Alla ricerca di una connessione tra
la matematica, nel suo sviluppo culturale, e la vita, a partire dal suo
significato biologico Questa rivista ha dato molto spazio
all'insegnamento della matematica dal punto di vista del come. È un punto di vista strettamente pertinente al mestiere
dell'educare, ma tende a lasciare fuori dal campo della riflessione una
questione altrettanto pertinente, quella che riguarda l'oggetto. Allora questa volta vorrei partire da una diversa domanda:
quale matematica insegnare e perché? Sembrano esserci due risposte, almeno
implicite, in circolazione nel mondo scolastico. La prima: si studia la
matematica per le sue applicazioni
alla soluzione di problemi [1].
È una prospettiva che va nella direzione della tecnologia intesa antropologicamente come strategia di adattamento della specie
umana. La seconda delinea una prospettiva epistemologica:
si studia la matematica in sé perché
è una delle fondamentali strutture del
pensiero (Piaget sosteneva che, a partire
dall'operare concreto sugli oggetti, due sono le direzioni di sviluppo del
pensiero del bambino: quella che dagli
oggetti porta all'astrazione delle leggi di funzionamento della realtà, e
quella che dalle operazioni va
verso l'astrazione delle strutture matematiche). La mia personale ricerca di risposte
muove da un'esigenza di connettere, come nodi di una rete, riflessioni che
sembrano appartenere a contesti molto lontani, cui pure corrispondono luoghi
della mia esperienza, parti copresenti della mia
identità. IL LINGUAGGIO DEL VIVENTE Il primo nodo emerge dall'
"ecologia della mente". Gregory Bateson
pone una fondamentale distinzione tra il rapporto cognitivo che l'umanità ha
con il mondo della materia inanimata e quello con il mondo del vivente. Per
il mondo fisico il linguaggio che si usa per organizzare la conoscenza
risponde a un criterio di coerenza logica, e, sullo sfondo, a una esigenza di
previsione degli eventi (quella per cui, al di là di tutti i discorsi
sulla fine del mito dell' "oggettività" della conoscenza, nessuno
mette le dita in una presa elettrica). Nel caso del vivente, la conoscenza
umana deve fare i conti con un mondo che si organizza, funziona, evolve,
sulla base di informazioni, e quindi "parla" un suo linguaggio; il
problema non è qui quello di "spiegare", ma di
"comprendere", se non si vuole distruggere l'unità organica di un
mondo di cui anche la specie umana fa parte. La matematica è il sostegno
fondamentale del linguaggio che l'uomo ha elaborato per descrivere il mondo
fisico e per sviluppare, a partire dalla facoltà di prevedere, la tecnologia.
Ma, se è vero che il "metodo", che a partire da Cartesio e Galileo
portò al successo di Newton, ha prodotto, insieme al progresso della tecnologia,
come faccia della stessa medaglia, la crisi ecologica (che comprende la
distruzione della natura tanto quanto le patologie dell'umanità), la
matematica pare avere poco a che fare con le scienze del vivente. Tutto ciò mi sembra collegato a
domande molto pratiche e attuali nel contesto delle ipotesi di riforma
scolastica: perché nella scuola l'insegnamento della matematica è abbinato a
quello delle "scienze", che comprendono sia le scienze fisiche che
quelle del vivente, ed è distinto dalla "educazione tecnologica"
(cui invece lo collega il recente progetto ministeriale SeT
"Scienza e Tecnologia")? e perché l'insegnamento delle "scienze
umane" è abbinato con la letteratura italiana? IN PRINCIPIO ERA LA GEOMETRIA Il secondo nodo viene dal mondo dei
saperi scolastici. La geometria è una parte della matematica? Storicamente,
nel rapporto con la scienza all'interno del grande progetto di conoscere il
mondo, la matematica, intesa come teoria dei numeri e delle equazioni, ha soppiantato
la geometria come modo di pensare alternativo
a essa. Galileo è l'ultimo che tenta di utilizzare il linguaggio analogico delle figure elaborato dai
Greci [2]
per spiegare l'astronomia: <<… i
caratteri [del libro della natura] son triangoli, cerchi, ed altre figure
