Le riflessioni che seguono
sull'evoluzione della cultura della formazione nel contesto di una
organizzazione come il Movimento di Cooperazione Educativa sono fatte dall'osservatorio
privilegiato della Scuola Estiva, sapendo bene che non è l'unica manifestazione
della formazione MCE, ma sapendo anche che, per il suo carattere nazionale e
"istituzionale", le sue dimensioni e la sua visibilità, ne costituisce
la parte più rappresentativa. Quasi dieci anni fa l'Assemblea del
MCE chiudeva l'esperienza dell'Assemblea Laboratorio e dava il via a quella
della Scuola Estiva, come iniziativa nazionale del Movimento. Un'esperienza sostituiva
l'altra con una forte impronta di discontinuità: fu una valutazione critica
dell'evoluzione della prima a costituire il presupposto della nascita della seconda.
Ciò che le teneva insieme in un unico quadro storico e di senso era la
sopravvivenza e lo sviluppo dell'organismo (l'MCE) di cui entrambe, in tempi
diversi, erano parti, organi, manifestazioni strutturali, modalità di vita
associativa. Tre elementi, oltre a quello
dell'autonomia organizzativa ed economica, caratterizzavano questa
discontinuità, e l'abbandono della metafora dell' "assemblea" e l'assunzione di quella della "scuola" in questo senso
erano significative. Un primo elemento era l'apertura. A un luogo di incontro e scambio
tra "militanti" del
movimento che ben si conoscevano tra di loro, venne contrapposta l'offerta di
formazione a un'utenza allargata e nello stesso tempo la possibilità di
incontro e di collaborazione con altri soggetti portatori di proposte
formative, esterni ma vicini al MCE. Un secondo elemento era la rottura della simmetria (già per altro
storicamente affermatasi nel MCE a partire dall'impegno di molti militanti
nelle attività di aggiornamento degli IRRSAE), il superamento della forma
dello scambio alla pari nella cooperazione verso l'assunzione piena di una responsabilità nella relazione formativa
nei confronti di persone la cui definizione come utenti era sancita concretamente,
prima ancora che simbolicamente, dal pagamento del servizio. La dimensione
della cooperazione veniva allora a collocarsi soprattutto nella ricerca-azione dell'équipe che
organizzava e gestiva l'iniziativa formativa e, semmai, a livello dei
contenuti della proposta formativa. Un terzo elemento prevedeva l'assunzione della forma del laboratorio
adulto dentro un contesto organizzativo e di senso più ampio; questo
implicava da una parte l'esplicito riconoscimento di una pluralità di culture, di tecniche, di saperi, di modelli di formazione,
contro una visione ideologica del MCE, e dall'altra, ma inscindibilmente, la
ricerca di una integrazione di
queste diversità. Non si può qui ripercorrere la storia
della Scuola Estiva cui questa rivista ha sempre dato spazio, seppure con
modalità che vorrei discutere più avanti. Mi sembra più utile fare il punto
della situazione attuale, e lo faccio a partire da quello che in qualunque organizzazione
costituisce un inevitabile indicatore: l'adesione alle proprie proposte. L'edizione '99
della Scuola Estiva ha registrato un crollo delle iscrizioni (circa 1/3 di
utenti in meno rispetto allo standard mantenuto negli anni precedenti), con
conseguente non attivazione di due laboratori su sei. Questo dato può essere valutato come
significativamente negativo oppure no. Nel primo caso non si può fare a meno
di metterlo in relazione con la sensibile riduzione, segnalata negli anni precedenti,
delle presenze di nuovi utenti rispetto ai ritorni. Poiché la Scuola Estiva
non è, per sua natura e per contratto, un luogo di ricerca, ma semmai una
offerta di formazione attraverso l'incontro con ricerche pre-esistenti,
questa tendenza rende evidente una crisi che ha il segno della chiusura, del
ripiegamento su una dimensione familistica
della cooperazione. In questo senso la domanda che si impone è se la
formazione MCE non abbia compiuto un ciclo che la riporta a un punto vicino a
quello di partenza del 91. Si può invece non ritenere
significativo il crollo delle iscrizioni, mettendo in risalto positivo la
conseguente (e del resto ovvia) semplificazione della gestione e della
organizzazione come condizione di un miglioramento di qualità del contesto
della formazione. Questo tipo di valutazione implica l'assunzione di un punto
di vista diverso da quello di una organizzazione che valuta il successo o
meno di una propria iniziativa in
relazione agli scopi che si era prefissa. Nel nostro caso si può rilevare
come questo tipo di atteggiamento contenga una rinuncia a quei presupposti,
che ho brevemente indicato prima, da cui la Scuola Estiva è nata e che ne
costituivano la sua ragione storica, il senso condiviso, oltre che il mandato
"istituzionale". Ma al di là dei dati numerici, dalla
frequentazione e, soprattutto, da una approfondita ricerca, emergono altre
evidenze che riguardano la caratterizzazione stessa dell'offerta formativa.
