Studi sulla percezione
pubblica della scienza basati su strumenti quali i focus group o le interviste aperte, fanno emergere le premesse
culturali meno consapevoli che interagiscono profondamente, nel costruire
l’immagine di scienza e di scienziato, con le informazioni che provengono dai
media o dalla scuola. In queste situazioni
bambini di otto anni propongono con evidenza l’immagine dello scienziato come
mago, con il suo potere di manipolazione e trasformazione che salva e
distrugge, oltre che come inventore e costruttore. Questi risultati sono
stati interpretati come l’emergere di miti profondamente stratificati nella
cultura [1].
L’ipotesi è molto interessante e induce a domandarsi se, quando si parla di
miti, ci si riferisce più a qualcosa che abita l’inconscio della specie o a
rappresentazioni culturali geograficamente e storicamente connotate. Ma ci si può domandare
anche quanto la risposta dipenda dal tipo di dispositivo entro il quale i
bambini si sono espressi. La richiesta di inventare una storia crea una
situazione fortemente “proiettiva”, molto efficace per far emergere le
immagini assorbite dalla cultura in cui i bambini sono immersi e le loro
connotazioni emotive; tuttavia tende anche a confinare la loro creatività
espressiva entro i limiti imposti dagli stereotipi narrativi propri del linguaggio
della fiaba, che per i bambini è un “mondo”, un contesto specifico, con i
suoi sfondi e i suoi script. Nel rapporto processuale
di ogni individuo con la cultura in cui si trova a vivere c’è l’aspetto più
“passivo” dell’inculturazione, come acquisizione di una indispensabile dotazione
per la sopravvivenza nel gruppo sociale, e c’è l’aspetto più “attivo” del
contributo, per quanto piccolo, che ogni individuo fornisce, nella
interazione sociale, al mutamento della cultura nel tempo della storia. Il
contesto fiaba mette bene il luce il primo aspetto; perciò può essere interessante
provare a cambiare il dispositivo, rendendolo più adeguato a far emergere
anche il secondo aspetto, proponendo una situazione in cui sia stimolato un
gioco di decostruzione e ricostruzione delle immagini culturali sullo scienziato
e la scienza e in cui sia più attiva l’interazione sociale attorno
all’oggetto. L’esperienza è stata
realizzata nell’ambito di “Scienza under 18”, una manifestazione che si pone
l'obiettivo di "mettere in mostra" la Scienza degli studenti;
consiste in uno spazio strutturato dove, per alcuni giorni, gli studenti,
dalla scuola dell’infanzia alle superiori, presentano ad altri studenti i
progetti sulla scienza che hanno preparato durante l'anno [2].
Durante l’edizione 2004,
nella sede milanese, uno dei membri dell’équipe della manifestazione ha
proposto ad alcuni studenti [3]
di “collaborare a una ricerca sull’immaginario della scienza, partecipando a
un gruppo di discussione”. I ragazzi coinvolti hanno 12-13 anni
e hanno alle spalle un percorso di educazione scientifica particolarmente
significativo, inoltre l’esperienza è unica (l’incontro con un secondo gruppo
non è documentato); perciò non si tratta di comparare i risultati con quelli
di altre ricerche più documentate, ma di raccogliere qualche elemento, che si
ritiene rappresentativo, utile per mettere a punto le ipotesi di ricerca. La situazione, come si
vedrà, è riconducibile per certi versi a un gioco di ruolo, ma il setting è assimilabile a quello di un focus group,. La conversazione, di cui si riportano qui
spezzoni significativi, è stata registrata con il consenso dei partecipanti.
Oltre al “conduttore”, i/le singoli/e partecipanti sono individuati/e ciascuno/a
con una lettera. Scienziato
vs. tecnico CONDUTTORE
– “Facciamo che io ero” un regista che deve scrivere la sceneggiatura di un
film; si tratta cioè di stabilire che cosa si vede e si sente nel film.
