace nella risoluzione di
conflitti e diventa il nucleo di sviluppo del ragionamento [5]. Jerome
Bruner legge il processo di sviluppo psicologico del bambino dal punto di
vista di un progressivo inserimento nella cultura come complesso di sistemi
simbolici condivisi da interiorizzare, di cui l'individuo si serve per
costruire i significati. Imparare ad assegnare un senso al mondo, attraverso
la partecipazione alla cultura, è qualcosa che avviene ancora prima
dell'acquisizione e dell'uso del linguaggio verbale. Il processo pratico
della comprensione si esprime innanzitutto nella regolazione dell'interazione
sociale da parte del bambino. La costruzione del sistema dei significati da
parte dei bambini come rappresentazione malleabile è attivata dalle azioni e
dalle espressioni degli altri e da certi contesti sociali di base entro i
quali gli esseri umani interagiscono. L'acquisizione della lingua risulta
dalla partecipazione al linguaggio quale strumento di comunicazione e
progredisce attraverso un "fare le cose con le parole", in misura
della comprensione del significato in relazione al contesto [6]. Ma
parlare, come si fa nel contesto di questa ricerca, di dimensione educativa
dell'organizzazione autonoma dei bambini riporta al tentativo di trasporre
nel contesto pedagogico un'idea di auto-organizzazione che si sviluppa
all'interno della "epistemologia della complessità", a partire da
una ristrutturazione del campo delle scienze della materia e del vivente. L'organizzazione
di un sistema non è soltanto la manifestazione di un progetto. A partire dalle
ricerche del biochimico Ilya Prigogine, l'equilibrio non è l'unico modello di
ordine che provenga dal mondo della materia: forme di organizzazione si
manifestano spontaneamente sotto forma di strutture che si mantengono come
"stati stazionari" grazie al continuo flusso di energia [7].
Secondo Edgar Morin il sistema vivente si basa su una relazione complessa tra
ordine, disordine e organizzazione: l'organizzazione è ciò che nel vivente si
oppone al degrado, ma per far fronte alla necessità di rinnovare e sostituire
i propri componenti, per conservare il proprio ordine attraverso la continua
modificazione, in quel processo che chiamiamo "evoluzione",
l'organizzazione necessita del "disordine", sotto forma di
"energia di agitazione" che permette l'incontro casuale degli
elementi, e sotto forma di produzione casuale di variabilità degli elementi,
in definitiva come fonte di novità [8]. I
biologi cileni Maturana e Varela hanno proposto il concetto di
"autopoiesi" in riferimento all'autonomia del sistema vivente: le trasformazioni
del sistema non vengono viste come determinate dall'ambiente in una dinamica
di adattamento, ma come risposte del sistema alle "perturbazioni"
provenienti dall'ambiente secondo una dinamica interna al sistema, volta a conservarne l'organizzazione e
quindi l'identità. L'ambiente innesca le trasformazioni del sistema, ma non
può determinarne la forma: la logica non è quindi quella del
"controllo" dall'esterno, ma della "autonomia
organizzativa" del sistema. In questo senso tra due sistemi (o tra
quelli che un osservatore esterno definisce il sistema e il suo ambiente) vi
può essere un "accoppiamento strutturale", un costante reciproco
innesco di trasformazioni, e quindi una "co-evoluzione" [9]. Sul
versante educativo, al paradigma del "controllo" corrisponde la
"pedagogia degli obiettivi": se l'ambiente educativo è in grado di
controllare il processo di trasformazione, è sufficiente porre in azione gli
input adeguati per ottenere gli output desiderati. Ad essa si contrappongono
pedagogie che si rifanno all'idea di co-evoluzione, come la "pedagogia
istituzionale" proposta da Andrea Canevaro, che riconosce nel bambino un
soggetto attivo nella costruzione della realtà. All'educatore viene assegnato
il compito di favorire l'auto-organizzazione dei bambini. Rinunciando alla
funzione di "controllo": l'adulto assume consapevolmente il compito
di curare l'organizzazione istituzionale (la strutturazione degli spazi, dei
tempi, delle regole - implicite ed esplicite - di comunicazione, delle
mediazioni), che costituisce lo "sfondo integratore" che rende
possibile l'emergere come "figura" dell'autonomo organizzarsi del
bambino [10]. Questa
rinuncia alla linearità delle dinamiche di controllo dei processi, che
vengono ricollocati in un contesto di relazioni sistemiche, porta con sé
anche una diversa modalità di azione. Edgar Morin contrappone al
"programma" la "strategia". In un ambiente stabile è
opportuno utilizzare dei programmi, ma in un contesto complesso, l’azione,
entrando in un universo di interazioni, sfugge all'intenzionalità; di fronte
ad una imprevedibilità che non è dovuta ad una ancora scarsa conoscenza, ma è
intrinseca, la strategia consente di ipotizzare scenari per l’azione, che
potranno però essere modificati secondo le informazioni che arriveranno nel
corso dell’azione e in risposta alle perturbazioni casuali. La strategia può
utilizzare frammenti di azione programmata, ma a questa manca una qualità di
"vigilanza" rispetto a ciò che cambia in modo aleatorio. La
strategia, come modalità dell'azione, non si affida soltanto alle intuizioni,
alle doti personali di chi agisce, perché si giova di una consapevolezza
della complessità sistemica [11]. Il
richiamo alla "vigilanza" come qualità dell'azione ci fa da ponte verso un discorso sull'attenzione, la
reattività, la "presenza" come qualità dell'attore. È un discorso che proviene dall'ambito dell'
"antropologia teatrale" e dalle ricerche di registi come Jerzy
Grotowski ed Eugenio Barba, ed è imperniato sul corpo dell'attore. Per Grotowski la formazione dell'attore è una
via "negativa" intesa non a sommare perizie tecniche, ma a
rimuovere le resistenze, in modo che le azioni seguano immediatamente gli
impulsi interiori [12].
Per Barba l'essere vivo dell'attore
passa attraverso tecniche "extraquotidiane" di uso del corpo che
sprecano dell'energia per rompere gli automatismi del comportamento quotidiano,
basati invece sul principio del minimo sforzo. Questo allenamento del corpo
sviluppa la reattività, nella
misura in cui i circuiti senso-motori tra lo stimolo, o l'impulso, e l'azione
non devono più passare attraverso una "mente" che si pone come
"burattinaia" del corpo. Il risultato di questo lavoro è una
capacità di improvvisazione. Alla
intenzionalità del significato di ciò che si fa si sostituisce la precisione
dell'azione "che prepara il vuoto
in cui un senso imprevisto potrà essere catturato." [13]. Queste
riflessioni, che possono essere riferite all'agire dell'adulto nei contesti
educativi, ci riportano al rapporto tra educazione e gioco. Ad una
problematizzazione in senso educativo di realtà quali le ludoteche non sono
estranee alcune svolte nel modo di pensare l'educazione che, nella lettura
che ne fa Riccardo Massa, si pongono come momenti di rottura nella tradizione
occidentale e che, insieme ad altre, fanno da sfondo alle rappresentazioni
che ne hanno i soggetti che vi operano. È di Jean Jacques Rousseau un'idea
dell’educazione come sviluppo spontaneo
che si contrappone alla corruzione della società come esercizio immediato e
diretto delle potenzialità espressive proprie di ogni fase di età. Ed è John
Dewey a proporre l’educazione come processo di ricostruzione e di incremento
continui dell’esperienza, come esercizio attivo di funzioni cognitive
complesse, come esperienza vissuta densa di valenze affettive, come rapporto
costitutivo con l’ambiente naturale e la vita sociale, non più come facoltà
contemplativa di tipo spirituale[14]. È
lo stesso Riccardo Massa a fornirci, per concludere, una messa a fuoco del
rapporto complesso tra gioco ed educazione che assumeremo come riferimento: "In
quanto attività scelta liberamente e priva di scopi a esso estranei, il gioco
sembra partecipare della vita immediata piuttosto che dell’esperienza
educativa. Quest’ultima infatti costituisce per molti aspetti qualcosa di
predisposto e di finalizzato al raggiungimento di obiettivi pratici. Ma il
gioco è anche definito dal suo carattere di segnale che permette di
distinguerlo come tale rispetto ad altri comportamenti vitali, e implica
sempre una sorta di finzione. Da questo punto di vista somiglia invece, nella
sua convenzionalità, all’esperienza educativa, la quale tende anch’essa a
separarsi dalla vita immediata sulla base di regole che le sono proprie.
L’educazione medesima, d’altronde, si prefigge spesso di operare secondo
modalità esistenziali più autentiche e più profonde del vissuto quotidiano,
contrapponendo alle forme stereotipate di esso atteggiamenti di tipo più
spontaneo e più creativo. Simili atteggiamenti sono allora analoghi a quelli
che definiscono l’attività ludica come manifestazione di libertà, di scelta
e di invenzione continua. Il gioco peraltro è stato largamente interpretato
anche come un dispositivo di maturazione e di adattamento, ma sottolineando
appunto in questo modo la sua funzione educativa, lo si riporta alle esigenze
dirette della vita reale. Insomma, se il gioco sembra situarsi per un verso
in una zona intermedia tra educazione, vita soggettiva e vita reale,
partecipa per un altro verso all’una e alle altre, senza identificarsi del
tutto con nessuna di esse, similmente a come si pone nel rapporto tra arte e
vita.[...] Il gioco corrisponde pertanto ad una dialettica di educazione e
vita nel suo duplice statuto di finzione e realtà da un lato, di
condizionamento e spontaneità dall’altro. [...] in tutti i modi il gioco si
rivela proprio nella sua immediatezza e nella sua convenzionalità come
qualcosa che media e che instaura un rapporto con le cose e con gli altri, e
ci riporta così al cuore del processo formativo e del suo significato vitale.
