Milano, 17 marzo 2004, seminario I.R.R.E. Gli
strumenti della progettazione didattica: dal
curricolo al piano di studi personalizzato STRUMENTI PER UN CURRICOLO CONTINUO DI EDUCAZIONE SCIENTIFICA (Progetto
Prometeo) Marcello
Sala Premessa Il
contesto di ciò che segue è il lavoro di uno dei gruppi del progetto
Prometeo. Per
motivi che hanno a che fare con la formazione degli insegnanti e con la composizione
del gruppo (insegnanti di ordini di scuola diversi) questo gruppo ha scelto
non di partire con la progettazione comune di un curricolo continuo di
educazione scientifica, ma di arrivare al discorso sul curricolo
attraverso la rielaborazione delle esperienze degli/delle insegnanti relative
alla programmazione e alla gestione delle loro attività didattiche. All’interno
di questo percorso il problema del gruppo è stato quello di tenere insieme
due dimensioni di lavoro: una più vicina alla pratica scolastica (programmazione
e sperimentazione di spezzoni di curricolo di scienze con una continuità tra
gli ordini di scuole) e un’altra che cominciasse a dare forma ad una “cultura
della continuità”. Il laboratorio come contesto di
apprendimento Il
Progetto Prometeo riguarda la didattica nel laboratorio scientifico; è
necessario dunque partire da qui: ciò che seguirà, anche se può avere valore
generale, è stato ricavato in questo contesto. Gli/le insegnanti di Prometeo hanno messo a fuoco le
caratteristiche della didattica del laboratorio a partire dalla esperienza
fatta di persona come utenti di laboratori al Museo della Scienza e della
Tecnologia. Possiamo qui soltanto accennarvi: - le
valenze relazionali e affettive (ad esempio lo “spiazzamento cognitivo”,
che è cruciale nei processi di apprendimento, può essere fonte, nello stesso
tempo, di energia motivazionale e di disagio) - la
polarizzazione tra esplorazione libera, cui corrisponde un ruolo
dell’insegnante come risorsa a disposizione, e scoperta guidata,
cui corrisponde una funzione di contenimento cognitivo - il
ruolo centrale delle domande nella costruzione di conoscenza - la
dimensione manipolativa particolarmente stimolante sul piano
dell’educazione tecnica - la
polarizzazione tra una dimensione ludica che ripropone il fondamentale
rapporto tra gioco e apprendimento e una dimensione più disciplinare e
curricolare che risponde all’esigenza di “rimettere un po’ d’ordine” a
livello teorico, di ricollocare nelle loro relazioni reciproche gli oggetti
cognitivi oggetto di esplorazione -
il maggior “rischio” della situazione
di laboratorio dal punto di vista del “controllo” del processo, della
verifica dell’apprendimento -
l’organizzazione del gruppo rispetto
al compito Questi ultimi due punti rimandano ad
un tema di fondamentale interesse. Il contesto del laboratorio, tanto più
quanto maggiore è lo spazio di iniziativa lasciato ai bambini, è quello di
una costruzione sociale di conoscenza. I termini usati insistono
sull’aspetto della contingenza dei percorsi cognitivi, sulla
conoscenza come relazione tra soggetto e oggetto, sul fatto che
l’apprendimento è un fatto sociale, non soltanto perché avviene in un
contesto interattivo, non soltanto perché la conoscenza del gruppo è maggiore
della somma delle conoscenze individuali, ma perché, ad un qualche livello di
senso, il gruppo come tale è soggetto di conoscenza. Ciò significa che diventa estremamente
