Quanto segue è tratto da una
conversazione svoltasi in una classe seconda media. Le riflessioni dei
ragazzi, le loro immagini, le loro ipotesi aprono una finestra sulle loro
visioni del mondo[1]. È l'insegnante a fare
la domanda-provocazione: <<Qual è l'insieme più numeroso che conosci?
Di quanti elementi è composto?>> QUANTI SONO I GRANELLI DI SABBIA? Le risposte dapprima si
indirizzano su oggetti fatti di parti modulari (cellule del corpo, quadretti
del quaderno) o su grandi collezioni di oggetti (le stelle, le persone o le
auto (!) che ci sono nel mondo, i granelli di sabbia). Ben presto come
quantità massima compare l'infinito, e da qui in poi il dibattito sarà su che
cosa è infinito e cosa no, che è probabilmente il modo con cui i ragazzi pongono
il problema "che cos'è l'infinito?". Subito ci sono dubbi
che insiemi di oggetti reali possano essere infiniti. Dice Michela: <<I
granelli di sabbia si possono contare tutti in tutto il mondo e quando li hai
contati tutti son finiti.>> L'infinito viene
associato all’universo, allo spazio. Ma anche qui c'è qualche contestazione: <<Lo
spazio potrebbe essere infinito, ma non è detto che in ogni spazio ci siano
stelle>> dice Andrea, che ha elaborato, e disegnato, una sua
cosmologia. A questo punto è maturo
il grande salto verso l'astrazione: i numeri stessi sono infiniti. Sarà
Raffaele a giustificare la scelta: <<Qualunque oggetto prima o poi
finisce, invece i numeri sono una cosa teorica che non può finire. Si può
dire "ci sono cinquemila miliardi di granelli di sabbia", perché ci
sono i numeri; se ce ne fossero settemila si direbbe "settemila
miliardi"; per i numeri non c'è problema che finiscano, c'è il problema
che i granelli finiscono.>> Molti condividono la
scelta dei numeri come esempio d'infinito e Katia spiega il meccanismo che i
matematici chiamerebbero "principio d'induzione": <<Tanti
uno, mettendoli insieme, dà sempre un numero più grande che non finisce
mai.>> Ma c'è chi, come
Antonello, non è d'accordo: <<Non c'è niente d'infinito. Dei grandi
matematici hanno pensato numeri grandissimi ma poi si sono fermati.>>
E Andrea ci dà la chiave epistemologica di questa presa di posizione: <<I
numeri dipendono dalle conoscenze di una persona; chi ha tante conoscenze può
arrivare a un certo numero di numeri, chi è analfabeta non li sa neppure.>> FINISCONO I NUMERI? Ma un'altra scuola
epistemologica si contrappone a questa: <<Non c'entra la conoscenza:
l'insieme dei numeri, senza che qualcuno li pensi, è infinito.>>
sostiene Giovanna. E Michela: <<Non sono i numeri che finiscono;
certi numeri si sa che continuano, sono i matematici che si sono stancati di
calcolarli.>> (il riferimento è al calcolo di pigreco). Antonello non si
arrende: <<Ma proprio perché si sono fermati non si può dire che il
numero è infinito: se se ne calcolasse un'altra cifra magari potrebbe
finire.>> Brunella trova
l'esempio cruciale: <<I numeri periodici si sa che non finiscono:
per come sono fatti. Si può andare avanti quanto si vuole ma risulta sempre
la stessa cifra.>> La dimensione
dell’infinito non è solo lo spazio o la quantità, è anche il tempo: un discorso
sull’infinito coinvolge inevitabilmente "la fine". Alessandro sostiene la
prima teoria: <<I numeri finiranno alla fine del mondo, quando non
ci sarà più nessuno a inventare numeri>> Antonello naturalmente
è d'accordo: <<I numeri finiscono, qualsiasi cosa finisce: come
finisce la vita nel mondo finiscono anche i numeri, perché senza uomini le
cose non possono andare avanti.>> Dall’altra parte si
schiera Raffaele: <<Se finisce il mondo finisce la conoscenza umana,
non c'è più nessuno che può contare, ma i numeri non finiscono. I numeri
esistono da sempre, da quando ci sono cose da contare.>> I numeri
esistono dunque come qualità degli insiemi, e l'uomo non li ha inventati, ma
soltanto scoperti. Giovanna approda a una
posizione dialettica: <<Per il calcolo dei numeri come pigreco, quando il mondo finisce l'operazione è sempre
infinita, però se non c'è nessuno che la pensa, è finita.>> La domanda <<"Dove"
esisteranno i numeri quando non ci saranno più gli uomini a pensarli?>>
provoca un ripensamento di Antonello che scopre l'essere "in
potenza": <<I numeri esisteranno anche se non sono pensati, ma
come dietro una porta che resta chiusa.>> Nelle risposte degli
altri affiora l'immagine di una Mente sovraindividuale
che pensa i numeri (Dio) o di una continuità delle menti pensanti al di là
della fine (il "Paradiso"). RI-PRODURRE INFINITI Ma infinito non è solo
"qualcosa di molto grande": una variante più dinamica e meno
afferrabile di infinito è quella che propone Andrea: <<Per me le
cose infinite sono solo quelle che si possono riprodurre.>>; ma
Katia non è convinta e pone un problema linguistico-concettuale:
<<Le cose che si riproducono non sono sempre le stesse, perciò non
si può dire che "quelle" cose sono infinite.>> Alessandro applica il
concetto ai numeri: <<Anche i numeri sono diversi uno dall’altro,
perciò non si può dire che sono infiniti.>> ma Raffaele vede le
cose da un altro punto di vista: <<I numeri non sono diversi uno
dall’altro: Alessandro dice che uno è uno e due è due, ma è anche vero che
possiamo considerare due come due volte uno e così via.>> Così entra
nell’universo del discorso anche il "meccanismo di produzione"
dell’infinito. Danilo scopre la combinatoria come generatrice di infinito: <<Se
i numeri sono infiniti, anche le parole lo sono.>>, <<Se
comprendiamo anche le parole senza senso.>> precisa Giovanna e
Laura chiarisce il meccanismo come <<composizione di lettere>>;
ma Katia ne individua i limiti nella limitazione del numero di lettere. Un altro meccanismo
generatore è quello della ricorsività. I ragazzi non conoscono l'Achille del
paradosso, ma la tartaruga sì: è quella di LOGO, il software che ha permesso
loro disegnare spirali con il computer. Non sembrano esserci dubbi sul
destino delle spirali centrifughe: <<Se avessimo uno schermo più
grande avremo potuto continuare all’infinito.>> come dice Andrea.