geometriche…>> Soltanto pochi anni dopo Robert Boyle sostiene che
<<l'alfabeto in cui Dio scrisse il mondo sono i principi matematici e
meccanici.>>. Non si tratta solo di nomi: Galileo si scontra con
l'insufficienza del linguaggio geometrico quando la sua scienza non comprende
più solo posizioni e traiettorie, ma anche forze e velocità. Il trattamento
delle quantità delle variazioni richiedeva un nuovo linguaggio. Non a caso è
Newton a elaborare la nuova matematica del calcolo infinitesimale nei "Philosophiae
naturalis principia mathematica",
uno dei testi storicamente più importanti nella società scientifica. La geometria per l'astronomia,
l'algebra per la fisica: quale matematica dunque per una scienza del vivente
e del sociale? Nessuna? Ci affidiamo dunque alla psicoanalisi per comprendere
la sociologia e l'economia? E
l'etologia, la fisiologia comparata, la genetica...? L'ESTETICA Terzo nodo. <<… oggi possiamo dire che a fianco della bellezza astratta
della teoria, c'è anche la bellezza plastica della curva, una bellezza
stupefacente. Dunque dentro questa matematica molto elegante dal punto di
vista formale, molto bella per gli addetti ai lavori, c'era anche una
bellezza fisica, accessibile a chiunque.>> [3] Si legge spesso nei libri che il tale
grande matematico è passato alla storia per aver trovato una soluzione
"più elegante" a un problema; e spesso si tratta di un problema di
matematica "pura", cioè una faccenda con scarse prospettive di
applicazione tecnologica, un "rompicapo" piuttosto, qualcosa che
nella nostra esperienza forse potremmo collocare, se non sembrasse
irrispettoso, nel campo dell' "enigmistica". Questo aspetto di
gratuità e di sfida mi ha sempre mantenuto viva l'attenzione alla componente
ludica della matematica (sotto-nodo: il gioco è anche dinamica fondamentale
della natura nella sfida della sopravvivenza, tra "il caso e la necessità",
tra i vincoli delle "leggi" e la componente aleatoria, a generare
la contingenza della "storia naturale"). Come insegnante, questa dimensione
ludico-estetica l'ho ampiamente utilizzata per la didattica, con una riserva
mentale però. Nei momenti in cui vedevo i miei allievi lottare duramente
contro il "teorema di Pitagora" tornava un pensiero: forse, molto
più che la briscola, la matematica diventa un gioco creativo, con una forte
motivazione estetica, solo per chi ne possiede una grande competenza. Poi è
arrivata Marta, studentessa del secondo anno del liceo artistico, che io
aiuto perché dice, come troppi altri, di "non capire niente di
matematica". Con lei ho visto in azione anche per la matematica qualcosa
che sapevo valere per l'arte: l'estetica non sta solo dalla parte di chi
costruisce un oggetto, ma anche di chi lo guarda (ascolta ecc.) e lo
manipola. Da Marta ho imparato che l'estetica può essere un fattore decisivo
nel modo di comprendere (con lei non c'è spazio per un lavoro
"creativo" essendo l'oggetto di lavoro strettamente predeterminato
dal programma scolastico). In quei passaggi decisivi della comprensione, nei
momenti in cui il suo viso contratto di studentessa alle prese con prove
incomprensibili si distende in un sorriso, il momento del "Aaah!", la creatività appare come scelta di percorsi
mentali in cui la sensibilità artistica gioca direttamente (il modo
"barocco" di risolvere un sistema di equazioni ad esempio), come
intuizione improvvisamente luminosa che passa attraverso la percezione di un
"ritmo", di una "figura" che emerge dallo sfondo, nel
momento in cui si osserva il contenuto con un' "inquadratura" diversa
da quella del libro di testo. <<Jeannette ha comprato quattro riproduzioni di quadri,
tutte delle stesse dimensioni. Vuole sistemarle sul muro a eguale distanza l'una
dall'altra. Tenta un poco, senza utilizzare gli strumenti di misura. Ed ecco
fatto, tutto è sistemato con precisione. Mi dicono: "lei ha molta
esperienza di misurazione; ha un'enorme pratica" - "Nient'affatto!"