Si pone cioè a un tempo come differenza e come transizione tra vita
individuale e realtà sociale, tra soggetto e oggetto, tra natura e storia,
tra abitudine e novità. Ciò non comporta per nulla privilegiare
una pedagogia del gioco, e ridurre l’educazione a una sequenza di giochi, ma
domandarsi invece se l’educazione nel suo insieme, allo stesso modo del
linguaggio, non riveli la propria essenza e il proprio ordine qualora venga
studiata come un certo contesto di gioco, entro il quale l’educatore e il
bambino compiono le loro mosse. O se non altro affermare che il meccanismo
Iudico, più che svolgere una funzione determinata, costituisce una delle
condizioni fondamentali che rendono possibile l’accadere stesso del processo
educativo." [15]. Tutto
questo discorso è anche collocato in un contesto socio-organizzativo e
politico, di cui non ci occuperemo direttamente, che è riconducibile all'idea
di "sistema formativo integrato", il tentativo cioè di riconoscere
la funzione educativa di tutta una serie di ambienti che i bambini
frequentano, oltre alla scuola (la ludoteca è evidentemente uno di questi),
di metterli in relazione nella loro diversità e specificità e di articolare
in essi il compito educativo della società civile organizzata. In questa
articolazione alla scuola pubblica spetterebbe la trasmissione critica degli
strumenti per interpretare la realtà e per inserirsi professionalmente in
essa, all'extra-scuola la trasmissione critica degli atteggiamenti e delle capacità comportamentali socialmente più
efficaci per un inserimento attivo nella società [16]. LA METODOLOGIA DELLA RICERCA La
presente ricerca è di tipo empirico, qualitativo,
"micropedagogico", rivolta cioè ad “uno spazio-tempo determinato entro il quale si realizza un
intervento formativo che includa, da parte dell’attore-ricercatore,
un’attenzione per la progressiva scoperta delle componenti in gioco, delle
loro connessioni, delle regole che le sottendono e dei punti di vista dei
soggetti che ad essa partecipano.” [17] È
stata orientata nelle sue linee di fondo dal concetto di “latenza
pedagogica” nell’accezione proposta dalla “Clinica della formazione”, vale a
dire da quell’insieme di “aspetti
impliciti e nascosti dell’esperienza educativa che chiedono di essere riconosciuti
e tematizzati” in quanto premessa all’agire educativo di ogni soggetto[18]. Un
primo versante dell'indagine è volto a ricostruire la dimensione della
quotidianità della vita della ludoteca dal punto di vista dell'
"accadere educativo", la struttura latente della "materialità
educativa", i cui elementi sono il corpo, l'azione, il linguaggio,
l'affettività... nel significato che assumono nel contesto di una relazione
educativa[19]. L'attenzione è al "setting
pedagogico" inteso come modulazione di ruoli, di spazi e tempi
comunicativi, di regole e procedure tali da consentire lo svolgimento di un
gioco relazionale, di una "messa in scena" educativa[20]. Lo
strumento adottato è quello dell'osservazione che consente la descrizione
delle caratteristiche dell’evento e delle condizioni in cui si verifica.
Un'osservazione che adotta da una parte “un’attenzione libera e
fluttuante" e, dall'altra, anche uno sguardo intenzionale che tende a
mettere a fuoco ciò che si ritiene rilevante e significativo ai fini della
ricerca; la sua applicazione permette di porre un’adeguata attenzione al
contesto, fondamentale per attribuire significato ai comportamenti. Il
tentativo non è quello, impossibile di "annullare" la soggettività
dell'osservatore, ma di assumerla ad un livello sovraordinato come risorsa
conoscitiva, in quanto elemento significativo nella scelta delle pertinenze [21]. La
strategia di osservazione è in larga misura frutto anche del contatto con la
situazione, che ha reso evidente l'impossibilità di seguire il complesso
delle azioni di tutti i bambini nel loro intrecciarsi. L'osservatore,
collocato a distanza tale da permettere di seguire un gioco nel suo sviluppo,
ma da rendere per lo più indecifrabili i contenuti degli scambi verbali, in
pratica annota quello che di volta in volta cade nel suo campo visivo e
cattura la sua attenzione. Pertanto continuità e discontinuità emergenti
dalla descrizione non sono relative soltanto all'azione dei bambini ma al
rapporto tra questa e l'attività dell'osservatore. Un
secondo versante dell'indagine è rivolto a individuare il rapporto che lega
in ciascun soggetto il mondo della vita a quello educativo, ed alle
implicazioni effettive che tale rapporto genera all’interno di concrete
situazioni formative; è assente, quindi, l’intento di condurre una ricerca
sulla personalità dei soggetti coinvolti che esuli dal campo educativo, come
pure sono banditi i giudizi morali. Terreno di ricerca fondamentale, dunque,
è la soggettività delle testimonianze rilasciate dai soggetti coinvolti
nell'esperienza educativa, soggettività che emerge a partire dalla narrazione
di storie personali, dalla descrizione del proprio agire nella situazione
educativa, dalle aspettative e dalle valutazioni espresse. Strumento di
questa indagine, per l’attenzione attribuita alla dimensione verbale e
intersoggettiva, è l'intervista. Le
interviste sono state condotte adottando la modalità del "colloquio non
direttivo". Non bisogna dimenticare che l’intervista ha il valore di una
“relazione partecipata” in cui il comportamento di ciascun soggetto è
influenzato da quello dell’altro, per cui la produzione di significati è
inscindibile dall’interazione tra i soggetti che vi sono coinvolti [22]. Fondamentale, dunque, è che il
ricercatore si ponga in un atteggiamento di ascolto e non valutativo La lettura delle interviste non è avvenuta
attraverso l’ausilio di una griglia preordinata di categorizzazioni, ma
mediante il ricorso ad una “strategia dell’attenzione” rivolta ai dettagli e
che mira alla costruzione di una rete di pertinenze; l’attenzione posta nei
confronti dell’emergenza, della ricorrenza, della discordanza, della assenza,
di contenuti, frasi, parole, in relazione al contesto comunicativo, consente
una interpretazione volta a ricostruire le rappresentazioni latenti. All'osservazione
diretta è stata anche affiancata la visione di una videoregistrazione che
comprendeva momenti di vita della ludoteca che non rientravano nel campo
dell'osservazione diretta: attività strutturate, quali i laboratori o le
gimkane ciclistiche, momenti di socializzazione, quali le feste con i
genitori. NOTE — Nel
prosieguo della relazione le persone adulte, cui si fa riferimento nelle
osservazioni e nelle interviste, saranno citate con il loro nome, mentre ai
bambini saranno attribuiti nomi di fantasia. — Le
registrazioni delle osservazioni e delle interviste, che hanno fornito i
riscontri alle riflessioni sviluppate in questa relazione, ma che non vi
trovano spazio, sono a disposizione. I RISULTATI DELLA RICERCA Raggruppiamo le riflessioni elaborate a partire
dal materiale della ricerca, osservazioni e interviste, attorno ai quattro
punti in cui abbiamo articolato la domanda sulle modalità di realizzazione
del progetto. Una premessa essenziale riguarda il carattere
"locale" della ricerca, che si riferisce ad una settimana di
attività nel giugno del 2000. Nel caso in esame la dimensione del mutamento
delle condizioni è un dato strutturale. A fronte di alcuni elementi
(relativamente) costanti, come gli spazi e le strutture fisiche, le
attrezzature e gli oggetti, gli orari, la presenza dell'operatore
professionale, la vita della ludoteca è caratterizzata da continui mutamenti
nelle presenze degli animatori volontari (lo stesso obiettore di coscienza
cambia ogni anno) e soprattutto dei bambini, il cui numero oscilla in modo
molto marcato attorno alla media e la cui composizione propone, su scale
temporali anche abbastanza ridotte, distribuzioni diverse per età,
provenienza sociale, etnia ecc., che rimodellano ogni volta il quadro delle
dinamiche relazionali. La variazione delle condizioni è qui ben più
significativo e determinante rispetto a situazioni educative che ci sono
forse più familiari come la scuola (si pensi a quanto può influire, per fare
un esempio che può sembrare banale, il tempo atmosferico, sulle attività di
una ludoteca che dispone di un giardino attrezzato molto più vasto degli
spazi chiusi). Questa situazione può lasciare in ombra,
rispetto ad una osservazione limitata nel tempo, alcune dimensioni educative,
come la strategia dell'educatore giocata sull'adattamento continuo al
mutamento delle condizioni (cfr. "GLI SFONDI TEORICI"). Ciò limita la contestualizzazione della
ricerca; tuttavia essa, a nostro avviso, è in grado di restituire un quadro di
analisi critica significativo rispetto all'oggetto. L'AUTO-ORGANIZZAZIONE
DEI BAMBINI Il flusso
dell'improvvisazione. Osservando nella sua interezza una
normale giornata di attività in ludoteca, c'è una parola che si propone
all'attenzione come possibile chiave di lettura: flusso. "Flusso" è un termine della pratica degli
attori nella cultura del "terzo teatro" (cfr. "GLI SFONDI
TEORICI"). Si riferisce ad una dimensione di continuità fatta di azioni,
precise nella loro struttura fisica, che sono re-azioni ad altre azioni,
proprie o altrui, e a loro volta suscitano re-azioni; una continuità che
mantiene il corpo in uno stato di attenzione vigile, aperto a 360 gradi agli
stimoli. L'espressione "il corpo è deciso", usata da Eugenio Barba,
nella sua voluta ambiguità grammaticale esprime bene la condizione di un
corpo pronto, che risponde in modo adeguato, utilizzando pattern di azioni
