Marcello Sala

EVOLUZIONI IN CORSO

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LA NUOVA EOCOLOGIA

n. 4 / 2009

Editoriale La Nuova Ecologia

 

Fin dal 1838, poco dopo il rientro dal viaggio sul Beagle, vent’anni prima de L’origine delle specie, Darwin era arrivato a una fondazione della “sua teoria”: poiché nascono più individui di quanti possano essere mantenuti in vita delle risorse disponibili, si crea una competizione che discrimina la sopravvivenza e la possibilità di riprodursi in base alle diversità di caratteri; se i caratteri vantaggiosi nella relazione con l’ambiente sono ereditari, il risultato sarà una loro maggiore frequenza nelle generazioni successive.

programma aperto

Ma neppure nella maturità Darwin conosceva le leggi della variazione né dell’ereditarietà, se non quelle empiriche che gli venivano dalla pratica di allevamento. Fin dalla sua formulazione dunque la teoria darwiniana era un programma di ricerca aperto e non qualcosa di “chiuso” che si potesse falsificare con qualche esperimento cruciale. E non perché non si possano fare esperimenti o perché Darwin non abbia fatto “previsioni rischiose”. Nella sua onestà di scienziato più volte ha scritto che, se una determinata obiezione fosse stata corroborata dai fatti, la sua teoria sarebbe stata messa in crisi.

In effetti alcune delle sue previsioni si sono rivelate errate, eppure la teoria è sopravvissuta, perché non si trattava di elementi fondamentali. Nell’evoluzionismo si può identificare un nucleo centrale in cui si trova la teoria della discendenza di tutti i viventi da antenati comuni attraverso la riproduzione differenziale (“selezione naturale”), e, attorno, una “cintura” di teorie ausiliarie, come il gradualismo, ovvero l’idea che l’evoluzione avviene accumulando, attraverso le generazioni, impercettibili cambiamenti, o l’adattazionismo, che cerca unicamente nell’adattamento all’ambiente la spiegazione dei cambiamenti.

Le nuove conoscenze non disponibili all’epoca di Darwin hanno esteso il nucleo senza metterlo in crisi. L’integrazione della genetica mendeliana con il corpo della teoria dell’evoluzione, costituisce la prima fase della Sintesi Moderna della prima metà del ‘900. Il programma di ricerca si estende e si articola occupandosi della mutazione (quale base materiale con quale dinamica provoca differenze tra individui), della deriva (come eventi legati a migrazioni di piccole popolazioni producono una variazione nella composizione della popolazione per puri effetti statistici senza vantaggi selettivi), della macroevoluzione (come si formano nuove specie in modo diverso dal cambiamento graduale dei caratteri degli individui all’interno di una specie).

Questo porta a valutare l’evoluzionismo come un “programma di ricerca progressivo” (Lakatos), ossia una vasta rete di idee interconnesse, che non solo spiegano dei campi di fenomeni, ma pongono nuove domande e aprono nuovi filoni di ricerca, con scoperta di nuovi fatti, a una intera comunità di scienziati.

nuove vecchie idee

Dopo 150 anni il nucleo regge ancora perfettamente, mentre la ricerca ha modificato significativamente la cintura, soprattutto relativizzando alcune convinzioni e in alcuni casi rimettendo in gioco intuizioni dello stesso Darwin, a volte abbandonate e rinnegate, come quando lo sviluppo della teoria della selezione naturale e l’opposizione alla teoria delle estinzioni di Couvier lo fecero propendere per il gradualismo, contro la sua convinzione originaria (vedi i Taccuini del 1838) di una formazione di nuove specie “per salti”, ovvero per cambiamenti che coinvolgono parti consistenti e coordinate della struttura corporea, e per isolamento geografico.

Al gradualismo si è sostituita l’idea di una pluralità di ritmi; l’ipotesi degli “equilibri punteggiati” rende conto dei dati paleontologici che mostrano lunghi periodi di “stasi”, in cui le specie restano invariate, “punteggiati” da periodi di intensa modificazione con formazione di nuove specie.

L’adattamento come unica spiegazione del cambiamento evolutivo si è ridimensionato in favore di una maggiore considerazione delle ragioni “interne”: la struttura non solo è risultato di cambiamenti su base funzionale adattativa, ma anche vincolo ai cambiamenti possibili.

evo-devo

Una intuizione di Darwin torna nell’exaptation, in cui si considera la possibilità che i cambiamenti evolutivi avvengano sulla base di strutture non adattative presenti nell’organismo come effetti collaterali di precedenti cambiamenti. Sempre in questo ambito si colloca anche un filone di ricerca che prende corpo negli anni ’80 del ‘900 sotto il nome di evo-devo (evolutionary developmental biology).

Nei suoi primi lavori Darwin non ha usato la parola evoluzione proprio perché ai suoi tempi la si riferiva allo sviluppo dell’organismo, ma già aveva individuato nell’embriogenesi un oggetto privilegiato di ricerca, a partire dall’osservazione che gli animali appartenenti a phyla molto diversi, dai pesci ai rettili, dagli uccelli ai primati, solo una volta sviluppatisi nell’adulto acquisiscono le differenti forme tipiche, mentre i loro embrioni sono difficilmente distinguibili, e che questa similitudine non può essere messa in relazione con le condizioni ambientali, che sono molto diverse.

Per l’evo-devo, se lo sviluppo è la modificazione dell’organismo nel tempo della vita individuale, l’evoluzione è una modificazione, attraverso il succedersi delle generazioni, dei tempi e della organizzazione di quel processo di sviluppo; dunque due livelli distinti in relazione; per entrambi, e non solo per l’evoluzione, il cambiamento scaturisce dall’interazione con l’ambiente.

Alla fine del XX secolo nuove tecniche di analisi del DNA hanno corroborato il nucleo stesso del darwinismo, affiancando alle prove paleontologiche della discendenza da antenati comuni di tutte le forme viventi le prove rilevabili dall’accumulo delle mutazioni, permettendo una ricostruzione più puntuale degli alberi filogenetici.

Questa capacità di modificarsi e di essere fecondo, mostra come ogni chiacchiera su un evoluzionismo darwiniano “superato”, o addirittura falsificato, sia solo una presa di posizione che ha radici ideologiche e non nel merito di un dibattito scientifico sulla base di una conoscenza dei contenuti.