Marcello Sala

ADDESTRAMENTO AL CALCOLO E

EDUCAZIONE MATEMATICA

- pubblicato in-   

COMPUSCUOLA

n. 29 / 1988

Jackson

 

(Intervento a “Scuola 2000, Computer sul banco”)

 

  Non si può parlare di abilità di calcolo e calcolatore in rapporto all’educazione matematica senza collocare il discorso nel contesto reale della scuola italiana oggi.

   Un quarto di secolo fa i programmi della nuova Scuola Media Unica recitavano: <<L'esercizio non dovrà essere soltanto strumentale per il consolidamento della tecnica delle operazioni e dei procedimenti; esso deve essere inteso a fare gradualmente acquisire all’alunno il pieno possesso dei significati concettuali. Pertanto non ci si dovrà trattenere su complicati calcoli (espressioni aritmetiche laboriose ecc...)>>. Quasi dieci anni fa entravano in vigore i nuovi programmi della scuola media, in cui sta scritto: <<Va sconsigliata l'insistenza su aspetti puramente meccanici e mnemonici, e quindi di scarso valore formativo. Si eviterà l'imposizione di regole che potrebbero essere più naturalmente individuate in altri contesti più appropriati. Ad esempio, argomenti come la scomposizione in fattori primi, la ricerca del massimo comune divisore e del minimo comune multiplo, il calcolo di grosse espressioni aritmetiche, l'algoritmo per l'estrazione della radice quadrata, il calcolo letterale avulso da riferimenti concreti, non dovranno avere valore preponderante nell’insegnamento e tanto meno nella valutazione.>>. Eppure nella maggior parte delle classi italiane si passa la fetta più consistente del monte ore di matematica a calcolare espressioni, e dove ciò non accade genitori inferociti ne reclamano la pratica, magari, ed è il massimo del paradosso, in nome del "rispetto del programma".

   L'insegnamento della matematica è pesantemente impastoiato da prassi centenarie e stereotipi inestirpabili. E forse non c'è da stupirsene se si riflette sulla cultura matematica diffusa. Quante persone ho sentito dichiarare, quasi con orgoglio, che loro "di matematica non hanno mai capito nulla"! Per contrappeso la fiducia nella matematica (e in generale nella scienza, dato che matematica e scienze sperimentali vengono tranquillamente assimilate) come fonte di verità è così radicata che tutti, quando vogliono opporre una certezza definitiva alla dialettica del dubbio e dell’incertezza fanno ricorso alla sentenza "come due più due fa quattro".

   Eppure tutti conoscono quel vecchissimo indovinello in cui due più due fa tre (in una delle sue varie versioni esso recita più o meno così "Due padri e due figli prendono da un attaccapanni un cappello ciascuno. Alla fine dall’attaccapanni mancano tre cappelli. Come è possibile?") e tutti portiamo al polso uno strumento in cui 11 (o 23 se si preferisce) + 4 fa inequivocabilmente 3. Nessuno si è preoccupato di insegnare a milioni di italiani che l'addizione come isomorfismo della somma di quantità ha delle fondamentali e in fondo grossolane condizioni di applicabilità. Ciò significa in sostanza non porsi neppure il problema del che cosa rappresentano le astrazioni della matematica. Ovvio che poi la maggior parte delle persone non capisca a che cosa servano.

STEREOTIPI

   È quasi incredibile come le persone si affidino più agli stereotipi che alle proprie esperienze personali. C'è un mio alunno che di suo avrebbe una felice capacità nascente di induzione, un germe coltivabile di atteggiamento sperimentale, un gusto a formulare ipotesi; suo padre pretende invece per lui un addestramento a divenire una piccola calcolatrice meccanica, carriera oltretutto sbarrata ormai da macchine meno costose e più affidabili di un uomo. Quel padre è ingegnere, fa parte cioè di quella categoria di persone che per ragioni professionali hanno a che fare con la matematica. Egli nel suo lavoro utilizza applicazioni matematiche e non calcoli puramente numerici; si trova a dover scegliere o costruire l'equazione adatta per risolvere un problema, impostarla correttamente, inserire delle misure, e quindi prima ancora procurarsele, prevedere attraverso il calcolo dimensionale quale tipo di grandezza risulterà, ma mai si trova a dover calcolare con l'unico ausilio della matita un’espressione numerica, per la semplice ragione che né lui, né tanto meno il suo datore di lavoro o superiore gerarchico accetterebbero un risultato non convalidato da una macchina, fosse pure il vecchio regolo da tasca.