difficile verificare l’apprendimento in contesti differenti, soprattutto se
riconducibili ad una “interrogazione”, che a partire da domande “illegittime”
cerchino di misurare l’aderenza di una risposta ad una risposta attesa, più o
meno formalizzata. D’altra
parte diventa estremamente difficile verificare l’apprendimento individuale
in due sensi: -
un contributo personale
alla costruzione collettiva di conoscenza non corrisponde ad un possesso
della conoscenza uniforme per qualità e forma in tutti i soggetti
partecipanti; questa uniformità può essere avvicinata (e non raggiunta) attraverso
quel processo che porta dalla costruzione “situata” di conoscenza ad un “sapere”
storicamente consolidato e socialmente condiviso da una più ampia comunità -
il contributo
personale alla costruzione collettiva di una conoscenza è un contributo
appunto, un elemento di sistema, che vive nella differenza e
nell’interconnessione con gli altri elementi, senza questo contesto perde
senso. Il
discorso vale in generale per la cultura ed è il problema fondamentale di
senso della scuola: attraverso quali processi avviene l’ “in-culturazione” di
un giovane membro di una comunità sociale? Strumenti
Gli strumenti usati nella relazione di
insegnamento-apprendimento nel contesto dei laboratori scientifici si possono
ricondurre d alcune tipologie: -
Registrazioni da parte dell’insegnante
del lavoro fatto con i bambini-ragazzi. L’insegnante qui si
limita a registrare e a dare forma scritta o grafica a ciò che i
bambini-ragazzi hanno prodotto nel corso del lavoro come risultato
dell’azione, come commento “in diretta” dell’azione, come commento a
posteriori dell’azione, come prodotto di un’azione meta-cognitiva rispetto
all’azione. -
Osservazioni dell’insegnante. Qui
l’insegnante aggiunge annotazioni, commenti, interpretazioni, valutazioni dal
proprio punto di vista. -
Schede di lavorazione. Sono
materiali forniti ai ragazzi come indicazioni di lavoro e implicano una loro
autonomia nella gestione. -
Relazioni dei bambini-ragazzi. Sono
materiali prodotti direttamente come ricostruzione del lavoro fatto. Le forme
possono variare da quelle più aperte di una relazione “narrativa”, anche
sotto forma grafica, a quelle più chiuse di una scheda che prevede delle voci
“obbligatorie”. In mezzo il “verbale” la cui forma non è determinata a priori
ma che è sottoposto a procedure di revisione collettiva. -
Esercizi di verifica. Si
tratta di materiali in cui è richiesto un qualche tipo di prestazione da
parte degli alunni su quanto appreso nel laboratorio. -
Materiali per esposizioni. Sono
materiali destinati alla presentazione ad un pubblico per documentare, illustrare
il lavoro fatto. Si presentano nella forma tradizionale del “cartellone”, ma
anche di software, oppure come oggetti e strumenti costruiti e/o utilizzati
nel laboratorio. Vengono utilizzati anche in situazioni di interazione con il
pubblico: in casi come quello della
manifestazione “Scienza under 18” si tratta di riproporre ad altri
attività svolte in laboratorio. -
Osservazioni esterne.
Sono effettuate da osservatori esterni alla vita della classe ma a
conoscenza, in vario grado, del contesto. Dalle esperienze fatte dal gruppo
nascono domande sulla relazione tra lo strumento usato e l’informazione ricavata.