Alcune cose sono state già decise e ve le dirò man mano, altre non ancora e a
voi chiedo di aiutarmi a deciderle. Il
film inizia con un disastro: un aereo precipita in mare e c’è un unico
superstite che arriva su un’isola deserta. Il primo punto su cui
dobbiamo decidere è: il protagonista sarebbe meglio che fosse uno scienziato
o un tecnico? Questo pensando che dobbiamo costruirci un film sopra. Questo incipit, che
definisce il contesto e le “regole del gioco” ha alle spalle alcune ipotesi:
che il contesto “film” fornisca un repertorio di immagini, di sviluppi
narrativi, di sfondi valoriali ecc. molto vario; che la progettazione
richieda coerenza e quindi attenzione all’oggetto; che la costruzione della
sceneggiatura si realizzi in scelte, cioè in continui atti volontari; che in
un contesto di gruppo queste scelte richiedano una esplicita contrattazione e
mediazione; che tutto ciò dovrebbe rendere meno facile l’abbandono inconsapevole
al flusso degli stereotipi narrativi; che questi ultimi non ne verrebbero
eliminati, ma potrebbero essere inseriti in un gioco di ricombinazioni, in
cui i ragazzi intervengono in modo attivo. Nello specifico, il
“naufrago sull’isola deserta” è sicuramente uno stereotipo narrativo, ma i
modelli a disposizione dei ragazzi sono molto diversificati, non si limitano
a “Robinson Crusoe”, variando da “Castaway” a “L’isola dei famosi”. C
– Ci vedo di più uno scienziato che fa degli esperimenti che un tecnico che
si mette lì a fare delle prove - che ne so - degli alberi. D
– Secondo me uno scienziato perché è più adatto: può inventarsi e costruire
molte più cose per risolvere vari problemi che un tecnico [...] può
inventarsi tutto. G – Uno scienziato perché
– boh?- vedo che, come idea, conosce più la natura, sa come usare gli
elementi; cioè, se si trova in una brutta situazione, sa come uscirne. La differenza tra le due
figure sembra essere centrata sulla specializzazione, maggiore per il
tecnico, che riduce la sua capacità di adattamento; lo scienziato ha un
maggiore campo di azione, caratterizzata dall’invenzione. Anche la distinzione
tra “esperimenti” e “prove” sembra potersi ricondurre a questa differenza. Da
notare però che nessuno dei ragazzi pone il problema di definire meglio il
campo disciplinare della professionalità: in un’isola deserta fa differenza essere
un tecnico delle colture arboree rispetto a uno scienziato esperto in fisica
delle particelle, oppure uno zoologo rispetto a un tecnico informatico. NAUFRAGO CONDUTTORE
– [...] allora la prima scena sarà: questo che si sveglia si guarda intorno…
qual è la prima cosa che fa? G
– Gira un po’ l’isola, vede quello che c’è sull’isola, se è abitata… F
– Anche secondo me cerca tracce di persone, di un villaggio, oppure di qualche
altro superstite. E
– Secondo me osserva l’isola e vede se c’è qualche altra persona… D
– Secondo me osserva l’isola e guarda se ci sono altre persone insieme a lui
sull’isola. Il comportamento del
naufrago sembra essere quello di una qualsiasi persona in tali circostanze,
tuttavia si può considerare una caratterizzazione della sua professionalità
di scienziato l’azione dell’ “osservare”, del “cercare tracce” o forse più in
generale l’atteggiamento dettato dalla curiosità. C
- Secondo me prima cerca di scoprire cosa è successo. CONDUTTORE
- Cosa è successo… ti riferisci all’incidente dell’aereo? C
– Sì, magari trova la scatola nera. Questo intervento
divergente sottolinea ancor di più l’aspetto della curiosità, da una parte
“gratuita”, ovvero senza apparente legame con i bisogni immediati, e
dall’altra molto “professionale”, come indica il riferimento alla “scatola
nera”, che prende la forma di una indagine. CONDUTTORE - ... la cosa
che succede è che arrivano dal mare dei rottami dell’aereo. Anche qua come sceneggiatori
possiamo decidere noi che cosa far arrivare, pensando a che cosa può rendere
più interessante il film dopo, e anche pensando che sia un po’ logico. Ancora si tiene viva la
