Marcello Sala

NOTE SULLA FORMAZIONE

NEL MCE OGGI

-pubblicato in- 

COOPERAZIONE EDUCATIVA

n. 2 / 2000

La Nuova Italia

 

Le riflessioni che seguono sull'evoluzione della cultura della formazione nel contesto di una organizzazione come il Movimento di Cooperazione Educativa sono fatte dall'osservatorio privilegiato della Scuola Estiva, sapendo bene che non è l'unica manifestazione della formazione MCE, ma sapendo anche che, per il suo carattere nazionale e "istituzionale", le sue dimensioni e la sua visibilità, ne costituisce la parte più rappresentativa.

Quasi dieci anni fa l'Assemblea del MCE chiudeva l'esperienza dell'Assemblea Laboratorio e dava il via a quella della Scuola Estiva, come iniziativa nazionale del Movimento. Un'esperienza sostituiva l'altra con una forte impronta di discontinuità: fu una valutazione critica dell'evoluzione della prima a costituire il presupposto della nascita della seconda. Ciò che le teneva insieme in un unico quadro storico e di senso era la sopravvivenza e lo sviluppo dell'organismo (l'MCE) di cui entrambe, in tempi diversi, erano parti, organi, manifestazioni strutturali, modalità di vita associativa.

Tre elementi, oltre a quello dell'autonomia organizzativa ed economica, caratterizzavano questa discontinuità, e l'abbandono della metafora dell' "assemblea" e l'assunzione di quella della "scuola" in questo senso erano significative.

Un primo elemento era l'apertura. A un luogo di incontro e scambio tra  "militanti" del movimento che ben si conoscevano tra di loro, venne contrapposta l'offerta di formazione a un'utenza allargata e nello stesso tempo la possibilità di incontro e di collaborazione con altri soggetti portatori di proposte formative, esterni ma vicini al MCE.

Un secondo elemento era la rottura della simmetria (già per altro storicamente affermatasi nel MCE a partire dall'impegno di molti militanti nelle attività di aggiornamento degli IRRSAE), il superamento della forma dello scambio alla pari nella cooperazione verso l'assunzione piena di una responsabilità nella relazione formativa nei confronti di persone la cui definizione come utenti era sancita concretamente, prima ancora che simbolicamente, dal pagamento del servizio. La dimensione della cooperazione veniva allora a collocarsi soprattutto nella ricerca-azione dell'équipe che organizzava e gestiva l'iniziativa formativa e, semmai, a livello dei contenuti della proposta formativa.

Un terzo elemento prevedeva l'assunzione della forma del laboratorio adulto dentro un contesto organizzativo e di senso più ampio; questo implicava da una parte l'esplicito riconoscimento di una pluralità di culture, di tecniche, di saperi, di modelli di formazione, contro una visione ideologica del MCE, e dall'altra, ma inscindibilmente, la ricerca di una integrazione di queste diversità.

Non si può qui ripercorrere la storia della Scuola Estiva cui questa rivista ha sempre dato spazio, seppure con modalità che vorrei discutere più avanti. Mi sembra più utile fare il punto della situazione attuale, e lo faccio a partire da quello che in qualunque organizzazione costituisce un inevitabile indicatore: l'adesione alle proprie proposte.

L'edizione '99 della Scuola Estiva ha registrato un crollo delle iscrizioni (circa 1/3 di utenti in meno rispetto allo standard mantenuto negli anni precedenti), con conseguente non attivazione di due laboratori su sei.

Questo dato può essere valutato come significativamente negativo oppure no. Nel primo caso non si può fare a meno di metterlo in relazione con la sensibile riduzione, segnalata negli anni precedenti, delle presenze di nuovi utenti rispetto ai ritorni. Poiché la Scuola Estiva non è, per sua natura e per contratto, un luogo di ricerca, ma semmai una offerta di formazione attraverso l'incontro con ricerche pre-esistenti, questa tendenza rende evidente una crisi che ha il segno della chiusura, del ripiegamento su una dimensione familistica della cooperazione. In questo senso la domanda che si impone è se la formazione MCE non abbia compiuto un ciclo che la riporta a un punto vicino a quello di partenza del 91.