Che tipo di conoscenza del processo di apprendimento si può ricavare in relazione
all’attività di monitoraggio o di rielaborazione del lavoro, alle consegne,
ai materiali, alle forme comunicative (scritto e orale) e alla loro gestione
(revisione, esposizione, discussione…)? E che tipo di informazione in relazione al tipo di mediazione? ad esempio,
l’insegnante che registra ciò che emerge attraverso il filtro personale della
propria attenzione, che cosa coglie dell’andamento complessivo e collettivo
del processo? e, all’opposto, come attribuire significati attraverso una
registrazione formale e strutturata se manca la consapevolezza del contesto
che viene dalla partecipazione personale? Nella
pratica gli strumenti usati rispondono esigenze diverse: -
la costruzione di conoscenza se
permettono il passaggio dall’esperienza alla rappresentazione (molti di essi
si possono riferire alla meta-cognizione, che appare come un processo ricorsivo,
che ritorna a nuovi livelli sui propri prodotti) -
la
verifica, o perché questa è la loro funzione esplicita o perché
permettono di raccogliere informazioni sull’efficacia del percorso e sulle
risposte dei singoli soggetti -
la socializzazione, se vengono
utilizzati per comunicare risultati e significati del proprio lavoro, assumendo
come interlocutori altri soggetti (genitori, territorio, altre classi, altri
insegnanti…) Documentare comunicare La scelta
da parte del gruppo non è stata quella di un percorso lineare, programmazione-esecuzione-verifica, ma di una
“ricerca-progettazione" che si alimenta dalla rielaborazione delle
esperienze; in questo contesto diventano essenziali strumenti di documentazione
del lavoro da utilizzare in contesti di comunicazione. L’oggetto della ricerca è
il sistema apprendimento-insegnamento, perciò nell’osservare i
percorsi fatti e nel riflettere su di essi le pratiche degli insegnanti e
quelle degli allievi possono essere distinte ma non separate. Per la
documentazione e la valutazione importante è il risultato stesso delle
attività di laboratorio: conoscendo il contesto, l’oggetto prodotto (materiale
o cognitivo) contiene informazioni sul processo. Creando spazi, strutturati
o no, per la comunicazione relativa all’attività si dà la possibilità di
emergere anche ad elementi imprevisti del processo cognitivo, individuale o
collettivo. È l’attenzione dell’insegnante, la sua capacità di “ascolto”
che può renderli significativi (per la valutazione, ma anche, se rimessi in circolo,
per la costruzione della conoscenza). Progettare
La
scelta di rinunciare ad un processo lineare, del tipo programmazione-esecuzione-verifica,
non significa che chi ha responsabilità e intenzionalità educativa non si preoccupi
di verificare liniti-risorse prima che il processo inizi. Anzi, in un
contesto di apprendimento che prevede esplorazione diretta, che punta sullo
spiazzamento, che apre alla contingenza, curare le condizioni è ancora
più importante (“attesi imprevisti”). Se
il viaggio può essere una metafora per il “curricolo continuo”, che era
l’oggetto del Progetto Prometeo, si può scegliere tra il viaggio organizzato
“tutto compreso (ed imprevisti esclusi)” da un’agenzia turistica e il percorso
vissuto nel tempo e nello spazio che ricostruisce il proprio significato e la
propria identità narrandosi come viaggio. Ma anche nell’alternativa più
esplorativa nessuno partirebbe senza “fare i bagagli” e raccogliere
informazioni. Una
mappa per percorsi di conoscenza
Scelto un campo di fenomeni (in questo caso di
“Prometeo” riconducibili alla luce) come esempio di “territorio” di
esplorazione scientifica, il gruppo ha tentato di disegnarne una “mappa”.
In un primo momento si è scritto tutto quanto affiorava alla memoria relativamente
alle esperienze fatte dagli/dalle insegnanti del gruppo ai laboratori del
Museo: erano oggetti di natura diversa, sparsi tra il livello dei fenomeni osservati
e quello delle concettualizzazioni. Quando si è cercato di organizzare tutto ciò in un
sistema, ci si è resi conto che ogni oggetto può essere messo in relazione
con qualunque altro, ma la natura di questa relazione è diversa a seconda del
punto di vista che di volta in volta si assume; sono così contemporaneamente
possibili più strutture d’ordine e ne nascerebbe una rappresentazione
troppo complessa. È più utile allora, riportando al centro la relazione
di apprendimento-insegnamento, partire da ciò che i bambini-ragazzi
percepiscono, osservano, individuano come fenomeno, delimitano come sistema,
comprendono in una “spiegazione”. Il campo di esperienza viene allora organizzato
a partire da nuclei centrali da cui si aprono possibili direzioni di espansione.