- "Allora ha il senso dell'armonia!">> [4] IL METODO NATURALE Il quarto nodo si colloca nel
contesto dell'insegnamento. Il brano precedente compare nel libro in cui Paul
Le Bohec presenta il suo "metodo naturale per
l'apprendimento della matematica" in cui l'iniziativa è lasciata alla
creatività dei bambini, e ciò che caratterizza il comportamento
dell'insegnante non è soltanto la sua regia, ma un suo "scandaloso"
silenzio rispetto all'oggetto. Paul sottolinea il ruolo essenziale del
gruppo: << … bisogna riconoscere
che spesso si ha bisogno degli altri per sbloccarsi […] grazie al gruppo si
possono scoprire nuove prospettive, formarsi nuove strategie, riconsiderare i
propri atteggiamenti.>>[5].
Ciò che mi interessa qui è la dimensione epistemologica
del lavoro in gruppo: <<Le cose
non sono mai semplici, ma bisogna fare buon viso a questa complessità inevitabile.
In una classe dove ciascun bambino dà in gran quantità al gruppo i suoi
"oggetti matematici", ciascuno vede aumentare le occasioni di
trovarsi fornito di leggi interessanti ed efficaci. È sufficiente versare
questi ingredienti nelle macchine pensanti automatiche umane. E siccome invece
di un solo individuo che lavora, si ha tutta una comunità, si hanno molte
carte vincenti in mano per gestire al meglio questa ineluttabile complessità.>>[6].
(BRAIN)STORMING Il quinto nodo emerge dal mondo della
tecnologia più spinta. Uno studioso americano di "Intelligenza
Artificiale", James Bailey, scrive: <<Sappiamo
che gli stormi possono cambiare direzione in modo improvviso e coerente
all'apparire di una minaccia. L'assunto che tutti gli uccelli ubbidiscano
agli ordini di un capo rimase incontrastata sino alla fine degli anni Ottanta
[…] Poi una simulazione intermatematica mostrò che […] basta che ogni uccello
si conformi semplicemente al comportamento degli uccelli più vicini perché il
comportamento coerente emerga in modo spontaneo.>>[7].
Ma che cos'è una "simulazione intermatematica"? La nascita dei computer elettronici
avviene nel contesto bellico per sostituire "calcolatori" umani
nella esecuzione di calcoli di tiro. Si tratta di un tipico problema
"newtoniano". La matematica delle equazioni permette di calcolare,
e quindi di prevedere, l'effetto
che una serie di variabili tra loro indipendenti e progressivamente meno
influenti hanno sull'incognita. I computer incorporano questa matematica
sotto forma di programmi fissi in grado di trattare dati variabili (input).
Ma la struttura fisica e logica dei computer è quella di unità semplici
interconnesse; per fare in modo che le operazioni semplici eseguite dai
singoli circuiti "di basso livello" diano alla fine un risultato
"di alto livello" occorre fare in modo che ognuno di essi venga attivato
in punti precisi di una dettagliatissima sequenza
di istruzioni, così complicata da richiedere ormai più livelli di
linguaggi intermedi per essere descritta in modo gestibile da un programmatore
umano. Lo sviluppo dei computer è andato
nella direzione di rendere incomparabilmente più veloce l'esecuzione di tutte
le operazioni necessarie e incomparabilmente più vasta la capacità di memoria
necessaria per contenere le istruzioni e per gestire tutti i dati del calcolo.
Ma non è cambiato il tipo di pensiero matematico che essi implementano. È per
questo che, per quanto potenti essi diventino, non sono utili per prevedere
la dinamica del volo di uno stormo di uccelli, né l'andamento della borsa,
che sono questioni non complicate
bensì complesse. Nel fallimento del
programma meccanicista di estendere la scienza newtoniana a tutto lo scibile,
la matematica ha un suo posto. Le equazioni hanno successo per tutte le
situazioni assimilabili al funzionamento di una macchina (Adam
Smith, seguace di Newton, aveva esattamente questa idea dell'economia), non
invece quando le variabili non sono indipendenti tra loro, quando gli effetti
retroagiscono sulle cause, quando gli elementi in gioco sono interconnessi a
rete, quando sono presenti elementi aleatori (ad esempio l'iniziativa
individuale), quando l'organizzazione del sistema è tale che le leggi valide
per le unità elementari (ad esempio individui) non sono le stesse che valgono
per unità di ordine superiore (ad esempio gruppi sociali, istituzioni ecc.):
ecco perché le equazioni non risolvono la maggior parte dei problemi,
complessi appunto, della realtà biologica e sociale. L'idea che Bailey propone, sulla base
di una esperienza ancora poco nota, è che si possono ottenere migliori
risultati in questi campi se si fanno funzionare i computer in un modo più
organico alla loro stessa struttura interna. Si tratta di lasciare che