contestualizzazione della conversazione come progettazione. La
necessità della coerenza induce atteggiamenti di invenzione e soluzione di problemi
caratterizzando la comunicazione come interazione co-costruttiva. A – Secondo me trova
oggetti vari come… che gli possono essere utili… tipo... bussole… non so…
pezzi di paracadute che possono servirgli per costruire qualcosa... pronto soccorso. La bussola sembra
appartenere più al corredo tecnologico da cui lo scienziato è dipendente,
mentre i pezzi di paracadute fanno più riferimento a una sua capacità di
inventare tecnologia e di trasformare. C – Secondo me potrebbe
essere o... sì vari oggetti oppure anche la sua… la sua – diciamo - valigia
che aveva con dentro tutte le sue cose… che potrebbe essergli utile per rimanere
lì in quell’isola o per andarsene. Il “corredo” dello
scienziato, che potrebbe comprendere tutte e due gli aspetti segnalati sopra,
qui sembra anche mostrare, nella sua indefinitezza e misteriosità, lo scarto
tra la sua padronanza e familiarità con gli strumenti da cui noi
non-scienziati siamo tagliati fuori. C
– Non so… magari dei fogli con scritte delle sue idee, magari buttate lì così,
che poi sull’isola, visto che c’è pace e c’è di tutto, potrebbe… mettere –
diciamo - a fuoco. CONDUTTORE
- Finalmente trova il tempo per… C – Esatto! Fa la sua comparsa la “serendipity” come incontro tra due elementi
entrambi necessari: l’occasione propizia e incongrua ma anche il sapere
accumulato. E – Magari pezzi del
motore dell’aereo che possono servirgli poi nel progetto per riuscire a
scappare, per energia: montarlo su una barca e scappare. Qui prevale l’idea dello
scienziato inventore strettamente legata alla tecnologia. Il
“paradigma indiziario” CONDUTTORE
- Un’altra cosa che succede quasi subito è che lui, andando in giro, trova
delle impronte per terra… di animali – diciamo – e quindi… cosa fa appena
vede queste impronte? G
– Le segue e cerca di capire di chi sono, anche perché se è un animale lo può
mangiare. F
– Sì: le analizza, capisce dove portano, di che animale sono, se può essere
[…] CONDUTTORE
- Capisce di che animale sono guardando le impronte? F
– Sì. E
– Sì, segue le impronte, guarda dove vanno e capisce che animale è, se è un
animale che conosce o no. Viene associata alla
professionalità dello scienziato l’idea del sapere acquisito, che può essere
applicato al caso particolare per ricondurlo all’ordine razionale. D - Secondo me, essendo
uno scienziato, magari anche solo dalle impronte riesce a capire che animale
è e poi, seguendo queste impronte, accertarsi. Viene associata alla
professionalità dello scienziato l’idea del sapere acquisito, che può essere
applicato al caso particolare per ricondurlo all’ordine razionale. Un
particolare importante: “accertarsi” rimanda alla verifica sperimentale, al
riferirsi ai fatti. C - Secondo me analizza le
impronte e capisce se l’animale è grande, se è pericoloso… e se lo conosce. Ecco un altro aspetto
fondamentale del pensiero scientifico: la deduzione, il ragionamento per
inferenza regolato dalla logica. CONDUTTORE
- Un altro punto del film è che, come tutti i naufraghi su un’isola deserta
affidano un messaggio al mare nella bottiglia. Il problema è che questo
messaggio deve essere molto corto perché la bottiglia è piccola, non ha la carta…
ci sono una serie di impedimenti per cui lui deve comunicare solo la cosa più
importante. In queste – diciamo - tre
righe che cosa scrive? Il
conduttore propone la situazione “messaggio nella bottiglia”: le soluzioni
dei ragazzi mettono in evidenza la capacità di dedurre, di applicare le
conoscenze al caso particolare, di osservare, di identificare “pattern”,
ovvero forme emergenti dallo sfondo, e di intuirne la pertinenza. C’è un
richiamo al “paradigma indiziario” dell’indagine che accomuna
scienziato e investigatore (forse la fonte di questa idea sono i film). A