I punti di partenza corrispondono alle prime
discriminazioni che il bambino piccolo opera a livello percettivo e che sono
fortemente caricate a livello affettivo, come luce/buio o i colori. Se la
percezione è messa in moto da una variazione, da una differenza, è l’osservazione
che può permettere di individuare qualità che variano in modo ordinato. Il
passo successivo può essere la quantificazione e l’introduzione di
scale di misura. Questo processo si ripete ciclicamente a livelli di discriminazione
dei fenomeni sempre più sottili che introducono progressivamente al
linguaggio della scienza. Ma i
piani su cui si dipana questo processo sono molteplici; ad esempio: -
sul piano della percezione
dalla primaria discriminazione luce/buio si può arrivare all’ombra con le sue
variazioni di intensità, di forma, di grandezza. -
sul piano delle esperienze si
può passare dalla fissazione di una percezione spontanea, attraverso
l’attenzione e la comunicazione, alla esplorazione guidata, alla
sperimentazione rigorosa. -
sul piano dell’epistemologia
procedendo dai nuclei centrali lungo la direzione di sviluppo alimentata dalle
domande sul “come?” (descrizione) e sul “perché?” (spiegazione),
ad una maggiore discriminazione dei fenomeni corrisponde uno sviluppo
concettuale, una formalizzazione delle rappresentazioni, una articolazione di
teorie e inevitabilmente si incontrano quegli “oggetti mentali” che sono
tipici della strumentazione scientifica, ma che hanno un loro sviluppo autonomo
nel campo dalla geometria e dalla matematica come direzione, angoli, proporzionalità,
simmetrie ecc. Il risultato di questo lavoro è una specie i ragnatela
su cui i percorsi possibili sono innumerevoli: alcuni sono stati realizzati
nei laboratori delle scuole. Ci si deve accontentare di
mappe parziali, esattamente come succede con le mappe cartografiche, che sono
abbastanza fedeli quando il territorio è limitato, mentre vanno incontro a
incongruenze e irriducibili paradossi quando si pretende di rappresentare il
globo su una carta piana. Comunque una mappa parziale si può sovrapporre in
qualche punto ad un’altra e quindi collegarsi. FACCIAMO LUCE
Programmazione La diversità caratterizza la realtà
delle situazioni che i bambini-ragazzi attraversano nel loro percorso scolastico.
L’impresa di un curricolo continuo naviga tra due scogli, quello di una separazione
tra ordini di scuole che genera spesso incomprensione, a volte conflitto,
sicuramente discontinuità, e quello di una omogeneità ideologica
(spesso si invoca un mitologico “metodo scientifico”) che rischia di non
cogliere la relazione tra lo sviluppo del bambino-ragazzo e la
differenziazione dei contesti, relazionali e istituzionali. Il gruppo ha voluto assumere la
diversità come dato di realtà e farci i conti. Per questo ha scelto di istituire
un luogo di lavoro comune rispettando le programmazioni dei soggetti,
insegnanti team o scuole, che sono in relazione con i rispettivi contesti materiali,
sociali e istituzionali. Nella
scuola elementare (la Giovanni XXIII di Cusano) il laboratorio è una dimensione dell’attività
didattica che può essere plasmata in relazione alle scelte educative. In questo
modo il percorso di ricerca sulla luce e il colore del “progetto Prometeo” è
stato integrato nella programmazione e nella normale vita scolastica delle
classi. Le
insegnanti hanno prodotto un ipertesto come documentazione del progetto in
cui sono contenuti: - intenzionalità
pedagogiche e linee e metodologiche - programmazione
dell’insegnante relativa al percorso di laboratorio con individuazione degli obiettivi sul piano
cognitivo (sapere), operativo (saper fare), comportamentale (saper essere). -
progettazione relativa al percorso di
laboratorio per classi parallele (“sceneggiatura”, attività previste, materiali…). - progettazione
di attività riferite ad un’unità di lavoro. Nella scuola media (la Zanelli di Cusano) il