tantissime piccole unità funzionali elaborino piccoli pezzi di soluzione in modo
sostanzialmente casuale all'inizio, e che queste soluzioni vengano sottoposte
a un processo di ricombinazione e selezionate sulla base di una verifica del
loro grado di approssimazione alla soluzione del problema. Il computer
"impara" dai propri risultati modificando continuamente quello che
ormai non si può più chiamare il proprio "programma". Si tratta di
processi che, per la quantità enorme di operazioni, richiederebbero un tempo
cosmico per una mente umana, che funziona in modo sequenziale, una operazione dopo l'altra, ma che non
costituiscono un problema per un computer in grado di far funzionare "in parallelo", cioè simultaneamente,
milioni di circuiti iperveloci. Al posto della matematica
di Newton questi computer incorporano le "intermatematiche", il
"metodo Montecarlo", la "logica fuzzy",
insomma forme di matematica e di logica nuove ma che hanno qualche radice e
qualche antenato dimenticato nella storia del pensiero occidentale. UN GRANDE GIOCO Ma è venuto il momento di tentare di
tirare i fili di questa rete. Il bandolo sporgente, la parola chiave che
emerge alla mia attenzione in questo senso è "evoluzione", un processo
di cui Bateson evidenzia l'analogia con
l'apprendimento, che Charles Darwin vedeva articolarsi in due fasi: la
variazione come fonte di materia prima del cambiamento, e la selezione
naturale che gli impartisce una direzione. Un processo in cui lo spreco che
si ha nel non convergere verso la
soluzione, e nel produrre innumerevoli soluzioni "errate", è compensato
dalla disponibilità di soluzioni pronte per un adattamento creativo a
situazioni impreviste. Questa "logica evolutiva"
riguarda il mondo biologico: <<È un chiaro errore, anche se deplorevolmente
comune, supporre che l'utilità corrente di un carattere consenta di formulare
un'inferenza sulle ragioni della sua origine evolutiva. L'utilità corrente e
l'origine storica sono cose ben diverse. Ogni carattere, indipendentemente
dal come e dal perché si sia evoluto in origine, diviene disponibile per la
cooptazione ad altri ruoli, spesso sorprendentemente diversi.>>[8].
E ciò avviene perché un discorso sulla biologia assomiglia meno a un trattato
di fisica che a una "storia"
<<Il problema risiede nella nostra concezione semplicistica e
stereotipata della scienza come fenomeno monolitico fondato sulla regolarità,
sulla ripetizione e sulla possibilità di predire il futuro. Questa formula
può essere valida per scienze che si occupino di oggetti meno complessi e
meno vincolati a una storia di quanto non sia la vita.>> [9]. Una logica evolutiva è implementata nel
funzionamento dei computers di Bailey, capaci di
"apprendere", cioè di modificare il proprio software attraverso la
variazione e la selezione, con dinamiche di mutazione, ricombinazione e
"deriva genetica", e per questo più capaci di simulare i fenomeni
della realtà, dalle piene del Nilo allo sviluppo embrionale, dalla ricerca
del cibo da parte delle formiche alla dinamica dei prezzi, che sono limitati
da leggi di possibilità/impossibilità, ma intrinsecamente imprevedibili per
l'influenza degli elementi aleatori, e sono perciò dominati dalla contingenza
storica. Una dinamica evolutiva è al cuore del
dispositivo pedagogico del "metodo naturale" di Paul Le Bohec, capace di produrre una grande variazione nelle
idee: <<…la creazione dei bambini
è aperta, essi non si preoccupano di creare degli strumenti, dei modelli. Ma
quando si confronta con la realtà quanto essi hanno ideato, ci si accorge che
degli elementi della realtà stessa si trovano presi nella rete. Ma non sono
stati programmati. La profusione di strade che possono aprirsi vanno
evidentemente oltre il quadro della stessa matematica.>>[10]. Della creatività matematica parlano
anche i libri di storia della scienza: è ormai nota la vicenda emblematica
della geometria non-euclidea, nata sotto il segno estetico della ricerca di eleganza
nel tentativo di dimostrazione e di armonia
nella costruzione del sistema teorico, prodotto di spreco dell'evoluzione
del pensiero matematico, "disadatta" perché inapplicabile ad alcuna
realtà nota, e divenuta "la più adatta" nel contesto creato dalla
scoperta di una nuova realtà, quale quella descritta dalla teoria della
relatività. I "frattali" di Mandelbrot,
che sembrano nati dalla mente di un artista che gioca con i mezzi
informatici, costituiscono la più efficace descrizione matematica del corso
di un fiume, della chioma di un albero, della linea costiera, della
formazione delle nuvole… Ma se, nella sua gratuità, non
risponde a un criterio adattativo, dove cercare la legge della creatività?