Si può invece non ritenere significativo il crollo delle iscrizioni, mettendo in risalto positivo la conseguente (e del resto ovvia) semplificazione della gestione e della organizzazione come condizione di un miglioramento di qualità del contesto della formazione. Questo tipo di valutazione implica l'assunzione di un punto di vista diverso da quello di una organizzazione che valuta il successo o meno di una propria iniziativa in relazione agli scopi che si era prefissa. Nel nostro caso si può rilevare come questo tipo di atteggiamento contenga una rinuncia a quei presupposti, che ho brevemente indicato prima, da cui la Scuola Estiva è nata e che ne costituivano la sua ragione storica, il senso condiviso, oltre che il mandato "istituzionale".

Ma al di là dei dati numerici, dalla frequentazione e, soprattutto, da una approfondita ricerca, emergono altre evidenze che riguardano la caratterizzazione stessa dell'offerta formativa. Sono molte e si possono organicamente collegare in un quadro interpretativo; dovendo qui sceglierne una, direi che la forma del laboratorio adulto non ha esaurito la sua funzione di creare condizioni per apprendere dall'esperienza diretta e dalla sua rielaborazione; piuttosto, nell'attribuzione di significato che gli è viene dal contesto della Scuola Estiva, così come si è andato configurando, sembra essere diventato prevalente uno dei due aspetti inseparabili che lo caratterizzano come "spazio transizionale", come "area potenziale": il suo essere luogo affettivamente "protetto" cui ritornare prevale sulla sua dimensione di luogo di sperimentazione nella dinamica diversità-integrazione culturale e di luogo dove sperimentarsi in riferimento ai contesti della propria professione educativa.

Naturalmente un mutamento di prospettiva e quindi di progetto è non solo legittimo, ma necessario, in termini evolutivi, a una organizzazione che voglia evolvere per sopravvivere. Differentemente però da un organismo soltanto biologico, una organizzazione sociale, un soggetto culturale, ha consapevolezza e intenzionalità (che naturalmente non significa controllo meccanico), e quindi responsabilità, riguardo ai propri mutamenti.

La domanda allora diventa: quali riflessioni, quali valutazioni critiche (nel quadro della forma della ricerca-azione) hanno indotto questi mutamenti? Non è facile rispondere a questa domanda, e lo è ancora meno quando l'evoluzione verso un modello sociale di tipo familistico comporta un atteggiamento difensivo, che può arrivare alla negazione del mutamento stesso, una sempre minore tolleranza nei confronti di una istanza critica.

E riprendo qui la nota a proposito delle pubblicazioni del MCE, sulle quali a parlare della Scuola Estiva sono stati quasi sempre i responsabili della sua gestione, ai quali quindi non si può rimproverare una certa intonazione promozionale. In questo credo che siamo tributari della cultura scolastica, in cui la valutazione dell'intervento educativo si sottrae a qualsiasi forma di controllo sociale, tanto da essere affidata agli stessi soggetti che lo realizzano.

Alla stessa cultura della "resistenza" nella scuola, dove abbiamo imparato a difendere il nostro sempre più stretto territorio ("la mia classe", "le mie ore") dalle offensive che mettono in pericolo il senso stesso dell'educare, probabilmente dobbiamo la difficoltà a pensare e vivere correttamente e organicamente il rapporto tra un'istanza (il singolo operatore, il gruppo, l'iniziativa…) e il contesto che la contiene (l'organizzazione, l'istituzione…).

Non occorrono approfonditi studi di psicologia sociale e delle organizzazioni per pensare che, di fronte a profondi mutamenti che avvengono in un suo organo, l'organizzazione si debba ri-assumere la responsabilità di quella interconnessione e di quella identità complessiva che, esattamente quanto la diversità delle parti, consentono a un sistema di essere vivo e di essere se stesso. Dunque mi sembra necessario, di fronte a mutamenti che riguardano la cultura stessa della formazione, quindi della propria "ragione sociale", che l'Associazione MCE dopo dieci anni rifletta sull'esperienza della Scuola Estiva, la valuti criticamente, con strumenti adeguati, in relazione ai suoi scopi "istituzionali", per riformulare un proprio mandato rispetto al progetto di una iniziativa nazionale sulla formazione degli educatori e delle educatrici.