note e interiorizzate dal training, senza che intervenga a decidere
preventivamente l'azione, sulla base di ragionamenti, una mente
"burattinaia"; un corpo che nel suo movimento manifesta
"organicità", ovvero quella condizione che si ottiene non per
apprendimento, ma "per arte di levare", per sottrazione delle
resistenze e dei blocchi; un corpo che sembra seguire una partitura tanto
evidente quanto in-prevista, che il termine "improvvisazione" rende
bene se assunto nella specificità di significato che ha nel linguaggio
teatrale, e non nel significato comune di approssimazione che rimedia in modo
un po' furbesco a una impreparazione. Anche
un pomeriggio in ludoteca dà l'impressione di una grande
"improvvisazione": i gruppi si compongono e si scompongono;
territori di gioco si costituiscono, si dilatano elasticamente, si
suddividono o si dissolvono; spazi, strutture e oggetti vengono investiti di intenzione e
abbandonati; interazioni si intrecciano e si sovrappongono; il tutto come
all'interno di un unico flusso che mai si interrompe. In questo senso l'insieme dei soggetti in
azione, o delle azioni dei soggetti, appare come un sistema dinamico, un
organismo "autopoietico" (cfr. "GLI SFONDI TEORICI"), o
un insieme di organismi in "accoppiamento strutturale", che, nella
continua trasformazione in re-azione alle reciproche
"perturbazioni", mantiene la propria identità di sistema; si può
dire anche "la propria autonomia organizzativa", purché si intenda
"organizzazione" come un fenomeno immanente alla struttura delle
relazioni sistemiche e non come una disposizione ordinata di tempi, spazi,
attività, ruoli, ... diretta da un "programma" esterno. E in questo
dinamismo l'elemento del "disordine" (cfr. "GLI SFONDI
TEORICI"), dell'imprevedibile farsi e disfarsi delle forme, della
contingenza e del continuo cambiamento, è indispensabile alla conservazione
vitale del sistema. Dal punto di vista delle relazioni certamente
il sistema ha le sue strutture, le sue gerarchie, ma non è tuttavia
individuabile all'osservazione una gerarchia,
un "ordine di beccata" come quelli resici familiare dall'etologia;
è piuttosto come se si avesse a che fare con molteplici e variabili gerarchie
strutturate di volta in volta su qualità, relazionali o prestazionali,
diverse che vengono percepite nelle persone. Si può dire forse che la
gerarchia premia "il più adatto" là dove però il contesto di
adattamento è locale e provvisorio, relativo più al territorio mutevole e imprevedibile
del gioco che ad un gruppo stabile di persone. Il
territorio del gioco. All'interno del flusso
dell'improvvisazione, uno dei concetti organizzatori che si possono utilmente
assumere per comprendere la situazione dal punto di vista delle dinamiche
auto-organizzative è quello che potremmo definire il "territorio"
del gioco Un
gioco inizia in molti modi, per messa in atto di un progetto che il bambino
si porta dietro arrivando in ludoteca, per continuazione di un gioco del
giorno precedente, per incontro casuale con un oggetto che cattura
l'attenzione, per ricerca della compagnia di persone cui si è affezionati,
per osservazione curiosa o per esplorazione dell'ambiente, per variazione da
un gioco precedente, per contrattazione, per suggerimento di un adulto...
Tutte le forme sono osservabili ma sembra che nessuna sia stabile, cioè
attribuibile in modo costante alla caratterizzazione comportamentale di
determinati soggetti o al peso di determinati elementi ambientali. Di qui la
sensazione di fluidità. Un
gioco, una volta iniziato, definisce un "territorio", nel senso che
diventa possibile percepire un "dentro" e un "fuori". Non
si tratta di uno spazio fisico stabile, perché il gioco si può trasferire in
luoghi diversi, può allargare o restringere la sua superficie d'azione; può
essere anche uno spazio fisicamente discontinuo, sovrapposto e intrecciato
con territori di altri giochi, più simile allora ad una "nicchia
ecologica", definita dalla continuità delle relazioni funzionali. È
possibile percepire la continuità di un gioco, la sua identità, la sua
struttura, la sua natura di sistema caratterizzato da una autonoma
organizzazione, al di là degli spostamenti nello spazio, delle interruzioni
nel tempo, delle modulazioni nell'azione, delle aggiunte, sottrazioni o
variazioni di oggetti, e anche delle variazioni nella composizione del gruppo
(perché qualcuno può "entrare" e qualcuno può "uscire"
senza che il gioco cessi di esistere come tale). I
confini del territorio vengono percepiti dai bambini che ne gestiscono
l'attraversamento. Ma questa gestione è fluida: non è mai possibile dire se
esistono regole e quali siano; sembra piuttosto che di volta in volta
l'ingresso di un bambino in un gioco sia regolato dalla relazione
interpersonale, anzi da una interazione qui e ora che può essere soggetta, ma
non in modo esclusivo, a regolazioni
di tipo sociale (consuetudini, contrattazioni, gerarchie...), o a schemi di
relazione interpersonale che hanno una storia alle spalle. Il
conflitto. La difesa del territorio del gioco si
aggiunge a quella del territorio vitale personale nelle dinamiche di
conflitto che possono essere osservate come manifestazioni di sistemi che si
trasformano continuamente, in risposta a perturbazioni, per mantenere la
propria integrità complessiva (cfr. "GLI SFONDI TEORICI"). La
gestione del conflitto appare diversa a seconda che vi sia o no la presenza
dell'adulto, non perché quello dell'adulto sia un intervento
"esterno", ma perché il sistema auto-organizzato che comprende i
soli bambini è diverso da quello che comprende i bambini e l'adulto. In
entrambi i casi comunque sembra essere rispettata la regola generale che il
conflitto non supera i limiti oltre i quali il sistema andrebbe incontro ad
una alterazione irreversibile della sua integrità auto-organizzativa, e
quindi ad una perdita di identità. Anche se prende forme culturali e sociali,
la regolazione sembra rispondere ad una legge "biologica" di
sopravvivenza. Il fatto, apparentemente paradossale, che in presenza dell'adulto
il tono degli scontri sembri essere più alto può essere interpretato come una
maggiore possibilità di resistenza alla disgregazione da parte del sistema
che comprende anche l'adulto. Avendo
avuto occasione di osservare alcuni bambini anche in contesti diversi dalla
ludoteca, ciò che appare evidente è la maggiore creatività nella gestione dei
conflitti, cioè una maggiore libertà rispetto a schemi di comportamento
determinati e ripetitivi, una flessibilità nel comportamento a seconda
dell'interlocutore, una modulazione delle modalità di interazione, dei
registri di comunicazione. La
"società dei bambini". Se da un punto di vista
teorico è un scelta dell'osservatore considerare il gruppo dei bambini come
un sistema che entra in relazione con altri sistemi viventi oppure
considerare come facenti parte di un unico sistema le interazioni tra i
bambini e gli adulti presenti, nella pratica dell'osservazione non è facile
individuare situazioni in cui non ci sono adulti: l'educatore responsabile
della ludoteca è sempre presente,
come vedremo, anche se momentaneamente fuori dal contatto visivo o sonoro. Tuttavia
le differenze osservabili, nella risoluzione dei conflitti, nelle
interazioni, o anche nello sviluppo del flusso del gioco, in assenza di
adulti permetterebbero di individuare una "società dei bambini"
come sistema auto-organizzato. Questo sistema sociale è individuato da una
storia e da una cultura comune e a volte, anche se raramente nel contesto
della vita quotidiana della ludoteca, è possibile osservarlo agire come
soggetto collettivo. Gli esempi più facili sono quelli delle reazioni
difensive nei confronti di "intrusioni". Abbiamo osservato reazioni
collettive di espulsione nei confronti di alcuni ragazzi più grandi entrati
con la propria bicicletta nel giardino (che formalmente è aperto al
pubblico), oppure una evidente complicità dei bambini nel mettere in
difficoltà una insegnante che proponeva una attività sportiva strutturata,
attraverso l'utilizzazione di un elemento di conoscenza che accomunava loro e
che rendeva lei estranea. Più
interessante come esempio, dal punto di vista di una "società dei
bambini" auto-organizzata, è la modalità con cui un gruppo di bambini ha
mantenuto l'integrità dinamica, la continuità del proprio gioco di fronte
agli interventi di una madre (presente perché convinta della incapacità dei
propri figli piccoli ad inserirsi nell'ambiente della ludoteca senza la sua
presenza) intesi più che altro a salvaguardare l'integrità fisica dei figli
quando soggettivamente percepita come minacciata. La difesa, giocata sul
registro dell'ignorare più che del reagire, si direbbe concentrata a
difendere il territorio dei significati
condivisi del gioco, continuando a parlare un propria lingua e non accettando
lo scambio nella lingua dell'intruso. In
generale si può osservare, come evidenza della "indipendenza" di
questa società dei bambini, la scarsa attenzione che i bambini dedicano alla
presenza di adulti (e qui ci riferiamo soprattutto alle presenze
occasionali): sembra che siano soltanto i bambini più piccoli, o da meno
tempo inseriti, o con maggiori problemi personali di relazione, a prendere
qualche iniziativa di interazione verso gli adulti diversa da quelle
strettamente funzionali al gioco. Le
presenze adulte stabili. La
presenza degli adulti accanto ai bambini ha sempre il peso della
asimmetria. Nei confronti degli adulti con una presenza costante nella
ludoteca si può parlare di "accoppiamento strutturale" (cfr.