- Può scrivere… chiedere aiuto e… far presente che è da solo… B
- Sì, anche secondo me naturalmente la prima cosa sarebbe chiedere aiuto, poi
cercare di descrivere più o meno dove crede di essere - non so – per esempio
anche sentendo com’è il clima, più o meno, secondo lui; essendo uno scienziato,
magari dal clima comunque riuscirebbe a riconoscere in che fascia si trova. Ancora la capacità di
deduzione, di applicare le conoscenze al caso particolare. Il clima viene
individuato come un campo di studio affidato agli scienziati. C
– Secondo me chiede aiuto e descrive alcuni particolari dell’isola che possono
aiutare a capire dove si trova. D
– Chiede aiuto […] e guarda i particolari che possono essere utili per farlo
ritrovare. Qui è la capacità di
osservazione ad essere individuata come caratterizzazione dello scienziato,
pertinente alla situazione. C’è anche qui un richiamo al “paradigma
indiziario” che accomuna scienziato e investigatore. E
– Chiede aiuto e guarda i particolari e descrive un po’ cosa è successo anche
[…] F – Anche secondo me
chiede aiuto perché comunque è la prima cosa a cui uno pensa; anche se è uno
scienziato, la prima cosa cui uno pensa è salvarsi la vita. Chiede aiuto e
basta. Quel “anche se” fa
presupporre come sfondo una percezione dello scienziato come lontano dalla
normalità dei comportamenti umani, in particolare dalle preoccupazioni della
quotidianità o dalle necessità della vita. G
- Chiede aiuto e… secondo me lui sa dov’è, perché comunque in un aereo sai
dove sei… e dice dove è caduto più o meno l’aereo… a che altezza… CONDUTTORE
- Eh sì, si presuppone che almeno la linea… G
– Magari sa quanto tempo è passato da quando è partito e, sapendo l’orario,
sa più o meno dove è caduto. Ecco in azione il
“procedimento indiziario”. CONDUTTORE
- Quindi può dare indicazioni sul luogo… Allora le idee erano… dato che tutti
avete detto che chiede aiuto, quindi non decide di stare lì, cioè pensa comunque
di farsi venire a prendere… come dice lei “anche se è uno scienziato…”… le
indicazioni erano: la collocazione dell’isola dedotta dalla rotta dell’aereo
e dal tempo passato, altre erano su come è fatta l’isola, indicazioni sia generiche,
come il clima e quindi una certa fascia, sia anche, mi sembrava dicesse
qualcuno, magari dei dettagli… C
- Dei particolari. CONDUTTORE
- … che ti fanno capire che è esattamente quell’isola lì, magari qualcuno la
conosce. C
– Magari può trovare un particolare - che so?- una particolare roccia che ha
una certa forma. Qui il riferimento è a
un’altra caratteristica del pensiero scientifico: la capacità di identificare
“pattern”, forme emergenti dallo sfondo, strutture, e di intuirne la
pertinenza. Il
rapporto con la natura CONDUTTORE
- Sapete che nei film ogni tanto si chiude la scena e compare la scritta “un
anno dopo”. Si riapre l’inquadratura
e... che cosa si vede? [...] B – Secondo me è un po’
cambiato, è un po’ più selvaggio però in sintonia con la natura, ha imparato
cos’è questo animale, ha imparato a cavarsela... cioè è meno professionale
come scienziato però ha imparato a conoscere la natura. Dunque per imparare a
conoscere la natura occorre entrare in sintonia con essa e diventare un
po’ meno scienziato: qui c’è l’intuizione di una contraddizione
fondamentale che nasce con Bacone e che pure nella nostra società tende a
venire sottaciuta: lo scienziato che ha come oggetto del proprio lavoro la
natura costituisce anche, attraverso lo sviluppo della tecnologia, il maggior
pericolo per la natura; la contraddizione è evidente soprattutto nella
cultura scolastica, dove viene attribuito valore positivo sia all’ecologia
che alla tecnologia, senza problematizzare la relazione tra le due. D
- Mah, io lo vedrei come un… no, no un barbone, un selvaggio però
all’incirca. Cioè, se prima era una persona tutta precisa, adesso non lo è
più. Affiora la
caratterizzazione, stereotipo forse, dello scienziato basata sulla “precisione”.
