Marcello Sala

COMPETENZE SCIENTIFICHE

COMPETENZE DI CITTADINANZA

-pubblicato in-

LE SCIENZA NATURALI NELLA SCUOLA

ANISN n. 41 III 2010

Loffredo

Tecnologia,scienza, cultura

 

Se si chiede a che serve la scienza, le risposte per lo più fanno riferimento al suo ruolo nella soluzione dei problemi dell’umanità relativi alla sopravvivenza e al benessere, attraverso la tecnologia. Si dimentica che la tecnica viene prima della scienza: l’uomo del Pleistocene non ha aspettato di conoscere i principi di fisica per costruirsi raschiatoi e armi o per accendere il fuoco; solo molto più tardi si è posto qualche prima domanda sul perché le cose funzionano come funzionano.

Nella società in cui vivo l’affezione alla tecnologia è così profonda che ormai si può parlare di totale dipendenza. Ma, mentre la competenza operativa riguardo agli oggetti tecnologici è diffusa in tutte le classi d’età e le stratificazioni sociali, la conoscenza sul come sono fatti e sul come funzionano è ristretta a una élite di appassionati tecnomani, per lo più giovani maschi. Se poi passiamo alla conoscenza dei perché, il cerchio si stringe ancora di più. é dunque normale che, rispetto alle conoscenze scientifiche necessarie alla progettazione della tecnologia, la realtà sia quella della “fuga di cervelli” all’estero.

Ormai in ogni ufficio, casa, negozio, autoveicolo, d’estate è in azione un condizionatore che porta la temperatura a 20° la dove d’inverno gli impianti di riscaldamento la portano a 25° e oltre (se dimenticate di portarvi una felpa quando andate in treno d’estate la laringite è assicurata, esattamente come d’inverno se vi capita di fare la fila in un ufficio dove non potete togliervi di dosso il piumino che avete indossato per uscire). Mentre si sa in giro che gli impianti di riscaldamento inquinano, quasi nessuno sa che i condizionatori, come i frigoriferi, producono calore e quindi aumentano la temperatura dell’ambiente, evento dal quale ci si vorrebbe difendere mettendoli in azione; perfetto esempio di feedback positivo e di processo “autofertilizzante”.

Personalmente nutro un’atavica diffidenza per la tecnologia, che pure uso: prima di passare alla successiva generazione di ritrovati faccio resistenza e spesso cedo solo quando non è più disponibile la necessaria manutenzione per i modelli che uso da tempo o quando diventano incompatibili con le necessità della comunicazione in ambito professionale. Sono convinto che la tecnologia ha cessato di essere la ricerca da parte dell’uomo di strumenti con cui risolvere problemi dell’esistenza per diventare l’ambiente in cui vive, e che ormai la ragion d’essere della tecnologia non è più l’utilità ma la possibilità: se una cosa è possibile costruirla la si costruisce, gli usi vengono dopo [1].

Una domanda che mi sono sempre fatto è “a quale bisogno risponde l’alzacristalli elettrico dell’automobile?”; e mi tormenta il pensiero che tra una quindicina di anni, se dovrò cambiare l’auto, non ne esisteranno più con la manovella. Qualche tempo fa è comparsa sui quotidiani la notizia di un bimbo di tre anni strangolato dall’alzacristalli elettrico dell’auto inavvertitamente azionato.

Di converso sono irresistibilmente attratto dal come sono fatte le cose, dal come funzionano, e soprattutto dal perché funzionano come funzionano. Ho un “socio in imprese di formazione” e i nostri viaggi in treno sono il nostro luogo privilegiato di “ricerca scientifica”. Il suo ruolo è quello di esperto (è un fisico) chiamato a rispondere alle domande, e quasi sempre il tutto comincia con una mia domanda “ingenua”, che non oserei fare in un consesso scientifico; ma quasi sempre dopo un po’ le domande sono quelle che si pone anche lui, quando si accorge che le risposte alle domande ingenue non sono poi così scontate. Ho sessant’anni e lui poco memo di quaranta: cesseranno prima i viaggi in treno che le nostre domande scientifiche.

Non so se sono matto, di sicuro sono disadattato a un ambiente in cui il rapporto tra scienza e tecnologia è quello descritto prima, in cui l’ignoranza scientifica è patrimonio nazionale e motivo di orgoglio (sembra perfino normale che in un Museo di Storia Naturale si svolga un convegno di creazionisti [2], in cui la pratica scientifica decresce rapidamente con il processo di acculturazione, per cui, ad esempio, le conoscenze sull’evoluzione a 8 anni sono non solo più vive, ma anche più corrette da un punto di vista scientifico, che a 16 anni [3].