"GLI SFONDI TEORICI") sia perché essi hanno un ruolo determinante
nel presidio del setting, nel costruire e nel curare la manutenzione dello
"sfondo istituzionale" (cfr. "GLI SFONDI TEORICI"), sia
perché vi è una interazione continua e strutturale tra loro e i singoli
bambini, tra loro e il gruppo dei bambini. Da un certo taglio di osservazione
la loro presenza e il loro comportamento sono perturbazioni cui i bambini
reagiscono nella circolarità della dinamica azione-reazione. Da un altro
taglio anche la loro presenza e il loro comportamento sono variabili interne
del sistema, costanti e pesanti nella a-simmetria. A
Massimiliano, l'educatore professionale responsabile della ludoteca,
dedicheremo un discorso apposito. L'esempio di Roberto, presente come
obiettore in servizio civile, ci sembra significativo. I
bambini utilizzano e richiedono le competenze e le capacità di Roberto che
sono funzionali alle loro iniziative. Ma in questo modo inevitabilmente ne
accettano anche la funzione adulta di controllo e di regolazione, di
facilitazione. Questa non viene richiesta esplicitamente, ma riconosciuta e
agìta come modalità di relazione. Un altro aspetto della relazione, messa in
atto in particolare dai maschi, anche attraverso forme di provocazione tanto
ingenuamente esplicite da diventare anch'esse un gioco, è l'utilizzare
Roberto per darsi la possibilità di misurare se stessi, la propria forza, la
propria destrezza. In questo senso Roberto si pone, in quanto giovane adulto,
come modello di identificazione sessualmente caratterizzato. L'APPRENDIMENTO
"NATURALE" Come
si può ricavare anche dalle interviste, nel senso comune l'apprendimento è
collocato nello spazio semantico della scuola e si può ipotizzare che la
contrapposizione gioco/apprendimento nasca da questo riferimento: è infatti
comunemente riconosciuta la funzionalità del gioco, o la sua contestualità
all'apprendimento, finché il bambino vive la sua infanzia nell'ambito
familiare. Se si interpreta "apprendimento"
come cambiamento, in una riorganizzazione continua del sé nelle sue strutture
interne e nel suo agire nell'ambiente, è più facile tentare di dare forma a
questo aspetto della vita dei bambini nella ludoteca. Nel nostro contesto di discorso i cambiamenti
sotto osservazione dovrebbero essere quelli che in qualche modo sono legati
in modo costitutivo all'esperienza nella ludoteca. Naturalmente non è
possibile "sottrarre", in una sorta di calcolo psicologico, questa
componente ambientale dall'esperienza dei bambini, né, proprio perché si
tratta di uno sviluppo "psicofisico", o per meglio dire "del
sé", una componente puramente biologica dello sviluppo. Tuttavia ci
sembra possibile mettere a fuoco, attraverso l'osservazione di situazioni
significative, una relazione specifica tra apprendimento e ambiente della
ludoteca. Qualche riscontro di cambiamenti verificatisi nel tempo e attribuiti
alla frequentazione della ludoteca si coglie anche dalle testimonianze dei
genitori, che ad esempio rilevano come i bambini si siano "staccati
dalla televisione" e siano divenuti più capaci di organizzare
autonomamente i propri giochi. Un primo elemento ambientale deriva
dall'intenzionalità progettuale che sottrae lo spazio ludico dei bambini
dall'iniziativa dell'adulto e da forme preordinate. Quando Piaget o Erikson
individuano nel gioco la sua funzione costitutiva nello sviluppo (cfr.
"GLI SFONDI TEORICI"), si riferiscono al gioco spontaneo del bambino. Le forme di organizzazione sociale e di
rappresentazione culturale fanno sì che oggi questa condizione non sia più
"naturale", ma che, paradossalmente, possa essere ottenuta solo artificialmente (e in questo è
possibile cogliere una sostanziale analogia con la pratica teatrale),
attraverso una intenzionale opera di sottrazione
da parte dell'adulto. Potremmo dire che nella ludoteca i bambini
sono liberi nella conduzione dei giochi e nella scelta dei compagni, ma
questa espressione insiste forse troppo sulla dimensione della decisionalità,
che è sicuramente presente ma che non rende interamente ragione di quel
"flusso di improvvisazione" di cui abbiamo scritto precedentemente.
In queste condizioni si può parlare di
apprendimento "naturale", con tutta la voluta ambiguità del termine
(nella misura in cui la cultura è la “natura” dell'uomo), intendendo i
cambiamenti la cui effettività non è programmata e il cui processo non è
intenzionalmente diretto da una azione positiva dell'adulto. Il non-intervento dell'adulto in una
situazione di esposizione dei bambini a quella che si presenta come una
società complessa, caratterizzata dalla presenza di diverse età, diverse
sotto-culture (anche diverse etnie), comunque diversità di rappresentazioni,
atteggiamenti, comportamenti, reazioni, ha conseguenze che possono essere
lette su piani diversi: quello dello sviluppo del sé, quello relazionale,
sociale, culturale. Una immediata conseguenza della iniziativa
dei bambini è l'aggregazione in gruppi non obbligatoriamente di coetanei.
Questo permette dinamiche di imitazione e di identificazione in modelli
forniti dai "più grandi", fondamentali nella crescita (nello stesso
tempo la fluidità dell'aggregazione in una situazione estremamente dinamica e
"aperta" evita la fissazione univoca su modelli e su relazioni
troppo esclusive). Anche l'interazione con compagni più piccoli
(o percepiti come più deboli) produce cambiamenti. Ad esempio una bambina di
sei anni e mezzo, che a casa non ha un atteggiamento protettivo nei confronti
del fratello più piccolo, coglie una sua difficoltà non esplicitata e si
attiva per mediare la sua partecipazione ad un gioco; la mediazione non viene
condotta ricorrendo ad argomentazioni di tipo etico o relazionale, ma passa
attraverso la struttura del gioco, nella materialità del riferimento agli
oggetti e alle situazioni: così l'intervento, che, osservato in
un'ottica relazionale, potrebbe essere
definito "a favore del fratello", appare, in un'ottica più interna,
come un riequilibrio della dinamica del gioco. Ci sembra importante sottolineare queste
specificità qualitative per evitare che la categoria di
"apprendimento" porti con sé una connotazione di acquisizione di
forme adulte che può costituire un filtro all'osservazione. I bambini
imparano loro forme di
rappresentazione, di pensiero, di azione, di relazione. Sempre rimanendo nel contesto della
mediazione rispetto alle differenze di età (e quindi di adeguatezza o di
prestazione) un esempio è dato da Gregorio, un bambino di quattro anni e
mezzo, che è riuscito a coinvolgere nel gioco due bambini più piccoli, che la
mamma ritiene di non poter lasciare alla ludoteca e che mantiene nel suo
raggio di intervento, e che fino a quel momento avevano giocato soli o
soltanto tra loro. Dapprima Gregorio si è inserito nel loro gioco
proponendosi attraverso gli oggetti del gioco, poi, mantenendo l'interazione
verbale e gestuale con loro, ha preso l'iniziativa allargando il gioco per
aggiunta di oggetti, spazi, variazioni, compagni. Se gli attribuissimo una
intenzionalità di mediazione proietteremmo categorie adulte: resta il fatto
che i due bambini piccoli si sono trovati ad interagire in un gruppo più
ampio con cui condividere il territorio del gioco e a difenderlo, con una
tattica di elusione, dalle interferenze della madre; ed è stata evidente
all'osservazione come al centro di tutta questa dinamica ci fosse Gregorio. Socialità. La
dimensione socio-culturale dell'apprendimento ha il suo aspetto forse più
interessante nella continua ricontrattazione dei significati cui i bambini
vanno incontro nella rete delle interazioni all'interno del territorio
condiviso del gioco (cfr. "GLI SFONDI TEORICI"). Essa riguarda
l'uso degli oggetti e degli spazi, le intenzioni, i progetti e le decisioni,
le regole, la delimitazione del territorio e la composizione del gruppo.
Sembrerebbe crescere con l'età dei bambini; ma forse non si tratta di una
maggiore socialità quanto di una maggiore utilizzo del registro verbale che
la rende più facilmente percepibile all'osservazione. Di certo è in stretta
relazione con la dimensione comunicativa. Nel caso dei bambini più piccoli
essa sembra passare attraverso la deissi, il riferimento contestuale agli
oggetti e alle azioni, e utilizza primariamente i canali non-verbali. Non
dimentichiamo che delle due funzioni che un messaggio comunque svolge, quella
relativa alla relazione (che prevale su quella relativa al contenuto quando
le relazioni non sono stabilizzate) utilizza il linguaggio analogico del canali
non-verbali [23]. Il contesto del gioco, nelle interazioni
comunicative che comporta, è sicuramente luogo privilegiato per lo sviluppo
di una competenza linguistica contestualizzata socialmente (cfr. "GLI
SFONDI TEORICI") e, circolarmente, quando l'uso della lingua si afferma
come registro privilegiato della comunicazione, si verifica un incremento dei
processi intellettivi considerati nella loro non separabilità dal contesto
sociale e culturale. Questo salto di livello è probabilmente legato alla meta-comunicazione.
Il suo prendere forma come dimensione di comunicazione sul gioco rispetto alla dimensione interna del gioco (ma la distinzione tra un "dentro" e un
"fuori" sembra essere poco utile, se si assumono le indicazioni di
Winnicott sullo "spazio transizionale") si manifesta con la
padronanza dei contesti. I bambini appaiono capaci di distinguere i contesti
comunicativi assumendo registri comunicativi diversi e adeguati; e ciò appare
ancora più notevole se si considera la fluidità e la rapidità con cui essi
scivolano o saltano da un contesto all'altro senza che si rendano evidenti
dei segnali che esplicitino i passaggi. Ad esempio abbiamo osservato come
l'uso di un registro vocale alterato e di una gestualità enfatica (tecniche
"extraquotidiane" si direbbe nel linguaggio di Eugenio Barba)
abbiano accompagnato il passaggio da una interazione di gioco motorio
"privato" ad una dimensione di "recita" con la sua
caratterizzazione di "pubblicità". Anche Massimiliano, l'educatore professionale
responsabile della ludoteca, riferendosi ai suoi figli, afferma che il
differenziarsi, tra l'ambiente domestico e la ludoteca, di alcune modalità
della relazione che ha con loro, è servito loro per acquisire consapevolezza
della diversità dei contesti della vita sociale. Un’altra
acquisizione che ha a che fare con la comunicazione verbale sul gioco,
attorno al gioco, ad esempio per contrattarne le regole e definirne il
territorio, è quella della capacità di argomentare. Clotilde Pontecorvo
sostiene che già dopo i tre anni i bambini si rendono conto che il
"disaccordo" è un contesto socio-comunicativo "normale"
in cui vige la norma del dare ragioni e giustificazioni: una giustificazione
è una strategia efficace per affrontare e risolvere un conflitto con un
compromesso o un accordo. Questo tipo di interazione, attraverso una dinamica
di interiorizzazione, secondo le teorie di Vygotskji (cfr. "GLI SFONDI
TEORICI"), costituirebbe dunque l'origine della capacità di ragionare.