   La moglie dell’ingegnere, diplomata alle magistrali, fa la casalinga e chiede con passione che suo figlio calcoli espressioni, perché "alle superiori gliele chiedono". La matematica di cui ha avuto bisogno come maestra e come casalinga non è stata quella, eppure si comporta come il suo successo professionale e la felice soluzione dei problemi quotidiani fossero stati legati al calcolo delle espressioni. Come dire che a questi genitori sta più a cuore il successo dei propri figli nella competizione della scuola superiore così com'è che non il fatto che la scuola superiore, che non rinnova i propri programmi dagli anni '20, e la cui ventilata riforma fa ridere tutto il mondo perché sta per compiere il suo terzo lustro di non attuazione, abbia perso il rapporto di funzionalità rispetto alle professionalità cui dà accesso.

   E spesso anche gli insegnanti della scuola media finiscono per assumere come criterio il successo dei propri alunni al corso di studi superiore, anche se nei programmi si dice con estrema chiarezza che la scuola media <<non è finalizzata all’accesso alla scuola secondaria di secondo grado>>. Lo scopo per cui si lavora è dunque permettere a una minoranza di alunni di essere avvantaggiati, non tanto nell’acquisire abilità specifiche ma pur sempre utili ai fini della formazione, bensì nell’assimilare tecniche la cui unica utilità esplicitamente dichiarata è quella di permettere di essere valutati positivamente da chi dal possesso di tali tecniche fa dipendere una valutazione positiva: il cerchio si chiude. Ma ciò non sarebbe ancora così grave se non avesse la conseguenza di privare la totalità degli alunni, la maggior parte dei quali si avviano a un più o meno precoce e dequalificato inserimento nel mondo del lavoro, di quelle esperienze formative di base che almeno possano fornire tutti di un substrato di strumenti culturali di validità universale.

EDUCAZIONE MATEMATICA

   In definitiva, se per matematica si intende il saper calcolare, la scuola di base non ha che due tipi di scelta, visto che le macchine da calcolo esistono dalla meta del '600: o addestrare i bambini a fare a meno delle macchine da calcolo, o addestrare i bambini a usare le macchine da calcolo.

   Se invece si intende la matematica come una componente del pensiero umano, un’insieme di modi di operare della mente indispensabili all’adattamento dell’uomo all’ambiente, allora nel quadro dello sviluppo del pensiero matematico anche il calcolo assume un posto diverso, e con esso il rapporto con le macchine da calcolo.

   Un primo esempio, che propongo a chi vorrebbe proibire l'uso delle calcolatrici a scuola perché l'abitudine a usarle renderebbe i bambini incapaci di cavarsela senza, è molto banale e consiste nella diversa collocazione della x. Se chiediamo ai bambini di calcolare 156 : 12 = x diamo un compito che, posto in quel modo, implica un unico scopo, che è di tipo pratico: conoscere il risultato; dopo di che proibiamo loro di usare la calcolatrice, che gli adulti, orgogliosi del progresso legato alla automazione, si vantano di avere inventano proprio per eseguire i calcoli; e come se non bastasse alla fine rendiamo evidente ai bambini che la conoscenza pratica del risultato in realtà non serve ad alcuno né ad alcunché. Credo che ciò consolidi l'idea della scuola come invenzione del sadismo degli adulti.

   Proviamo invece a lasciare ai bambini la calcolatrice e chiediamo loro di trovare il valore di x scrivendo 156 : x = 12. In questo caso il bambino viene messo esplicitamente, e quindi più onestamente di fronte a un problema matematico. Il bambino scopre che la calcolatrice non può sostituire la sua intelligenza e che anzi da questa dipende la possibilità stessa di usare quella. Ciò che richiede questo banale problema è una riflessione e una operatività sulla struttura che hanno un valore generale e una utilità strumentale, al di là della conoscenza del risultato.

   Ma non basta: semplicemente spostando la x si è anche fatto un passo verso un più corretto rapporto tra teoria e realtà, tra la matematica e le sue applicazioni. Le situazioni problematiche che la realtà propone e che richiedono l'uso di strumenti matematici, non sono quasi mai del tipo "calcola il risultato" quanto piuttosto si presentano come ricerche di un dato mancante, in cui il primo passo è l'individuazione dell’isomorfismo con una struttura matematica e il secondo appunto la manipolazione della struttura per rendere calcolabile il dato.

   Fare matematica significa essenzialmente rappresentare mediante simboli operazioni mentali sugli oggetti o su altre operazioni, e poi operare sui simboli anticipando a un primo livello i risultati delle operazioni concrete per arrivare addirittura a prefigurare nuove realtà.