Io sarò disadattato ed è un problema mio, ma la domanda che voglio porre anche ad altri è come vogliamo essere cittadini di questo mondo.

La questione che voglio porre è se vi sia relazione tra la scomparsa del pensiero scientifico dalla cultura di massa e la progressiva dominanza di certi aspetti culturali che ormai caratterizzano la convivenza civile e l’organizzazione sociale, dal confronto tra numero di persone che leggono e numero di persone che guardano in TV l’Isola dei famosi all’idea che è giusto non pagare le tasse (le tasse o le imposte?), dalla politica delle “veline” al fatto che non ci si possa esprimere come cittadini in un referendum sulla fecondazione assistita, perché è meglio andare al mare, ma anche perché non si sa che di che cosa si tratti ecc. ecc.

L’ultimo esempio fatto sembra più pertinente al rapporto tra scienza e civiltà: per prendere decisioni sulla fecondazione assistita, questione che riguarda la vita di molte persone, è necessario sapere come funzioni il processo di fecondazione e per questo occorre una conoscenza scientifica: se le cose stanno così... (e questa è la scienza), allora io decido in un certo modo (e questa è la democrazia) e me ne prendo la responsabilità (e questa è la civiltà). Ma io sono convinto che anche la conoscenza della differenza tra imposte e tasse, che è conoscenza delle dinamiche che concretizzano il contratto sociale e con esse la “fisiologia” di uno Stato che vada al di là della organizzazione su base di clan e sui rapporti di forza, sia dello stesso tipo di pensiero scientifico che usiamo per conoscere i fenomeni naturali.

Per quello che riguarda le “veline” e le altre manifestazioni della cultura nazionale, il legame con il pensiero scientifico sembra più remoto ma in realtà è più profondo, nel senso che interessa quello che è il contributo più rilevante che il pensiero scientifico ha dato alla cultura umana, il pensiero critico (si può anche obiettare che il pensiero critico è nato ben prima della scienza come ora la conosciamo, ma forse solo perché ai tempi di Aristotele o di Occam si parlava di “filosofia”).

Cultura scientifica a scuola

Alle insegnanti partecipanti a una ricerca-azione relativa a un curricolo di scienze basato sulla sperimentazione di laboratori sull’acqua[4] abbiamo chiesto di ripensare ai momenti in cui hanno creduto di osservare uno sviluppo di competenze (intese come capacità di utilizzare in situazioni problematiche ciò che si sa o si sa fare) nei loro allievi. Ecco alcune risposte:

-       “La capacità di osservare e fare ipotesi centrate e coerenti da parte di un bambino che generalmente si mostra abbastanza apatico.”

Questa osservazione porta l’attenzione su un punto fondamentale: proprio perché riguardano la pratica di situazioni di problematiche, le competenze non possono essere sviluppate prima e altrove rispetto al contesto in cui si manifestano. Non c’è un luogo dove si imparano e un altro diverso dove si mettono in pratica. Questo dovrebbe essere tenuto presente nella valutazione: un test, a maggior ragione un’interrogazione, è un contesto diverso da quello in cui si sviluppa e si manifesta la competenza che si vuole valutare. Già il fatto di voler valutare una determinata competenza mette la valutazione sulla via del fallimento: le competenze si possono solo “attendere come imprevisti” [5] e osservare quando si manifestano; questo richiede ascolto, ovvero capacità di comprendere, abbandonando le proprie griglie di osservazione e interpretazione, o almeno essendo consapevoli che si tratta di proprie “lenti culturali”, di proprie premesse epistemologiche, di propri pre-giudizi pedagogici.

Che cosa ci dice (e in situazioni di apprendimento diverse dalla routine scolastica questo tipo di osservazioni abbonda) il fatto che spesso allievi valutati come refrattari all’apprendimento sono più partecipi e attivi, apprendono quindi, in un contesto diverso da quello della lezione e dell’interrogazione? Ci dice per l’appunto che i contesti sono diversi; e che la contestualizzazione è un elemento costitutivo della competenza. Valutare gli allievi solo in un contesto “scolastico” vuol dire valutare soltanto le loro competenze... di adattamento al contesto scolastico.

-      l’insegnante riferisce di bambini che, partiti nominando le ‘molecole’ ma senza una chiara consapevolezza di che cosa siano, passano a dichiarare che “le molecole non esistono” per poi approdare a “sono comode per spiegare...” e cercano nei libri vari modi diversi di rappresentarle.