Questo discorso fonda anche la funzione "evolutiva" del conflitto e
rende forse ragione dell'impressione dell'osservatore rispetto alla
"naturalità" con cui i conflitti, in assenza di elementi che
possono essere considerati patologici, si accendono, si sviluppano e si
risolvono nella "società dei bambini" in assenza dell'adulto.
Abbiamo visto un bambino di quattro anni precipitarsi con aria adirata, la
voce tra l'urlo e il pianto, a bloccare chi era salito sulla sua bicicletta
lasciata incustodita e poi trovarsi impegnato in un'interazione verbale con
l'altro bambino di sei anni; l'espressione del suo volto è passata dall'ira
alla serietà, le sue mani si sono staccate dal manubrio; quando l'altro
bambino è partito pedalando sulla bicicletta si è messo a seguirlo a qualche
passo con l'espressione del volto intenta ma senza segni d'ira, il corpo
vivo, ma non contratto, nella corsa, mantenendo rigorosamente una distanza di
qualche passo: l'impressione complessiva era a questo punto quella di
assistere al gioco "segui la bici". Competenze
e abilità specifiche. Ma è possibile anche osservare
dinamiche di apprendimento di abilità e competenze più specifiche il cui
sviluppo probabilmente può essere attribuito all'utilizzo della "zona di
sviluppo prossimo" di cui parla Vygotskji (cfr. "GLI SFONDI TEORICI")
dove il ruolo di sostegno, non intenzionale ma forse proprio per questo più
efficace, nella misura in cui è recepito solo quando ce n'è bisogno, è svolto
dai bambini più "sviluppati" nell'interazione diretta. Massimiliano
cita ad esempio una bambina piuttosto inibita che ha imparato a
"mostrarsi" facendo gruppo con altre bambine nella costruzione di
"spettacoli". Abbiamo osservato una tipica situazione di
"apprendimento naturale" di una competenza scolastica, come quella
del contare, da parte di un bambino di quattro anni impegnato in un gioco di
ricerca-raccolta di oggetti cooperativo-competitiva. Sul versante della "intelligenza
spaziale" Ancora Massimiliano, nella sua intervista, cita un bambino
che, giocando a pallone, ha imparato a "calciare il pallone là dove si aprirà
un varco", cioè ad anticipare la dinamica dell'azione attraverso un
controllo dello spazio. Un esempio di sviluppo di competenze
organizzative è quello del gruppo delle bambine che organizza un piccolo
spettacolo, preoccupandosi della "promozione", della disposizione
funzionale degli spazi e degli oggetti. La stessa costruzione di una
coreografia dimostra una capacità di coordinazione dei movimenti nello spazio
e nel tempo, nella relazione con la musica e con gli oggetti, oltre ad una
disposizione progettuale, che si è sviluppata, a partire probabilmente
dall'imitazione e trasposizione di situazioni dirette da adulti, attraverso
una sperimentazione autonoma. La funzione del gioco come
riproduzione-anticipazione cui Erikson attribuisce un ruolo fondamentale
nell'inserimento culturale e sociale (cfr. "GLI SFONDI TEORICI")
può essere esemplificato da un bambino che a casa propria può osservare i
muratori impegnati nella costruzione di un edificio e che riesce ad
organizzare attorno a sé una squadra composta anche di bambini più grandi per
"intonacare" con fango una parete di assi di legno applicate ad una
struttura preesistente nel giardino della ludoteca. Sicuramente ciò che si vede in atto nel
"flusso dell'improvvisazione" è la sperimentazione continua di un
proprio adattamento sociale, inteso come collocazione nella rete delle
relazioni, che ha le sue strutture, le sue articolazioni di ruoli reciproci,
le sue gerarchie, per altro in incessante fluida trasformazione. LA
FORMA DELLA RELAZIONE EDUCATIVA Abbiamo
parlato di "accoppiamento strutturale" tra la "società dei
bambini" e le presenze adulte stabili e anche della possibilità di
considerare un unico sistema vivente che comprenda anche questi adulti.
Questo discorso a fortiori vale per
Massimiliano, l'educatore professionale responsabile della ludoteca, la cui
presenza e il cui comportamento, oltre che costanti e "pesanti",
appaiono orientati e coerenti. Per ricostruire una caratterizzazione di
questa presenza l'osservazione è stata condotta una sorta di shadowing [24] su
di lui, seguendolo passo passo nella continuità della sua azione. L'accoglienza. Una
prima evidenza del rapporto personale con i bambini si può osservare nel rito
dell'accoglienza che vede Massimiliano muoversi verso l'ingresso ogni volta
che arriva un bambino e salutarlo pronunciando il suo nome. Spesso i bambini
rispondono al saluto sorridendo, bambini che per lo più ignorano la presenza
di altri adulti e raramente interagiscono con loro. I bambini più piccoli, o
più a disagio, non ancora inseriti, o comunque quando ricercano sicurezza in
modo evidente, si riferiscono a lui. Del resto è lui a volte a prendere
l'iniziativa nei loro confronti accompagnandoli e restando vicino a loro
finché non li vede inseriti in un territorio di gioco. La sua risposta alle
esplicite o implicite richieste di attenzione è una risposta di rinforzo, a
volte attraverso una esplicita valorizzazione di ciò che i bambini fanno, più
spesso attraverso un riconoscimento di esistenza e di identità. Questo
atteggiamento di ascolto e di accoglienza viene agito con la vicinanza e la
postura del corpo, il movimento, l'espressione del viso, il sorriso. Non
viene utilizzato un linguaggio "infantilizzato" o che enfatizzi
registri emotivi o sentimentali: il tono di voce è sostanzialmente lo stesso
che viene usato nell'interazione con adulti. Si potrebbe dire che non vi è
uscita da una caratterizzazione di tipo adulto e maschile. Essere
adulto. Ma è lo stesso Massimiliano a rivelare che il rito
dell'accoglienza ha anche una
funzione di controllo: pronunciare ad alta voce i nomi dei bambini che
arrivano gli serve per ricordare meglio, e quindi per essere sempre
consapevole di chi è presente e chi no. Questo non significa che non venga
messa in atto una funzione di accoglienza ma che la sua identificazione per
separazione è una operazione semplificatoria da parte dell'osservatore.
L'operazione di controllo fa apparire un altro aspetto che si manifesta nella
relazione tra i bambini e Massimiliano, il quale non si sottrae quando si
rivolgono a lui come autorità responsabile della ludoteca, capace di far
rispettare le regole o di dirimere i conflitti: egli esercita in modo
evidente una funzione di regolazione, ponendosi in questo anche un problema
di coerenza e di rigore. Ma le sue strategie di controllo del territorio,
basate sul movimento e sulla vigilanza, manifestano anche una presa in carico
della situazione in termini di prevenzione; se ciò probabilmente risponde
anche ad una sua esigenza di sicurezza, non può non apparire l'aspetto di
cura e responsabilità. Accoglienza e autorità
appaiono allora piuttosto come due polarità di una stessa dimensione adulta assunta nella sua interezza e
complessità: la possibilità di essere accogliente, ovvero di dare sicurezza,
è in relazione alla autorevolezza e alla non rinuncia alla propria
personalità maschile: su questo appare poggiarsi la manifesta fiducia da
parte dei bambini. L'assunzione
di un ruolo adulto prende forma in una distinzione rispetto al ruolo di
genitore, sia nel senso che Massimiliano con i propri figli, presenti in
ludoteca, marca una diversità di comportamenti che i figli sembrano accettare
nella consapevolezza della differenza del contesto (non li abbiamo mai
sentiti rivendicare qualcosa che a casa ricevono), sia nel rapporto con i
genitori dei bambini. Il "gioco" che appare stabilizzato nel
sistema che comprende anche i genitori è quello che riconosce a Massimilano il
ruolo adulto di riferimento nel
territorio della ludoteca: lì è a lui che si riferiscono i bambini anche
in presenza dei genitori e lui risponde. Questa delimitazione di territorio è
marcata dall'esplicita ritualizzazione della "consegna" e
"riconsegna" che avviene all'ingresso e all'uscita, ma può essere
riscontrata anche nel fatto che, in caso di conflitto tra genitori e bambini,
Massimiliano non prende le parti del genitore ma nemmeno quelle dei bambini. L'educatore.