Qui però il contesto del discorso (la “casetta sull’albero” di cui parlano i
ragazzi marca una situazione piacevole) sembra sfumarla verso una certa
“rigidità” da cui le circostanze lo liberano. La condizione di “selvaggio”,
che verrà sviluppata negli interventi seguenti, sembra una regressione ma
anche un positivo adattamento. CONDUTTORE
- S’è un po’ lasciato andare. D
– Esatto! E
– No… lui che comunque è diventato mezzo… uno scienziato mezzo pazzo perché
ormai era andato fuori di testa e che cerca di costruire qualcosa, che però
non saprei… cioè un qualche arnese che gli servirà, tipo una lancia. Compare l’altro stereotipo
dello “scienziato pazzo”, anche se qui è pertinente alla situazione di
solitudine. CONDUTTORE
- Bisogna essere molto precisi sui dettagli perché si deve capire tutto da
quello che si vede. E
– Tipo una lancia o un arco, comunque oggetti che gli servono per cacciare. CONDUTTORE
- Però, facendo questi esempi, pensi a oggetti molto primitivi? E
– Sì. [...] F – Invece io la vedo più
come una scena mattutina. Inizia tutto con – non so – lui che in questa
casetta di legno, fatta con le palme, così… e che magari si vedono le ceneri
del focolare della sera prima, lui che esce, si vede che è più ambientato,
perché magari va direttamente a pigliare una noce di cocco, piuttosto che…
non lo so, e comunque questo dà la prova che si è più ambientato; poi certo,
come dicevano loro, non è più il precisino, ma un po’ più selvaggio, e proprio
si vede… cioè, come per dar la prova che si è adattato. La
condizione di “selvaggio” sembra una regressione, ma anche un positivo adattamento. A – Secondo me invece lui
nel frattempo è stato rintracciato, è tornato a casa e quindi si è sposato ed
è tornato nell’isola con sua moglie per fare i suoi studi. Quindi la prima
scena sarebbe che lui è con sua moglie, e magari anche con suo figlio, e che
studia… Questo intervento è in
conflitto con i precedenti in quanto sembra rifiutare la “regressione
antropologica”; difficile dire se questo rifiuto è riferibile a motivazioni
emotive (proiezione di una propria inquietudine rispetto a una situazione
difficile) oppure a una visione culturale relativa alla figura dello
scienziato (che non è in vacanza, ma studia). CONDUTTORE
- Colpo di scena!. Ma in questa inquadratura si vede – che ne so?- che è arrivato con tutta l’attrezzatura,
tipo una nave...? A
– Si è costruito una casa e si vede che c’è un aereo, una barca per tornare indietro
e… si è sistemato. CONDUTTORE
- Quindi è tornato con tutte le cose della… vita tecnologica. A
– Sì. CONDUTTORE
- Beh, questi sono due aspetti… Però nessuno di voi ha pensato… un pochino sì
ma non troppo… avete insistito di più sull’adattamento che non sulla
costruzione di cose tecnologiche. B
– Secondo me, se non si fosse adattato, comunque prima o poi la fine sarebbe
stata quella, quindi… cioè come fare una […]: se non si adatta, è ovvio,
forse neanche sei mesi… CONDUTTORE
- No, in questo senso: poteva essere che l’inquadratura si apre su una radio
che lui si è costruito con i pezzi dell’aereo, invece avete pensato più, mi
pare, che si fosse adattato all’ambiente naturale. B – Forse nessuno di noi
l’ha pensato, perché forse uno che si trova su un’isola deserta non è
proprio… anche in sei mesi non so se riesce a mettersi lì e ricostruire una radio,
cioè… boh? Un sano scetticismo
realistico da contrapporre a un atteggiamento della nostra società fin troppo
fiducioso rispetto al “progresso” della scienza e alle sue capacità di
risolvere qualunque problema (anche “non scientifico” come la fame nel mondo
ecc.). CONDUTTORE
- A questo punto bisognava modificare un po’ la prima scena dove recupera i
rottami dell’aereo: magari trova dei pezzi… C – Magari si è messo a
fare ricerche e ha scoperto una pianta che cura il cancro. È il tema della serendipity, della scoperta casuale, ma anche
della passione per la ricerca dello scienziato, irriducibile alle circostanze.