Forse là dove l'evoluzione mostra la sua natura di "gioco", non
solo come sfida, come dinamica contingente tra necessità delle leggi e
aleatorietà del caso, ma anche come espressione di una estetica immanente,
profonda e inconsapevole, che connette la natura biologica con la forza
creatrice del nostro pensiero: <<Per
il poeta la primula può essere qualcosa di più. Avanzo l'ipotesi che questo
di più sia in realtà un riconoscimento autoriflessivo. La primula somiglia a
una poesia e poesia e primula somigliano entrambe al poeta. Quando guarda la
primula, il poeta apprende qualcosa del sé creatore.>>[11] UN SOGNO DI
RIFORMA A partire dalla matematica basata
sulla dinamica variazione-(interconnessione-)selezione, Bailey propone uno
scenario di sviluppo culturale in cui milioni di ricercatori dilettanti,
dotati di computer ormai capaci di processare grandi quantità di dati, immettono
i risultati delle loro ricerche locali in uno spazio comune dove, per ricombinazione
e selezione su base estetica, possono formarsi immagini più adeguate del
mondo in cui viviamo. Forse è una immagine "postmoderna" di
cooperazione: non so se corrisponde a quella della comunità dei bambini di Le
Boehc, sicuramente è una immagine in cui, come dice
Whitehead: <<L'errore
è il carattere che contraddistingue gli organismi superiori, ed è il maestro
grazie al quale si verifica una continua evoluzione>>. Immaginare una matematica evolutiva
nella scuola significa forse anche l'insegnamento di nuove matematiche visto
che <<Le matematiche tradizionali
fondate sulle equazioni possono condurci a ignorare comportamenti che operano
simultaneamente in parallelo e comportamenti per i quali è importante la
storia.>>[12] e che, una volta installatosi nel
pensiero, il ragionamento sequenziale lascia poco spazio a una matematica
"parallela". Ma intanto, qui e ora, vuol dire un'epistemologia evolutiva: nel modo di
pensare all'apprendimento della matematica, e di conseguenza nel modo di pensare
un dispositivo per l'insegnamento della matematica basato sull'ascolto, in
cui, come dice Paul Le Bohec, l'insegnante "non si precipiti" a dare le
soluzioni note (limitate pesantemente dalla sua cultura). L'ultimo libro
postumo di Bateson, in cui il tema dell'estetica ha
un posto centrale, si intitola "Dove gli angeli esitano" in riferimento
a un verso di Pope "perché gli
stolti si precipitano là dove gli angeli esitano a metter piede". |
[1] La pratica dell'economia è un luogo dove il nostro
immaginario colloca la matematica, là dove abitano i "ragionieri"
(curiosa questa vecchia parola che assimila il "calcolare" al
"ragionare": a dirci che le applicazioni pratiche (e mercantili)
della matematica sono il cuore del pensiero razionale moderno?
[2] Quanto ha influito la disponibilità, per gli
Egiziani prima e per i Greci poi, di un supporto cartaceo su cui è possibile
utilizzare la tecnica della riga e del compasso, nello sviluppo del linguaggio
della geometria, là dove a Babilonia i caratteri cuneiformi su tavolette di argilla
malcotte vedevano il sorgere del linguaggio dei
simboli numerici?
[3] Benoît Mandelbrot, "La geometria della natura", Theoria
1989.
[4] Paul Le Bohec, "Il testo libero di matematica",
[5] Idem.
[6] Idem.
[7] James Bailey, "Postpensiero",
Garzanti 1998.
[8] Stephen Jay Gould, "Quando i cavalli avevano le dita", Feltrinelli 1984
1995.
[9] Idem.
[10] Paul Le Bohec, "Il testo libero di matematica",
[11] Gregory Bateson, "La sacra unità", Adelphi
1997.
[12] James Bailey, "Postpensiero", Garzanti 1998.