Sono molte e si possono organicamente collegare in un quadro interpretativo;
dovendo qui sceglierne una, direi che la forma del laboratorio adulto non ha
esaurito la sua funzione di creare condizioni per apprendere dall'esperienza
diretta e dalla sua rielaborazione; piuttosto, nell'attribuzione di
significato che gli è viene dal contesto della Scuola Estiva, così come si è
andato configurando, sembra essere diventato prevalente uno dei due aspetti
inseparabili che lo caratterizzano come "spazio transizionale",
come "area potenziale": il suo essere luogo affettivamente "protetto" cui ritornare prevale
sulla sua dimensione di luogo di
sperimentazione nella dinamica diversità-integrazione culturale e di
luogo dove sperimentarsi in riferimento ai contesti della propria professione
educativa. Naturalmente un mutamento di prospettiva
e quindi di progetto è non solo legittimo, ma necessario, in termini
evolutivi, a una organizzazione che voglia evolvere per sopravvivere.
Differentemente però da un organismo soltanto biologico, una organizzazione sociale,
un soggetto culturale, ha consapevolezza e intenzionalità (che naturalmente
non significa controllo meccanico), e quindi responsabilità, riguardo ai
propri mutamenti. La domanda allora diventa: quali
riflessioni, quali valutazioni critiche (nel quadro della forma della
ricerca-azione) hanno indotto questi mutamenti? Non è facile rispondere a
questa domanda, e lo è ancora meno quando l'evoluzione verso un modello
sociale di tipo familistico comporta un atteggiamento difensivo, che può arrivare
alla negazione del mutamento stesso, una sempre minore tolleranza nei
confronti di una istanza critica. E riprendo qui la nota a proposito
delle pubblicazioni del MCE, sulle quali a parlare della Scuola Estiva sono
stati quasi sempre i responsabili della sua gestione, ai quali quindi non si
può rimproverare una certa intonazione promozionale. In questo credo che
siamo tributari della cultura scolastica, in cui la valutazione dell'intervento
educativo si sottrae a qualsiasi forma di controllo sociale, tanto da essere
affidata agli stessi soggetti che lo realizzano. Alla stessa cultura della
"resistenza" nella scuola, dove abbiamo imparato a difendere il
nostro sempre più stretto territorio ("la mia classe", "le mie
ore") dalle offensive che mettono in pericolo il senso stesso
dell'educare, probabilmente dobbiamo la difficoltà a pensare e vivere
correttamente e organicamente il rapporto tra un'istanza (il singolo operatore,
il gruppo, l'iniziativa…) e il contesto che la contiene (l'organizzazione,
l'istituzione…). Non occorrono approfonditi studi di
psicologia sociale e delle organizzazioni per pensare che, di fronte a
profondi mutamenti che avvengono in un suo organo, l'organizzazione si debba
ri-assumere la responsabilità di quella interconnessione e di quella identità
complessiva che, esattamente quanto la diversità delle parti, consentono a un
sistema di essere vivo e di essere se stesso. Dunque mi sembra necessario, di
fronte a mutamenti che riguardano la cultura stessa della formazione, quindi
della propria "ragione sociale", che l'Associazione MCE dopo dieci
anni rifletta sull'esperienza della Scuola Estiva, la valuti criticamente,
con strumenti adeguati, in relazione ai suoi scopi "istituzionali",
per riformulare un proprio mandato
rispetto al progetto di una iniziativa nazionale sulla formazione degli
educatori e delle educatrici. Credo che questo implichi il porsi
collettivamente alcune domande. Ciò che si richiede alle risposte non è
naturalmente che siano concordi, ma, questo sì, che si collochino dal punto
di vista di un soggetto che si assume
una responsabilità di formazione. Innanzitutto: chi sono i destinatari
dell'offerta di formazione? Molte sono le figure professionali
che operano in campo formativo in diversi contesti (scuole, comunità,
istituzioni educative pubbliche o private, ambiti associativi di vario tipo)
e con funzioni e ruoli diversi. Tra questi vi sono "formatori/trici di 1° livello" cui è affidata la responsabilità
formativa di soggetti (minori o adulti) non
a loro volta formatori o educatori, e "formatori/trici
di 2° livello" cui è affidata la responsabilità formativa di formatori/trici di 1° livello. La sovrapposizione di componenti
delle rispettive professionalità, la condivisione di ambiti di intervento,
non può far dimenticare che è diverso formare insegnanti, formare psicopedagogisti,
formare "figure di sistema", formare educatori di strada ecc..