E c’è anche l’idea della missione della scienza e della fiducia in essa come
risolutrice dei problemi dell’umanità [4]. D – Oppure degli animali
sconosciuti. Qui
è più forte l’aspetto di ricerca “pura”. CONDUTTORE
– Quindi continua le ricerche che faceva a casa sua? D – Sì però dove lavorava
non aveva avuto occasioni per fare scoperte importanti. Oltre alla serendipity, si apre uno squarcio su scenari di
sociologia della scienza: problemi di carriera, relazioni di potere,
condizioni di lavoro, finanziamenti…forse. Normale
pazzia o pazza normalità CONDUTTORE - Queste
caratterizzazioni che avete dato dello scienziato, come si comporta, le sue tendenze...
vi vengono più da film o romanzi o più da informazioni che avete sulla vita
di scienziati veri…? è
un tentativo di passare a un meta-livello nella conversazione, sia per
rendere i ragazzi partecipi del contesto, sia per verificare se sulla conversazione
abbiano potuto operare deformazioni sistematiche. B – Secondo me dal vero,
perché uno scienziato che è su un’isola deserta cerca prima di salvarsi la
vita piuttosto che di scappare: è istintivo, è normale, non è una cosa tanto
da film; è una cosa che potrebbe succedere davvero. Nel “vero” ci mette la
“normalità psicologica” dello scienziato, a ribadire, come già notato più
sopra, una rappresentazione culturale che invece lo vede come non
normale. ... B - ... in un film ci
metti le cose che fanno più scena: lo scienziato pazzo o geniale; se metti le
cose normali non lo guarda nessuno. Questo dimostrerebbe che i
ragazzi di questa età, pur essendo ancora immersi con il loro immaginario
nell’immaginario filmico, sono perfettamente consapevoli della deformazione
intenzionale di questo rispetto alla realtà e in generale della differenza
dei contesti. CONDUTTORE
- Torniamo un momento sul dettaglio dello “scienziato pazzo”: eri tu che
dicevi che dopo un po’ era fuori di testa? Dovendo però pensare, come al solito,
che il film si fa attraverso le immagini o quello che dicono i personaggi
(non c’è una voce che spiega), da che cosa si capiva che era un po’ fuori di
testa?... tra i vari pazzi come si fa
a distinguere lo scienziato pazzo – che so?- da un ragioniere pazzo? E
- Perché cercava di inventarsi qualcosa per sopravvivere, per costruire armi
per poi cacciare, per lo più cose che doveva mettere nella sua casetta,
faceva riparazioni alla casetta; invece se uno proprio pazzo è lì solo non
penso che riesca a connettere qualcosa. Viene sancita una
superiorità comunque dello scienziato, anche in condizioni di “pazzia”,
oppure l’idea che l’asse pazzia-normalità è ortogonale a quello delle
competenze scientifiche e che quindi la pazzia non incide su di esse. Da notare
che lo scienziato nella sua regressione antropologica a “selvaggio” o
psicologica a “pazzo” appare più
caratterizzato come “tecnico”. B
– Io non lo vedo come pazzo nel senso da ridere, io lo vedo più come… cioè,
se dovesse diventare pazzo lo vedo più come isterico, cioè che comunque diventa
pazzo perché non ce la fa più, perché […] se impazzisce diventa isterico… sì
giusto! CONDUTTORE
- Cioè tu dici: mentre un pazzo che fa un altro mestiere può essere
divertente… B
– Cioè – non so - forse lei voleva dire la stessa cosa: però magari un pazzo
da ridere… cioè questo qua che parla da solo, che si inventa le cose è più da
ridere, io lo vedo più come una pazzia di uno che non riesce a fare delle cose
e si arrabbia, comincia a chiedersi perché è andato su quell’aereo, perché
doveva far ‘sta vita – non lo so – E
– Anch’io la penso come lei: che pensa “perché sono salito su quell’aereo? Se
non ci andavo non capitavo su quest’isola” B