laboratorio è sia un luogo fisico attrezzato sia una dimensione di lavoro
didattico; è una risorsa a disposizione degli/delle insegnanti che ne progettano
la relazione funzionale con il curriculum disciplinare, e con l’utilizzo di altre
fonti, contesti, attività, per la costruzione di sapere scientifico. Gli strumenti legati all’attività di
laboratorio, come ad esempio il “verbale” o l’exihibit,
appartengono ad un patrimonio culturale della scuola, ma possono acquistare diverse
sfumature di significato e di funzione. Nel liceo
scientifico (il Casiraghi di Cinisello Balsamo) esistono diversi laboratori
scientifici attrezzati e l’attività di laboratorio entra nella programmazione
scolastica. Con quest’ultima le insegnanti coinvolte hanno intersecato il
“progetto Prometeo” utilizzandolo come spazio di osservazione e riflessione. LO SVILUPPO della conoscenza
Delle due
dimensioni su cui si è sviluppato il lavoro del gruppo la prima (programmazione
e sperimentazione di spezzoni di curricolo di scienze con una continuità tra
gli ordini di scuole) ha trovato una sua conclusione nella stesura di un
progetto didattico in ambito “SeT”. Sulla seconda,
relativa al costruire una “cultura della continuità” , il gruppo ha
raggiunto alcune acquisizioni significative. Nel percorso di
avvicinamento alla problematica del “curricolo longitudinale” (che cioè
attraversa tutta l’esperienza scolastica dai 6 ai 16 anni) è emerso un nodo
problematico che riguarda l’adeguatezza della teoria che “spiega” i
fenomeni sperimentati in laboratorio. Un primo fattore è l’ampiezza del campo
di indagine. Una teoria ritenuta soddisfacente può non essere sufficiente a
spiegare ciò che accade se progressivamente si allarga la ricerca ad altri
fenomeni collegati. Un
secondo fattore è la “profondità”. Ciò che ad un certo livello viene assunto
come elemento pertinente ma non viene spiegato, ad un altro livello ci si può
chiedere come “funziona” o “di che cosa è fatto”. Ma non si può dire in
assoluto che “più profondo è meglio”: dipende non tanto dall’età dei soggetti
quanto soprattutto dai contesti di utilizzo delle conoscenze. Certamente esiste un
problema di capacità di comprensione, ovvero di padronanza di strumenti
mentali adeguati al linguaggio della teoria. Di qui l’attenzione alla complicazione
delle strutture matematiche implicate nella costruzione di un modello, o alla
necessità di far intervenire concetti troppo “astratti” (anche se l’ “astrazione”
va intesa come processo che richiede tempo e passaggi adeguati). La preoccupazione di non
affrontare campi di esperienza che richiedono teorie inaccessibili ai
bambini-ragazzi non si può risolvere però soltanto con gli studi di psicologia
evolutiva, che ci dicono come i bambini dovrebbero essere a quella
età. Lo scarto tra ciò che viene spiegato e ciò viene capito fa i conti anche
con le individualità. Il
fattore tempo, inteso come spazio per i percorsi mentali individuali, è
dunque decisivo per la comprensione. Visto dalla parte dell’insegnante questo
significa che occorre saggezza nel progettare i tempi in relazione ai contenuti,
di un percorso cognitivo. IL
CURRICOLO L’etimologia (dal latino CURRICULUM =
CARRETTO) ci ricorda che quando parliamo di curricolo non ci riferiamo
solo alla virtualità di un percorso ma anche alla concretezza dell’esperienza
di chi lo percorre. I bambini/ragazzi sviluppano, nella loro crescita personale
e sociale, un percorso cognitivo (curricolo di apprendimento). Gli/le insegnanti,
nell’esercizio delle loro funzioni, pensano come organizzarlo e ne scrivono
(programmazione curricolare). Tra le due cose c’è un rapporto
territorio-mappa, realtà-rappresentazione, che non è simmetrico: la seconda
ha senso solo in quanto riferita alla prima. Tenendo presente questo
gli/e insegnanti del gruppo hanno osservano la propria esperienza e ci hanno
riflettuto sopra per capire “che cosa viene prima e che cosa viene dopo”