Ma sulle spirali centripete la maggior parte pone il limite di visibilità del
prodotto come limite del processo. Per accettare
l'infinitamente piccolo ci vuole la grande dimestichezza con l'astrazione di
Raffaele: <<Se il lato della spirale si dimezza sempre, si continua
all’infinito.>> o l'intuizione di un'immagine come quella di Luca: <<La
spirale magari si sposta sempre più in profondità.>> Antonello che "non
crede e non crederà mai che esiste un infinito" prende ciò che i
matematici chiamerebbero il "limite", cioè il valore verso cui
tende una funzione ma che non può essere raggiunto, come effettivo punto di
arrivo del processo quantitativo non solo in diminuzione ma anche in aumento. GEOMETRIA DELL'INFINITO Ma quant'è grande un
infinito? Alessandro, quando i numeri si erano affacciati come esempio
dell’infinito, aveva proposto <<i numeri relativi, perché vanno sia
da una parte che dall’altra: sarebbero come due infiniti.>> Così,
quando l'insegnante chiede se è più grande l'infinito dei numeri sull’asse
delle ascisse o quello delle ordinate corrispondenti già in numero infinito a
ogni ascissa, Alessandro non ha esitazioni a rispondere che <<l'infinito
dell'asse x è più piccolo dell’infinito del piano.>>; e molti
compagni sembrano condividere la non problematicità della risposta. Massimo va
controcorrente con una strana risposta: <<I due infiniti sono
uguali: infinito significa che non finisce mai. Un esempio è quello della
linea chiusa.>> Nell’esempio della linea chiusa che può essere
percorsa infinite volte c'è probabilmente l'immagine di un infinito legato
non alla grandezza ma al tempo e alla ciclicità. Alla domanda se la
migliore rappresentazione geometrica dell’infinito sia una linea chiusa o una
retta, Michela sceglie la prima <<perché la linea chiusa siamo
sicuri che continua sempre, mentre la linea aperta può incontrare una fine
prima o poi.>> La scelta trova sostenitori, ma Brunella sceglie la
linea retta (disegnata come un segmento con puntini agli estremi) perché, argomenta,
la linea chiusa non è di per sé infinita: tuttalpiù
lo è il movimento di chi la percorre. E poi il punto di inizio del movimento
costituisce anche una fine, tanto che è possibile constatare il compimento di
un giro; invece, come sostiene Raffaele, <<sulla retta un inizio lo
crei tu quando ci salti dentro per camminarci sopra, ma la retta di per sé
non ha l'inizio né la fine.>>; come dire che sulla linea chiusa il
punto segnato dall’inizio del movimento viene in qualche modo incorporato
nella natura della linea che diviene un "giro" con inizio e fine
determinati, mentre nella retta il punto di inizio del movimento resta un
accidente di cui si perde memoria. Michela si sente in
dovere di precisare che sceglie <<la linea chiusa per l'infinito in
generale, e la linea aperta per l'infinito dei numeri.>> Andrea sceglie l'elica
(il "cavatappi" come dice lui) come immagine dell’infinito e si
aprono nuovi orizzonti. Subito chiusi da un suono di campanella, simbolico e
concreto segno di rottura. UN SILENZIO EPISTEMOLOGICO Io credo che il senso
educativo di questa esperienza stia nella ricerca epistemologica dei bambini.
E si può trovare anche una indicazione operativa nel valore metodologico del
silenzio: il silenzio non solo come non-insegnamento, ma come atteggiamento
di ascolto, cioè di accoglienza del pensiero altrui non per giudicarlo,
usarlo o tollerarlo ma per reagire e interagire con esso. Il silenzio come spazio
"democratico" dove lo sforzo di comunicare non implica l'assunzione
del linguaggio dell’insegnante e dei libri di testo, che impone a priori
categorie chiuse, che in nome di un pensiero chiaro e distinto esclude la
complessità. Il silenzio e l'ascolto come spazio protetto dove costruire una
relazione (e la formula ricorrente <<Non sono d'accordo
con...>> testimonia il prevalere dell’esigenza di una ricerca d'identità). Il silenzio non come il
vuoto in cui perdersi, ma come spazio in cui possono riemergere i vissuti e
si può costruire la consapevolezza del loro significato. Un silenzio pieno
della memoria delle esperienze fatte (la contemplazione affezionata del
cielo, il gioco della costruzione delle spirali, l'osservazione
metamatematica, quasi estetica, dei numeri), in cui le menti, e non solo le coscienze
razionali, possono esprimere e riconoscere le loro relazioni con il mondo. |
[1] Quiz per i lettori: individuare almeno cinque personaggi finiti
sui libri di storia della filosofia o della matematica per aver sostenuto e
dibattuto idee come quelle espresse dai ragazzini della 2a
B 1989-90 della scuola media Anna Frank di Cinisello
Balsamo (MI).