Questo ruolo si caratterizza in senso educativo attraverso alcune tipologie
di intervento che abbiamo potuto mettere a fuoco attraverso l'osservazione
ripetuta. Alcuni aspetti li abbiamo già citati, come quello del rinforzo e
della valorizzazione dell'attività dei bambini, che però si manifesta prevalentemente
di fronte ad una richiesta non esplicita (si potrebbe definire una attesa
intenta da parte dei bambini). Una seconda tipologia è quella della
responsabilizzazione: quando è chiamato in causa come autorità, ad esempio
per la denuncia di un danno, Massimiliano indaga e poi, più che
colpevolizzare, sottolinea il giudizio negativo sul danno e la richiesta di
assunzione di responsabilità da parte dei bambini. Del resto la stessa
denuncia del danno può essere letta anche come un modo di preoccuparsi da parte
dei bambini di ciò che è patrimonio comune. La
funzione di inserimento e sostegno nei confronti di bambini in difficoltà non
avviene facendo in modo che sia evitata la difficoltà: si può dire che
Massimiliano tende a valutare preventivamente quali difficoltà siano
sostenibili, e soprattutto ad accettare e valorizzare prestazioni diverse
rispetto alla prova, disinnescandone una caratterizzazione del tipo
"promosso o bocciato". Nelle
funzioni più esplicitamente regolative tende ad assumere esplicitamente su di
sé la responsabilità di essere fonte del giudizio e della sanzione, così come
non si fa problema di trattare diversamente bambini diversi, e ciò rende
manifesto un modo di assumere il ruolo che passa dalla relazione personale.
Nella regolazione dei conflitti la funzione che svolge è quella di facilitare
e suggerire il decentramento del punto di vista da parte di ciascuno dei
contendenti. L'effettività
delle azioni è accompagnata da una tonalità relazionale che potremmo definire
"leggerezza", che si manifesta nello sdrammatizzare, nella non
rigidità nel far rispettare le regole, ma anche nel sorriso, o nel riso che
spesso commenta le situazioni. Coerenza
col progetto. Qualunque relazione educativa è collocata in
un contesto ed il rapporto con esso è un elemento pertinente dal punto di
vista pedagogico. È questo il senso dell'interrogarsi sul rapporto con il
progetto educativo della ludoteca, soprattutto nella sua caratterizzazione di
promozione dell'autonomia dei bambini. In
questo senso la relazione tra l'azione dell'educatore e il gioco dei bambini
è complesso: manifesta in modo inestricabile la copresenza di due
intenzionalità, due modalità di intervento. Per caratterizzare la prima
utilizzando un linguaggio più vicino a quanto osservato, piuttosto che di
rispetto della libertà dei bambini ci sembra più adeguato parlare di
riconoscimento del "territorio del gioco", di non interferenza nel
"flusso dell'improvvisazione". Anche gli interventi di inserimento,
di accompagnamento si arrestano quando l'attenzione del bambino, rassicurato,
si sposta dalla ricerca di relazione privilegiata con l'adulto al gioco e/o
agli altri bambini. La
seconda intenzionalità potrebbe essere definita come un condizionamento
esterno, intendendo con questo la costruzione di condizioni che rendano possibile l'auto-organizzazione del gioco
dei bambini (cfr. "GLI SFONDI TEORICI"). Sono condizioni le regole,
in gran parte implicite, che vengono esplicitate dall'educatore solo quando
il flusso di interrompe, altrimenti affidate ad una ritualizzazione non
enfatizzata, i limiti che egli pone a garanzia della sicurezza e
dell'incolumità, gli spazi, le strutture e gli oggetti, la cui manutenzione
offre ai bambini ambienti, possibilità e strumenti, ma soprattutto il clima complessivo, che è meno
definibile ma non per questo meno concreto, percepibile e intenzionabile.
Tutto questo costituisce il setting di
cui l'educatore si fa garante e attivo costruttore. Il
termine "esterna" che abbiamo usato per connotare l'azione
dell'educatore non va riferito al sistema vivente che nella ludoteca
comprende lui insieme ai bambini, ma al territorio del gioco dei bambini così
come l'abbiamo inteso (questo restarne fuori comunque non esclude, anzi più
probabilmente implica, comprenderne le dinamiche, le regole, i linguaggi,
come dimostra l'uso di alcuni termini tipici della "società dei
bambini" negli interventi di regolazione). Forse l'unica eccezione
riguarda il gioco del pallone, che è l'unico cui Massimiliano partecipa e che
anzi a volte propone di sua iniziativa. In questo caso egli utilizza
l'autenticità di una propria passione personale come tramite credibile per
riattivare e reinserire bambini che coglie in momenti si solitudine o di
inattività legata al disagio. La
pratica teatrale. Come
si pone Massimiliano di fronte al "flusso di improvvisazione" dei
bambini? Di fronte alla imprevedibilità e alla complessità insita
nell'improvvisazione la sua appare come una "strategia" nel senso
che Morin, in contrapposizione a "programma", dà a questo termine,
come atteggiamento essenzialmente reattivo ed elastico (cfr. "GLI SFONDI
TEORICI"). Ma questa strategia appare modulare risposte contingenti a
partire da una base di "tecniche" messe in atto con continuità. Nel
curriculum di Massimiliano, oltre ad una vasta esperienza di campi-scuola, è
segnalata la partecipazione a corsi e seminari di pratica teatrale riferibili
alle ricerche di Grotowski e Barba (cfr. "GLI SFONDI TEORICI"). È
da lì che vengono, come Massimiliano stesso riconosce nella sua intervista,
le "tecniche" che si riferiscono ad una disciplina del corpo e
della sua relazione con lo spazio attraverso il movimento. Da una parte lo
"sguardo aperto", il "corpo pronto", la continuità nella
dispersione della propria energia, la distribuzione omogenea dell'azione
nello spazio, sostengono l'attenzione, la recettività e la reattività
necessarie ad una "presenza" continua. Dall'altra la capacità di
riconoscere nei bambini le stesse qualità, che sono quelle che consentono
loro di rimanere dentro il "flusso dell'improvvisazione", è
indispensabile per mantenere il "clima" di cui si è parlato che è
essenzialmente una dimensione energetica. Per questo Massimiliano è così
sensibile alle soglie di energia, in alto come in basso: la percezione di un
rumore troppo forte o di una troppo profonda immobilità fanno scattare, non
sulla base di un ragionamento ma di una "presenza" corporea, il suo
intervento. Nella gestione dei conflitti, ma anche nella dinamica
"normale" dell’attività ludica il suo atteggiamento corporeo, il
tono di voce, mirano a contenere le escalations
tenendo basso il livello energetico. Quella "leggerezza" che in
termini più psicologici si manifesta come uno "sdrammatizzare", in
termini corporeo-teatrali è anche e soprattutto una qualità dell'energia. Si
può dire in conclusione che quelle svolte da Massimiliano come educatore
all'interno del progetto della ludoteca sono funzioni affettive e relazionali
agìte attraverso un utilizzo della corporeità, a partire dalla sua dimensione
percettivo-motoria. Un
sistema aperto.
Sulla scena della ludoteca, come luogo aperto, compaiono anche altri
attori e comparse. Il loro essere adulti, o meglio, il loro essere percepiti
come adulti, dà un significato educativo alla loro relazione con i bambini.
Le forme che assume questa relazione educativa tuttavia possono essere
alquanto diverse da quelle con Massimiliano e con Roberto, le persone
stabilmente presenti. Ciò può essere a sua volta considerato come una rottura
dell'equilibrio oppure come un allargamento del sistema nell'ambito delle sue
relazioni con un "ambiente esterno", o come una perturbazione cui
il sistema può reagire mantenendo (o perdendo) la sua identità e la sua
autonomia organizzativa (cfr. "GLI SFONDI TEORICI"). Non
abbiamo avuto occasione di osservare gli operatori volontari adolescenti
(abbiamo avuto riscontri della loro relazione con i bambini soltanto nelle
testimonianze dirette o indirette); dall'osservazione ricaviamo un esempio di
interazione con due persone adulte, una collaboratrice volontaria e una
persona anziana presente occasionalmente. Il comportamento "sopra le
righe" di un bambino (che si porta dietro dalla sua storia gravi
problemi) viene letto all'interno di un modello di rappresentazione e di
giudizio che suscita interventi repressivi. Quello che appare come una
"provocazione", nel senso una richiesta di risposta, di
riconoscimento, non trova la reazione che il bambino poteva attendersi da
Massimiliano o da Roberto, e il bambino non riesce a rimodellare il suo
comportamento se non adeguandosi ad un modello repressivo che forse conosce
bene. Quello
che abbiamo definito l' "accoppiamento strutturale" di Massimiliano
alla "società dei bambini" può essere letto anche sotto l'aspetto
delle dinamiche psicologiche. Si può dire allora che i bambini "contano
su" la funzione di contenimento energetico, di regolazione di
Massimiliano. È come se affidassero a lui un controllo delle soglie del
proprio comportamento. Questo "fa parte del gioco" e per questo
forse i bambini se l'aspettano anche dagli altri adulti. Quando questi
reagiscono in modo completamente diverso tutta l'interazione evolve
diversamente, verso un modello repressivo gestito dall'adulto, come
nell'esempio citato, oppure anche verso un'assunzione di responsabilità da
parte dei bambini come sembrano testimoniare le autoregolazioni di conflitto
in assenza di adulti di cui s'è parlato altrove. IL
CONTESTO Il
contesto sociale. Non è questa la sede per una ricostruzione
sociologica o antropologica dell'ambiente in cui è situata la ludoteca di
Amelia; ci limitiamo a qualche cenno. Intanto vale la pena forse di ricordare che
la ludoteca "L'Aquilone" è un'iniziativa di una associazione di
associazioni che rappresentano varie opzioni e tradizioni culturali, sociali
e politiche e che è stata assunta dall'Amministrazione Comunale, anche se
questa "interculturalità" sembra dover fare i conti con qualche
pregiudizio. Il rapporto con la scuola ci sembra un
elemento significativo dal punto di vista di un "sistema formativo
integrato" (cfr. "GLI SFONDI TEORICI") in cui le varie agenzie