– Inizia a pentirsi di tutte le cose che ha fatto, che poi magari non ce n’è motivo,
che poi si trova lì su quell’isola e non sa cosa fare e non riesce ad andare
avanti. E
– Sì, comunque è più abituato ad avere le sue cose sotto mano. B – Gli cambia
completamente la vita. Insomma la “pazzia” dello
scienziato è la sua normalità, il suo essere scienziato, ovvero il suo essere
capace di mettere ordine al mondo, di credere in questo ordine fino a investire
troppo sulla prevedibilità. Rappresentazioni
aperte dinamiche critiche In
conclusione si conferma che l’immaginario dei bambini ricava il suo materiale
dal bagno di cultura in cui sono immersi. Perciò si ritrovano gli stereotipi
che accompagnano la figura dello scienziato nella sua rappresentazioni
culturale diffusa. Tuttavia, in un contesto
in cui l’interazione provoca una co-costruzione di
discorso, queste rappresentazioni appaiono più aperte, dinamiche e critiche
rispetto al contesto “fiaba”. Ovviamente conta anche l’età dei ragazzi, ma
vale la pena di evidenziare alcuni aspetti specifici. Intanto la varietà
delle immagini, che non restituiscono la figura dello scienziato “tutta in
una volta”, ma che lo caratterizzano in modo parziale e relativo a contesti e
situazioni; per comporre il quadro devono perciò combinarsi e interagire tra
di loro. Poi le rappresentazioni appaiono più sfumate, meno emblematiche o meno
caricaturali; e questo sembra legato a un maggiore riferimento alla realtà,
da una parte la realtà dell’esperienza di vita quotidiana dei ragazzi stessi,
dall’altra la realtà degli scienziati “veri” come può essere conosciuta
attraverso fonti di informazione sociale come i libri (scolastici) o i media. La realtà è anche il luogo
di mediazione delle contraddizioni, di attenuazione degli estremi e questo
porta a un altro aspetto interessante. Le rappresentazioni dello scienziato appaiono
più dialettiche: all’autoaffermazione legata al ruolo si affianca la missione
sociale e la curiosità gratuita, alla casualità della scoperta si affianca lo
studio, alla pazzia l’ordine; caratterizzazioni contraddittorie ma interagenti,
e quindi in definitiva più aperte a una rielaborazione critica. E qui la
consapevolezza meta-cognitiva che i ragazzi dimostrano di possedere ha
probabilmente un ruolo. Sicuramente un ruolo
fondamentale ce l’ha il contesto interattivo della conversazione, che per i
bambini, diversamente che per gli adulti [5],
è un luogo di co-costruzione di rappresentazioni
[6]
e non soltanto di confronto, di esercizio retorico o di competizione. |
[1] Yurij Castelfranchi (2004), Per una paleontologia
dell’immaginario scientifico, in La comunicazione della scienza, Zadigroma.
[2] L’iniziativa, nata nel 1998, su iniziativa di
un gruppo di insegnanti dell'area scientifica della SMS Rinascita “A. Livi” di Milano, si svolge in collaborazione con
l'Associazione Rinascita per il 2000, il Museo Nazionale della Scienza e della
Tecnologia “Leonardo da Vinci" di Milano, l’Ufficio Scolastico Regionale
per la Lombardia. La manifestazione è gestita da una rete di scuole e negli
ultimi anni, oltre a Milano, si è svolta anche nelle sedi di Monza, Pavia, Rozzano, Mantova (http://www.scienza-under-18.org).
[3] Si tratta di studenti delle classi seconde e terze (a.s. 2003-2004) della S.M.S. Carlo Porta e dell’Istituto sperimentale Rinascita A. Livi di Milano.
[4] Marcello Sala (1997), I “super premi Nobel”,
in Cooperazione Educativa n. 1/1997, La Nuova Italia.
[5] Marcello Sala (2004), Il volo di Perseo,
Junior.
[6] C.
Pontecorvo, A.M. Ajello, C. Zucchermaglio
(1991), Discutendo s'impara, La Nuova Italia Scientifica 1991, Carocci 1998.