Questa nota sottolinea una dimensione meta-cognitiva essenziale della pratica scientifica, ovvero la consapevolezza che della realtà che si manipola e si osserva vengono costruite delle rappresentazioni, dei modelli, attraverso il linguaggio.

-      “Durante un’esperienza pratica sulle misure di capacità, riempiendo dei bicchieri e dei tappi è successo che l’acqua superasse il bordo del contenitore senza cadere fuori e un bambino ha esclamato: <<Maestra, è il principio della tensione superficiale!>>. Questo ha rappresentato l’inizio di un nuovo laboratorio scientifico.”

Nella corretta applicazione di una nozione teorica a un fenomeno osservato io vedo la capacità di un bambino di contestualizzare una nozione. Ma in quella esclamazione e nell’ultima frase dell’insegnante vedo anche il rovesciamento di quella pratica scolastica che colloca, anche per i più piccoli, l’apprendimento dei termini scientifici prima della comprensione dei concetti e addirittura prima dell’osservazione dei fenomeni di cui essi sono rappresentazioni.

-       “A partire dalla curiosità di alcuni alunni, ricerca da parte loro di strategie per poter soddisfare quella curiosità; di qui ricerca di informazioni su internet, libri (anche portati da casa) dizionari...”

La curiosità può essere considerata il motore (che è contemporaneamente emotivo e cognitivo) della scoperta scientifica: le bibliografie degli scienziati lo testimoniano ampiamente. Ma non basta essere curiosi e dotati di immaginazione creativa per fare scienza, occorre anche il rigore di una pratica che ha una dimensione sperimentale e una di documentazione e studio. La competenza è dunque quella dell’organizzarsi per soddisfare la curiosità.

-       “è cambiato l’atteggiamento verso ogni area disciplinare: problematizzano anche ciò che è più astratto. Aumentano le curiosità: giunti a una conoscenza si riparte con nuove domande”.

Questa osservazione fa riferimento a un atteggiamento che si può considerare lo sviluppo del precedente: non solo la curiosità che supera il livello del qui e ora per diventare qualità epistemologica attraverso il porsi domande, dando vita a una ricerca che non ha mai termine, ma anche la tensione a problematizzare come dimensione fondamentale della scienza, che ha un valore culturale più generale:

-      “Presa di coscienza della necessità di verificare le informazioni (in un testo, ad esempio): “bisogna sempre verificare”. Trasferimento in altre discipline, ad esempio in storia come necessità di documentare.”

Qui è evidente la generalizzazione di un atteggiamento critico che investe non tanto altre discipline scolastiche quanto una dimensione fondamentale della civiltà: la consapevolezza della Storia come una narrazione che va al di là della soggettività del singolo, se vuole sottrarsi alla manipolazione della comunicazione mediatica da parte di chi ha potere.

-      [dopo un’esperienza di laboratorio in cui avevano incontrato l’acqua attraverso i diversi sensi] “l’autonomia dimostrata da diversi bambini (di 6 anni) nel prendersi cura del ‘giardino dei sensi’ realizzato a scuola, con un uso consapevole dell’acqua.”

é solo un piccolo esempio che riguarda bambini piccoli, ma le competenze, che fin qui abbiamo chiamato “scientifiche” in riferimento a una nostra mappa culturale, se vengono colte nel valore che assumono nell’esperienza dei bambini, ci fanno intravedere qualcosa di più: quel “prendersi cura” delle cose, della natura, delle relazioni, costituisce un valore civile, una qualità della convivenza, sono piccole grandi competenze di cittadinanza.

 

 



[1] Si veda: Umberto Galimberti, Psiche e techne, Feltrinelli 1999.

[2]  Il 19-21 giugno 2009 le sale del Museo di Storia Naturale di Brescia, che qualche mese prima erano state negate al Darwin day, hanno ospitato un ciclo di conferenze creazioniste.

[3]  Marcello Sala, Darwin insegnato (d)ai bambini, in Micromega 1/2008.

[4]  Istituto Comprensivo “Ten. F. Petrucci” Montecastrilli (TR), Progetto “Il curricolo verticale per lo sviluppo delle competenze nell’area scientifica e dell’educazione ambientale:  un percorso di ricerca integrato tra scuola e territorio” a.s.2008/2009.

[5]  Il riferimento è a: Paolo Perticari, Attesi imprevisti, Bollati Boringhieri 1996.