nell’apprendimento-insegnamento in area scientifica e tecnologica. Se ha un senso riferirsi
ai soggetti in quanto infanti, pre-adolescenti, adolescenti, allora non si
tratta solo di ricercare una continuità, ma anche di riconoscere gli
elementi di discontinuità.. Sono i contesti ad essere diversi e
diverse le culture che in essi si sviluppano; la questione sta nel dare un
senso alla diversità dei contesti, a vederli come tappe successive di un
percorso di inserimento progressivo nella cultura e a tenerne conto nel
proprio agire professionale; una successione che da una parte è funzionale
allo sviluppo cognitivo-affettivo-relazionale dei
bambini-ragazzi, dall’altra risponde alle scansioni istituzionali con cui la
società sostiene e regola l’integrazione dei nuovi cittadini. Vediamo
alcune di queste dimensioni dello sviluppo della relazione di apprendimento-insegnamento: l’esperienza Sul piano
dell’attività che la scuola propone si assiste al passaggio da una esplorazione
più libera, cioè legata all’iniziativa spontanea del soggetto che osserva,
che raccoglie e organizza ciò che della realtà lo colpisce (induzione), alla
organizzazione di situazioni più strutturate dal punto di vista cognitivo,
mirate a verificare le previsioni ricavate da ipotesi, teorie, modelli
(deduzione), cioè verso la sperimentazione. La ricerca si
esercita sempre meno sulla realtà “naturale” così come si presenta (utilizzando essenzialmente
la percezione) e sempre più su situazioni “artificiali”, ovvero
organizzate ad hoc, operando una selezione sulla realtà, introducendo
strumenti e contesti di manipolazione della realtà. Così l’attività cognitiva
all’inizio sembra centrata sulla complessità sistemica delle relazioni
che la realtà presenta; più avanti il centro d’attenzione si sposta
progressivamente sulle rappresentazioni, sulla loro coerenza interna,
con un ricorso sempre maggiore alla quantificazione e alla formalizzazione.
E ancora: l’attenzione, che all’inizio si focalizza sull’aspetto contingente
della realtà così come si presenta “qui e ora” legata al contesto di osservazione,
si sposta poi sul cogliere gli aspetti trasferibili, generalizzabili e di
conseguenza più “astratti”. il
linguaggio Sull’asse soggetto-oggetto
si verifica, nelle rappresentazioni dei bambini, uno spostamento dalla
narrazione, che riguarda in primo luogo le proprie azioni e che quindi è
inestricabilmente legata a dimensioni affettive e relazionali
dell’esperienza, ad una maggiore attenzione agli aspetti descrittivi
di ciò che accade, indipendentemente dalla propria presenza e azione, per
arrivare poi alla centralità della spiegazione. Ad un diverso registro
comunicativo corrisponde anche una diversa qualità del linguaggio: se nella
prima fase le parole dei bambini rimandano ad un’area di senso legata
da una parte al vissuto e dall’altra agli usi sociali (i bambini comunque “pescano”
le parole dal bagno di linguaggio in cui sono immersi), poi, attraverso una
continua mediazione, i significati vengono condivisi, ma ciò avviene in riferimento
a degli oggetti comuni di conoscenza; si arriva così ad un sistema di
significati più stabile e rigido nella sua convenzionalità. Se all’inizio le forme di
comunicazione linguistica sono abbastanza libere in funzione dell’espressione
di un contenuto (inteso nella relazione tra vissuto del soggetto e descrizione
dell’oggetto) sempre più si impongono forme “regolamentate”; non si tratta
soltanto di tradizioni scolastiche, ma anche della progressiva importanza che
il linguaggio assume nella struttura stessa del discorso scientifico,
con le sue esigenze “formali” di rigore, di non ambiguità, di
esaustività ecc. la
dimensione sociale Dietro
alle diverse forme della comunicazione c’è anche una diversa angolatura nel
considerare la socialità come sfondo e finalità della scuola: se con i più
piccoli viene valorizzata come costruzione di una rete di relazioni
interpersonali che allarghi e diversifichi il contesto di riferimento