interagiscano, attraverso rapporti e modalità formali e informali, attorno
all'impegno che la società civile nel suo complesso si assume nei confronti
dell'educazione delle nuove generazioni. Da parte dell'ambiente scolastico
possiamo soltanto acquisire una percezione della ludoteca, ovvero del
contesto ludico, come un luogo dove vi può essere un positivo inserimento di
ragazzi con caratterizzazioni comportamentali e cognitive che per la scuola
costituiscono problemi. Questo sembrano testimoniare i consigli, provenienti
dall'ambito scolastico, ai genitori di portarvi i figli. Alcuni
"incidenti diplomatici" sembrano rimandare invece di una certa
competizione sul territorio educativo cui Massimiliano, come educatore
responsabile della ludoteca, dichiara, nella sua intervista, di volersi
sottrarre in ragione di una diversità istitutiva. Assumendo l'immagine proposta dal progetto,
il cortile o la piazzetta erano il luogo della autonoma organizzazione del
gioco dei bambini per due ragioni essenziali: la disponibilità di spazio
agibile e la sicurezza, quella che garantiva ai genitori che qualche adulto
di propria conoscenza e fiducia, pur intento alle proprie occupazioni,
potesse tenere nel campo del proprio sguardo e della propria attenzione i
bambini e che, in caso di necessità (di pericolo), sarebbe intervenuto. Ciò
che sembra mancare in una situazione come quella di Amelia non è la
disponibilità di spazi accessibili o adeguati al gioco, ma la garanzia di
sicurezza. Su questa gioca probabilmente la trasformazione della
organizzazione della vita che sottrae la presenza degli adulti, ma anche, in
modo particolarmente sensibile in questa zona a seguito di episodi di
cronaca, il diffondersi dell'allarme nei confronti di manifestazioni
criminali e patologiche quali la pedofilia. I dati delle presenze sono un altro documento
che può essere significativo del rapporto con il territorio sociale. Sono
un'ottantina gli iscritti su un bacino di utenza potenziale di circa 500
bambini nella fascia di età. Sembra significativo l'incremento della
frequenza (all'incirca raddoppiata fino a una media di 22 con punte di oltre
30) da quando la ludoteca ha assunto una veste istituzionale e può contare
sulla presenza di un educatore professionale. Le
rappresentazioni personali. Ma i dati numerici sono significativi in quanto segni, se non
misure, di atteggiamenti che riportano all'elemento di contesto forse più
significativo per la ludoteca, che è quello costituito dalle rappresentazioni
che ne hanno le persone a vario titolo coinvolte. È in base ad esse che le
persone si rapportano alla situazione e interagiscono con il sistema ludoteca
(lo abbiamo visto nel caso anche di incontri occasionali, a maggior ragione
vale per le presenze più assidue). Quanto più tali rappresentazioni sono latenti, nel senso che a questo
termine dà la "Clinica della formazione" (cfr. "LA METODOLOGIA
DELLA RICERCA"), tanto più sono determinanti, proprio in quanto sfuggono
ad una consapevolezza e di conseguenza ad una regolazione, ad esplicite
mediazioni collettive. L'interpretazione delle interviste ci
permette alcune caratterizzazioni significative non solo perché si
incorporano in presenze che stanno in rapporto concreto con i bambini, ma
anche perché si possono assumere come rappresentative delle culture che
interagiscono nel sistema allargato della ludoteca. Una
di queste sotto-culture è quella giovanile, presente tra i volontari che
collaborano saltuariamente, fortemente segnata dalla dimensione psicologica
dell'adolescenza. Qui è evidente la proiezione sui bambini di un proprio
desiderio di libertà, desiderio di non essere sottoposti a regole per
"poter essere se stessi". Questo desiderio di
"confondersi" con i bambini è difficilmente conciliabile con un
ruolo adulto di regolazione; di qui la difficoltà a rapportarsi con la
"selvatichezza" dei bambini che è la diretta conseguenza della
libertà. Sul piano della rappresentazione la contraddizione sembra risolversi
in un modo tipico dell'età, assumendo un modello di relazione (che è alla
base dell'impegno volontario) in cui ai bisogni dell'altro risponde un ruolo
di servizio fortemente caricato in senso affettivo ed ideale. Sul piano
operativo, la scelta di mettersi in rapporto con i bambini inserendosi nei
loro giochi, porta con sé l'incapacità di reggere fino in fondo i conflitti
dentro un ruolo adulto. Sempre sul versante dell'impegno volontario,
ma ad un livello di età più avanzata, troviamo rappresentazioni ancora
fortemente segnate da un investimento su un piano ideale e che manifestano
difficoltà a mettersi in rapporto con la realtà; ad esempio un modello di
ludoteca come impresa essenzialmente fondata sul volontariato, immagine che
sembra non riconoscere la nuova realtà, in cui alla presenza di un educatore
professionale ha corrisposto un notevole decremento della presenza dei
volontari; o ancora una immagine fortemente investita sulle iniziative
dell'adulto (laboratori) che lascia in secondo piano la caratterizzazione del
progetto sulla auto-organizazione dei bambini. In relazione a questo appare
significativa una immagine della ludoteca come un luogo in cui i genitori
socializzano. Non è forse azzardato vedere in tutto ciò anche un riflesso di
una crisi di portata generale della genitorialità: genitori (padri?) che su
un piano ideale prendono le distanze da vecchi modelli autoritari di
relazione in nome di una maggiore vicinanza ai figli (e infatti c'è una
colpevolizzazione del disinteresse verso i figli), probabilmente anche sulla
base di un desiderio di affettività; ne nasce un modello di relazione che
valorizza (o forse mitizza) la figura del genitore che "gioca con il
bambino", ma sul piano della materialità della relazione c'è poi la
difficoltà a rapportarsi con quella "aggressività",
quella "agitazione", che è sicuramente legata alla rinuncia ad un
ruolo adulto regolativo (la si giustifica ma non si sa come comportarsi).
Sembra di avere a che fare con una genitorialità resa insicura dal fallimento
dell'offerta di libertà in cambio di affettività, non ancora culturalmente
pronta ad accettare la diversità e l'indipendenza affettiva come risultati
della rinuncia ad un modello autoritario. La colpevolizzazione di chi "non sta con
i propri figli" (il "parcheggiare davanti alla TV") appare
come elemento presente anche nelle testimonianze di genitori che
rappresentano l'utenza della ludoteca. Si rileva una certa difficoltà a
riconoscere valore ad una relazione sociale basata su un contratto di
servizio, in cui il genitore trova risposta ad un bisogno in una struttura
pubblica; l'elemento che sembra avere una funzione tranquillizzante,
compensare e mettere a tacere il senso di colpa, è il manifesto benessere del
bambino. Poiché non sembra che nei confronti della
scuola vi sia lo stesso atteggiamento, si può ipotizzare che sia l'immagine
del volontariato, rimasta nell'immaginario sociale attorno alla ludoteca, a
contribuire a far percepire chi sta con i bambini in ludoteca come un
"sostituto" del genitore, anziché come un educatore professionista.
Questo renderebbe ragione di una insistenza, anche qui significativa se
confrontata con la situazione scolastica, sul tipo di garanzia affettiva che
il genitore sembra richiedere all'operatore. Ma sicuramente, mantenendo il
confronto con la scuola, vi è anche la difficoltà per i genitori a
riconoscere la caratterizzazione educativa della ludoteca in termini di
apprendimenti, là dove sembra più facile riconoscere il valore della
socializzazione (in cui giocano anche dinamiche di proiezione di una propria
paura della solitudine), oppure dell'uso della manualità, della corporeità,
degli spazi esterni, o ancora il valore educativo della funzione regolativa
dell'operatore, probabilmente perché più vicino ai propri modelli culturali, La difficoltà (e questo non vale solo per i
genitori) non sembra tanto quella di riconoscere dei cambiamenti in certe
qualità personali bambini, come ad esempio una maggiore attenzione alle cose
comuni o un maggior controllo della propria energia, ma nel considerarli
"apprendimenti", quindi oggetti di intenzionalità educativa capaci
di orientare a sé un setting. Può
essere interpretata in questo senso la richiesta per i bambini più grandi di
qualcosa di più strutturato che renda più visibile una produttività. Ciò non significa che non vi sia da parte dei
genitori anche una adesione al progetto centrato sulla promozione della
autonomia dei bambini. In questo senso, più che le esplicite dichiarazioni,
sono significative alcune caratterizzazioni di cambiamenti colti nei propri
figli nella direzione di una maggiore autonomia nella organizzazione del
gioco anche nell'ambito domestico, o atteggiamenti quali l'accettare che nel
gioco di bambini di diversa età vi sia una certa dose "naturale" di
conflitto e di frustrazione o che tornino a casa sporchi, nella misura in cui
tali atteggiamenti dimostrano l'accettazione del punto di vista dei bambini:
In questo senso questa adesione profonda sembra passare attraverso una
identificazione, la memoria del sé infantile, o l'accettazione della parte
bambina di sé. Questa identificazione con una parte
infantile è un elemento ambivalente: sembra essere da una parte il ponte per
accedere ad una comprensione profonda della dimensione del gioco infantile,
dall'altra l'ostacolo per l'assunzione di un ruolo adulto capace di creare le
condizioni per l'autonomia dei bambini. Quest'ultima può manifestarsi
attraverso una rappresentazione svalorizzante, e quindi deresponsabilizzante,
del proprio ruolo. La difficoltà concreta per chi ha un ruolo
educativo è sempre quella di far stare insieme una "vicinanza" ai
bambini e al loro gioco e la "distanza" necessaria per svolgere un
ruolo regolativo che richiede anche opposizione. Anche assumendo come
riferimento il proprio benessere non è comunque facile far convivere la
necessità di non essere oggetto dell'aggressività dei bambini con il disagio
nell'assumere atteggiamenti repressivi. Anche a livello affettivo la
contraddizione può essere tra il disagio di un ruolo che ha aspetti