   L'educazione matematica deve rispettare lo sviluppo (storico e ontogenetico) del pensiero: deve perciò tenere presenti almeno tre direttrici fondamentali: attivare l'operatività del pensiero, mantenere la consapevolezza del rapporto problema-teoria-applicazione, rispettare la gradualità dello sviluppo a partire dalla concretezza del pensiero infantile.

   In questa direzione il computer come automa programmabile mi sembra promettere molto di più che come macchina da calcolo sofisticata.

SOLTANTO CALCOLATORI?

   L'elaborazione automatica delle informazioni richiede sistemi formali di rappresentazione, il che la pone nell’ambito del pensiero matematico; ma diversamente dalla matematica essa molto esplicitamente riceve la sua legittimazione da una precisa committenza sociale: essa esiste ed evolve in quanto usata per risolvere problemi e ciò garantisce più facilmente un coretto rapporto con la realtà. Da qui l'importanza dell’informatica nell’educazione matematica come insieme di metodi per la formulazione di conoscenze in termini di struttura informativa e operazionale (operatori/oggetti) per organizzare il processo che porta alla soluzione, dalla individuazione di strategie, alla formalizzazione di tali strategie in procedure eseguibili, alla definizione delle condizioni di eseguibilità, alla codificazione in linguaggi non ambigui.

   E dal momento che il computer è una macchina che funziona su principi informatici, utilizzare software che in qualche modo programma la macchina vuol dire entrare in contatto con quei principi. Se matematica è rappresentazione di operazioni mentali (Piaget), LOGO è uno specchio per la mente.

   La "naturalità" di LOGO nel senso della vicinanza dei suoi operatori a quelli che agiscono nel pensiero umano può essere usata per aiutare i bambini nella comprensione dei concetti, attraverso l'analisi dei processi. Nello stesso tempo la costruttività di LOGO come linguaggio di programmazione consente all’insegnante di costruire ambienti graduando il livello di accesso dei bambini: operatori troppo complessi nella loro struttura interna verranno costruiti dall’insegnante e usati come tali dai bambini: altri più accessibili verranno presentati come procedure da smontare, modificare, costruire.

   Un esempio in questo senso viene dalla realizzazione con LOGO di semplici "macchine di Ashby", in cui con procedure interattive si dà  modo al ragazzo di scegliere dei valori di ingresso, ad esempio i numeri 1 2 7 10, e di confrontarli con i rispettivi valori d'uscita, rispettivamente nell’esempio 2 4 14 20. Al ragazzo viene chiesto di prevedere l'uscita corrispondente a una certa entrata e quindi, in caso di successo, di esplicitare la sua ipotesi sul "funzionamento interno" della macchina, cioè sull’operatore applicato (x 2). Accedendo alla memoria di LOGO si può verificare la effettiva strutturazione della procedura TRASFORMA.

   Qui il ragazzo trova una istruzione del tipo ASSEGNA "USCITA :INGRESSO x 2. La conoscenza della sintassi lo aiuterà a decodificare l'istruzione, a verificarne la corrispondenza con l'ipotesi formulata, a modificare l'operatore per ottenere una nuova funzione da sottoporre a sua volta sotto forma di macchina misteriosa ai compagni.

   Questo è solo il livello delle "macchine banali", ma al ragazzo può accadere di ottenere le seguenti coppie ingresso-uscita: (1;2) (2;6) (3;6) (4;12) (5;10). La formulazione di una ipotesi lo porta a confronto con una struttura LOGO più complessa: SE PARI? :INGRESSO ASSEGNA "USCITA :INGRESSO x 3 ALTRIMENTI ASSEGNA "USCITA :INGRESSO x 2.

   Il passo successivo è chiedere al ragazzo come costruirebbe lui ad esempio, volendo modificare la macchina, la procedura MULTIPLODI3? :INGRESSO, passando magari attraverso l'analisi della procedura PARI? :INGRESSO. Ciò che succede è che il ragazzo è costretto ad esplicitare al livello massimo di analisi quei concetti di pari e dispari o di multiplo (INTERO? :INGRESSO / 3 ) che egli spesso conosce solo in modo estensivo (per accumulo di esempi: le "tabelline") e non intensivo, e quindi non "matematizzato".

   Mi sembra che un lavoro come questo sulle "macchine di Ashby" o come, a un livello più complesso, quello sugli "automi booleani" che modificano il proprio stato sulla base di funzioni binarie, abbiano un alto contenuto educativo-matematico per due ragioni. La prima è che stimolano una attività induttiva (dati gli elementi in corrispondenza scoprire la relazione) che se non è tipica del pensiero matematico "adulto" lo è di quello "nascente" a livello di pensiero concreto. La seconda è che implicano una attività analitica che porta a fondare sulla consapevolezza il possesso e l'utilizzo di concetti, operazioni e strutture matematiche.