rispetto alla famiglia, più avanti acquista spessore la Società intesa
come entità antropologica, sociologica e storica in cui lo studente si
inserisce come cittadino. La co-costruzione di conoscenza
nell’interazione assume dapprima come riferimento un gruppo locale che
condivide l’esperienza; il gruppo costruisce una memoria collettiva del
percorso come primo passo verso una fissazione, attraverso il confronto, la
cooperazione e il conflitto, di un patrimonio di conoscenze che poi non
possono fare a meno di confrontarsi con quelle della comunità globale
degli scienziati nelle sue espressioni istituzionali. l’intenzionalità
pedagogica Lungo
l’asse di sviluppo che parte dalla soggettività “egocentrica” del bambino piccolo
per arrivare ai “saperi” sociali, la gerarchia delle finalità sposta il fuoco
pedagogico della scuola dall’attivazione di ogni bambino in quanto
soggetto di conoscenza alla relazione cognitiva tra soggetto e oggetto,
alla strutturazione della conoscenza di un oggetto nella sua
specificità e nella sua rappresentazione sociale. Su questo
asse di sviluppo nella pratica didattica con i bambini piccoli viene dato più
spazio al gioco delle domande nella scoperta del mondo; poi le domande
dell’insegnante prendono maggiore spazio e alla domanda che apre o mantiene
il “conflitto cognitivo” si affianca anche la domanda “di verifica” di quanto
l’alunno sa, funzionale alla valutazione; all’alunno è richiesto sempre più
di fornire risposte adeguate. Le varie forme di meta-conoscenza messe
in atto con il progredire dell’età e degli ordini di scuola, sono indicative
di un altro passaggio che sta nella dimensione dell’autonomia: l’insegnante
passa ai ragazzi sempre maggiori competenze cognitive che renderanno sempre
meno centrale il suo ruolo. modalità cognitive Se il primo modo di
conoscere la realtà è quello di percepirla e se è possibile percepire solo
differenze, una direzione di sviluppo è quella che va dalla percezione di
contrasti (luce/buio, caldo/freddo, dentro/fuori ecc.) alla percezione di
“sfumature” cioè di variazioni continue tra due polarità; è uno
sviluppo riscontrabile nella crescita dal neonato all’adolescente, ma anche
in ogni esperienza percettiva di qualsiasi soggetto. L’esperienza
spontanea del bambino ha la dimensione della globalità e non
separa gli aspetti cognitivi da quelli affettivi e di relazione; ma anche,
nell’attività cognitiva, il bambino non considera a-priori degli “oggetti”
cui attribuire qualità: nel flusso delle percezioni (e nel “territorio” della realtà) non esistono
delimitazioni, esse nascono nella “mappa” delle rappresentazioni; la
progressiva delimitazione del campo cognitivo in aree di pertinenza,
in singoli “fenomeni”, è in relazione all’attività dell’adulto educatore. Le forme attraverso cui
l’attività cognitiva ordina i dati percettivi sono dapprima in prevalenza basate
sulle differenze e le somiglianze; le relazioni causali
emergono poi differenziandosi da quelle finali, in quanto primariamente
è attraverso la “metafora de sé”, attraverso il vissuto delle proprie azioni
sulle cose, che il soggetto conosce il mondo. Ciò significa che
alla competenza cognitiva dei bambini appartengono, a partire da osservazioni
qualitative, prima seriazioni e classificazioni, e quindi strutture
d’ordine e di classi, e poi la costruzione di modelli e teorie basati su sistemi di relazioni causali. Ne
deriva anche una direzione “naturale” di progressione dal “come” al “perché”,
dalla descrizione alla spiegazione. L’esigenza di
quantificazione dei dati e di formalizzazione delle teorie e dei modelli
porta ad un sempre più massiccio e preciso uso di strumenti matematici (matematizzazione), ma l’esigenza di coerenza, di univocità,
di rigore porta ad una specificità di ricerca sul linguaggio matematico i cui
enti diventano sempre più “oggetti”; si va quindi verso un’autonomia della
matematica. |