Diverso è fare formazione a dei bambini a scuola, diverso è farla a degli insegnanti,
diverso ancora a dei formatori di insegnanti. La ricorsività strutturale del
rapporto formativo (quella che fa sì che ad esempio un insegnante che
partecipa a un corso di aggiornamento sia formando
in quanto formatore) deve costituire un elemento di complessità e non di
confusione. Con questo non si esclude la
possibilità della partecipazione di soggetti di diversa professionalità come
destinatari di una stessa iniziativa formativa, ma ciò non può essere
indifferente nella progettazione e gestione. Una iniziativa di formazione può
essere pensata in riferimento alla scuola come sistema formativo complesso, a
sua volta elemento del sistema educativo sociale, ma appunto considerando la
diversità e le relazioni tra le figure professionali, le funzioni, le diverse competenze relazionali, epistemologiche,
progettuali, metodologiche, didattiche, organizzative, cooperative. Anche la stessa professionalità
educativa scolastica è multidimensionale e complessa: alla sua costruzione e
contribuiscono varie componenti personali, relazionali, sociali, culturali,
istituzionali; nessuna di esse può divenire prevalente senza pregiudicare
l'insieme sistemico. La relazione formativa, proprio se la si considera nella
sua specificità, è contemporaneamente e
inscindibilmente cognitivo-affettivo-relazionale. Dimensione ineliminabile, in quanto strutturale, è comunque la relazione educativa con soggetti
affidati nella asimmetria della responsabilità formativa. Perciò nessuna
attività di formazione di formatori/trici "di
1° livello" può escludere dal suo ambito la relazione con i soggetti
loro affidati nella relazione educativa. Naturalmente molteplici sono le
forme con cui questa relazione è assunta come pertinente nella proposta di
formazione. Con questo siamo al secondo punto su
cui interrogarsi che riguarda l'obiettivo dell'iniziativa formativa. E qui
raccolgo anche le suggestioni di precedenti interventi in questa rubrica. Se l'obiettivo è lo sviluppo della
professionalità educativa nel contesto
in cui essa si colloca, l'iniziativa tenderà a sviluppare l'autonomia
degli utenti, la loro capacità progettuale, produttiva e critica, attraverso
forme di accompagnamento della loro attività professionale ("tutoring"). Ciò richiede
una continuità e una dilatazione
nel tempo dell'iniziativa formativa. In questo quadro che posto e che
funzione dare alla forma laboratorio?
Inserita in un percorso dilatato nel tempo, non costituirà più solo
l'occasione di incontrare ricerche di altri, ma deve rispondere a una
esigenza di ricerca e sperimentazione degli utenti, di attivazione e di
produzione da parte loro di "oggetti culturali" in diretta relazione
con la dimensione lavorativa. In questo senso un'iniziativa formativa nazionale
MCE può articolarsi in iniziative
locali caratterizzate da ambiti di
ricerca specifici. E infine: in che senso, se lo si
vuole, questa iniziativa è espressione della cultura del MCE come soggetto collettivo storico? E in che modo può essere il
prodotto di una integrazione
interculturale delle realtà territoriali e di ricerca presenti nel movimento? |