Credo che questo implichi il porsi collettivamente alcune domande. Ciò che si richiede alle risposte non è naturalmente che siano concordi, ma, questo sì, che si collochino dal punto di vista di un soggetto che si assume una responsabilità di formazione.

Innanzitutto: chi sono i destinatari dell'offerta di formazione?

Molte sono le figure professionali che operano in campo formativo in diversi contesti (scuole, comunità, istituzioni educative pubbliche o private, ambiti associativi di vario tipo) e con funzioni e ruoli diversi. Tra questi vi sono  "formatori/trici di 1° livello" cui è affidata la responsabilità formativa di soggetti (minori o adulti) non a loro volta formatori o educatori, e "formatori/trici di 2° livello" cui è affidata la responsabilità formativa di formatori/trici di 1° livello.

La sovrapposizione di componenti delle rispettive professionalità, la condivisione di ambiti di intervento, non può far dimenticare che è diverso formare insegnanti, formare psicopedagogisti, formare "figure di sistema", formare educatori di strada ecc.. Diverso è fare formazione a dei bambini a scuola, diverso è farla a degli insegnanti, diverso ancora a dei formatori di insegnanti. La ricorsività strutturale del rapporto formativo (quella che fa sì che ad esempio un insegnante che partecipa a un corso di aggiornamento sia formando in quanto formatore) deve costituire un elemento di complessità e non di confusione.

Con questo non si esclude la possibilità della partecipazione di soggetti di diversa professionalità come destinatari di una stessa iniziativa formativa, ma ciò non può essere indifferente nella progettazione e gestione. Una iniziativa di formazione può essere pensata in riferimento alla scuola come sistema formativo complesso, a sua volta elemento del sistema educativo sociale, ma appunto considerando la diversità e le relazioni tra le figure professionali, le funzioni, le diverse competenze relazionali, epistemologiche, progettuali, metodologiche, didattiche, organizzative, cooperative.

Anche la stessa professionalità educativa scolastica è multidimensionale e complessa: alla sua costruzione e contribuiscono varie componenti personali, relazionali, sociali, culturali, istituzionali; nessuna di esse può divenire prevalente senza pregiudicare l'insieme sistemico. La relazione formativa, proprio se la si considera nella sua specificità, è contemporaneamente e inscindibilmente cognitivo-affettivo-relazionale.

Dimensione ineliminabile, in quanto strutturale, è comunque la relazione educativa con soggetti affidati nella asimmetria della responsabilità formativa. Perciò nessuna attività di formazione di formatori/trici "di 1° livello" può escludere dal suo ambito la relazione con i soggetti loro affidati nella relazione educativa. Naturalmente molteplici sono le forme con cui questa relazione è assunta come pertinente nella proposta di formazione.

Con questo siamo al secondo punto su cui interrogarsi che riguarda l'obiettivo dell'iniziativa formativa. E qui raccolgo anche le suggestioni di precedenti interventi in questa rubrica.

Se l'obiettivo è lo sviluppo della professionalità educativa nel contesto in cui essa si colloca, l'iniziativa tenderà a sviluppare l'autonomia degli utenti, la loro capacità progettuale, produttiva e critica, attraverso forme di accompagnamento della loro attività professionale ("tutoring"). Ciò richiede una continuità e una dilatazione nel tempo dell'iniziativa formativa.

In questo quadro che posto e che funzione dare alla forma laboratorio? Inserita in un percorso dilatato nel tempo, non costituirà più solo l'occasione di incontrare ricerche di altri, ma deve rispondere a una esigenza di ricerca e sperimentazione degli utenti, di attivazione e di produzione da parte loro di "oggetti culturali" in diretta relazione con la dimensione lavorativa. In questo senso un'iniziativa formativa nazionale MCE può articolarsi in iniziative locali caratterizzate da ambiti di ricerca specifici.

E infine: in che senso, se lo si vuole, questa iniziativa è espressione della cultura del MCE come soggetto collettivo storico? E in che modo può essere il prodotto di una integrazione interculturale delle realtà territoriali e di ricerca presenti nel  movimento?