"femminili" soprattutto nel rapporto corporeo con i bambini più
piccoli, e il piacere di una affettività che pure si gioca sul piano
corporeo. Certamente giocano molto le disposizioni
personali: una storia di piacevole adattamento alle dimensioni più tranquille
e solitarie del gioco infantile può rendere più difficile rapportarsi a quelle
più energetiche e conflittuali; come del resto una capacità di adattamento
può anche rendere più agevole accettare il contesto, anche attraverso
l'assunzione di punti di riferimento in altre persone che danno sicurezza. Autorappresentazione
di un educatore. Se
le rappresentazioni personali sono elementi di contesto, a maggior ragione lo
sono quelle della persona la cui presenza ha peso determinante nella
materialità della vita della ludoteca. È importante verificare in che
relazione stanno con il progetto anche perché si tratta dell'unica persona
che con il progetto ha un legame professionale. Si può partire proprio dal rifiuto che
Massimiliano manifesta rispetto ad un coinvolgimento diverso da quello
professionale. Un'etica professionale è probabilmente ciò che all'inizio lo
aiuta a lavorare con una modalità che non gli è abituale in una dinamica di
"accomodamento". L'indicatore che Massimiliano sembra assumere
per il proprio lavoro è il benessere dei bambini. Ma questo elemento non è
contenuto in una rappresentazione affettiva in cui lo stare bene del bambino
sia il prodotto dell'affettività dell'adulto e nemmeno della sua azione
diretta. Nell'immagine della ludoteca che lui tiene a presentare l'adulto non
compare. A ciò corrisponde un modello di intervento "per arte di
levare" ("intervengo solo
quando c'è bisogno"); intervento che ritiene concluso quando il
flusso del gioco può continuare senza la sua presenza. L'educatore in questo
modello è dunque un tramite; si potrebbe dire un facilitatore, ma in quanto
facilita l'ingresso dei bambini nel flusso del gioco e nella dimensione
collettiva. Massimiliano non si rappresenta come un
compagno di giochi ("io non
c'entro con i loro giochi"): la sua collocazione è
"esterna". Questo ha a che fare con la scelta di un ruolo adulto,
della asimmetria che esso comporta, della funzione di garanzia delle regole,
della necessità di doversi assumere fino in fondo i conflitti, consapevole
del danno che può fare ad un bambino perdere il punto di riferimento,
l'ancoraggio di sicurezza dell'adulto, quando questo si sottrae al conflitto. Questa assunzione di responsabilità sembra
tenersi lontana dall'altro estremo, quello dell'onnipotenza: per Massimiliano
esistono situazioni in cui è necessario accettare il limite della propria
impotenza e la responsabilità diventa quella di cercare soluzioni esterne. Significativamente Massimiliano sottolinea
l'importanza nella propria formazione non del giocare con i bambini, ma
dell'osservarli, dell'ascoltare passivamente. Ma questo ha anche un altro
significato: è l'ascolto, il rimanere in contatto con l'altro, la chiave di
una strategia di intervento efficace, in cui sono le mosse dell'altro a
suggerire le proprie: Del resto la "strategia", nel senso che le dà
Morin, è proprio una conduzione dell'interazione basta sulla capacità di
re-azione (cfr. "GLI SFONDI TEORICI"). La capacità di reazione è innanzitutto una
qualità del corpo. Ecco perché Massimiliano dà molta importanza alla
"forma" fisica, all'essere riposato. Il corpo deve essere "pronto"
per servire alle "strategie di prevenzione", perché il controllo
del territorio è legato alla consapevolezza e continuità del movimento negli
spazi, l'attenzione alla acutezza percettiva. Il "corpo pronto",
oltre che una condizione di lavoro, sembra costituire anche un riferimento
estetico ed etico allo steso tempo. La capacità di "creare un clima"
cui Massimiliano attribuisce una importanza centrale nel proprio lavoro è
innanzitutto la capacità di sentire
il clima, di percepire i livelli energetici ("quando sale l'eccitazione") di saper leggere i corpi
dei bambini, perché il pericolo nasce nello scarto tra la prontezza del corpo
e la situazione in cui è inserito. La capacità di percepire il
"flusso" nel gioco dei bambini diventa allora il criterio di riferimento.
Massimiliano finge di non vedere o di non sentire quei comportamenti dei
bambini che costituiscono infrazioni di regole, ma che secondo lui possono
"rientrare nel flusso". Il contenuto delle parole o delle azioni
non è quindi determinante quanto la loro percezione come
"perturbazioni" (per assumere il modello dell'
"autopoiesi", cfr. "GLI SFONDI TEORICI"), che il sistema
può (oppure, all'opposto, non è in grado di) assorbire, riorganizzandosi
nelle proprie relazioni senza perdere la propria integrità. L'utilizzo di criteri di valutazione autonomi
si mostra anche rispetto agli apprendimenti dei bambini, che non risentono di
pregiudizi scolastici. Per Massimiliano ciò che i bambini imparano in una
situazione di auto-organizzazione è lo "stare al mondo", il
rapportarsi cioè ad una realtà non sterilizzata e semplificata
artificialmente come quella che a scuola o in molte situazioni educative
prevede, ad esempio, una coetaneità. Dall'esposizione ad una interazione
"naturale" i bambini imparano a fare i conti anche con le gerarchie
e i conflitti della condizione sociale. In questo il riferimento forte per
Massimiliano è il cortile della sua infanzia che non può non avere relazione
con quello che è stato scelto come immagine metaforica per il progetto della
ludoteca di Amelia. Interessante è anche rilevare l'immagine che
Massimiliano ha della propria professionalità in relazione alla formazione.
Dalle sue parole non si ricava la traccia di un percorso finalizzato o
intenzionale, ma anzi una certa enfatizzazione dell' "istinto". Riconosce
tuttavia l'importanza che per la sua professionalità ha avuto la pratica
teatrale per quanto riguarda la dimensione corporea, il flusso, qualità come
l'attenzione o la "presenza"; del resto il corpo di cui parla è
curato ed educato. Questo tipo di preparazione personale non
trova applicazione per trasferimento ma attraverso un processo di
ricontestualizzazione. Se la consapevolezza dell'importanza del creare le
condizioni in un lavoro educativo viene dalle esperienze fatte, è pur vero
che fino all'arrivo in ludoteca i contesti di lavoro erano state situazioni
molto più strutturate. Ne deriva comunque una immagine di
formazione, anzi di auto-formazione la cui forma è riconoscibile solo a
posteriori e in cui entrano esperienze di apertura culturale, come l'aver
potuto vedere i bambini dei kibbuz
israeliani o delle favelas
brasiliane. In conclusione possiamo rilevare come questa
rappresentazione di sé nel ruolo di educatore all'interno del progetto della
ludoteca appare in buona misura non contradditoria con (se non sovrapponibile
a) la forma di educatore che si ricava dall'osservazione, come abbiamo visto,
e rivela una sostanziale adesione ad un modello di educazione che trova le
sue radici nell'idea, riconducibile a Rousseau, di un'educazione per sottrazione, come sviluppo spontaneo delle potenzialità
del bambino, e in quella, che risale a Dewey, di un esercizio attivo
di funzioni in un contesto sociale (cfr. "GLI SFONDI TEORICI"). INDICAZIONI EMERGENTI Considerando il contesto operativo di questa ricerca
nell'ambito delle iniziative previste dalla legge 285/97 ("Disposizioni per la promozione di
diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza") riteniamo
di poter sottoporre all'attenzione alcune direzioni di lavoro che emergono
come significative. Sulla formazione degli operatori. È
evidente che c'è una relazione tra lo sviluppo di una autoorganizzazione dei
bambini, e la relazione educativa che lo sostiene, che ne garantisce le
condizioni. Il problema che ci si pone è allora quale forma di relazione educativa è adeguata alla messa in atto
di un progetto di questo tipo. Si tratta innanzitutto di cercare di descrivere questa forma così come essa
appare nella materialità storica delle sue sperimentazioni, lavoro che qui è
stato solo abbozzato. In secondo luogo si tratta di delineare percorsi di formazione intenzionali,
riproducibili, per quanto aperti e adattabili alla specificità delle
contingenze di luogo, di tempo e di qualità del progetto. Questo compito, da
considerare come ricerca-azione che coinvolga gli stessi operatori in un
processo di sviluppo per tentativi ed errori, ci pare importante nella
direzione di un investimento istituzionale su contesti educativi da
affiancare e collegare sistemicamente alla scuola. Sulla costruzione di luoghi di
confronto e mediazione delle diverse rappresentazioni. È notevole la
diversità delle rappresentazioni, dei modelli, attraverso i quali di una
iniziativa, come quella della ludoteca di Amelia, è percepita, valutata, e
quindi investita dai vari soggetti coinvolti. La diversità non è di per sé
una condizione negativa: in un'ottica sistemica è quella che permette
l'adattamento alla variazione delle condizioni ambientali. Ma essa è
complementare ad una seconda condizione che garantisce la vitalità del sistema:
l'interconnessione dei diversi elementi funzionali. Se le diversità possono
interagire, se le diverse rappresentazioni possono confrontarsi e attraverso
il confronto emergere a consapevolezza, è garantita la possibilità di
costruire significati condivisi. Occorrono quindi spazi di comunicazione
sociale dove sia possibile creare consapevolezza sui processi, anche come
garanzia nei confronti di incomprensioni e conflitti a livello puramente
ideologico. Per fare un esempio pertinente, si può pensare di promuovere un
ambito in cui fornire ai genitori dei bambini (come utenti) e agli operatori
di altre agenzie educative (come co-responsabili di un sistema educativo
integrato che trova nella unicità dei destinatari la sua ragione prima)
strumenti di lettura, di analisi, di valutazione degli apprendimenti che i
bambini possono realizzare in contesti diversi, compreso quello ludico. |
[1] Jean Piaget (1966), La psicologia del bambino, Einaudi
Torino 1970
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