Marcello Sala

L' “ASCOLTO”

 

UN DISPOSITIVO PEDAGOGICO

La proposta sull' "ascolto" si riferisce non soltanto ad un atteggiamento affettivo e relazionale, ma ad un "dispositivo pedagogico" cioè ad un sistema operativo concreto in cui, oltre alla disposizione dell'insegnante, entrano: il ruolo che assume nella relazione, le condizioni che crea, le tecniche che usa, le modalità di organizzazione e di comunicazione che mette in atto, in una parola il setting che gestisce.

Nella professionalità dell’insegnante è ormai acquisita l'idea dell'accoglienza del bambino come soggetto di emozioni e affetti; è forse più difficile riconoscerlo pienamente come soggetto “altro”  dal punto di vista cognitivo. Occorre abbandonare l’idea che il pensiero dei bambini sia soltanto uno stadio poco evoluto del pensiero degli adulti e cominciare a prestare attenzione ad esso come manifestazione di una epistemologia diversa.

Naturalmente è vero che gli adulti sanno più cose dei bambini; ciò non toglie tuttavia che i bambini sanno cose che gli adulti non sanno, ovvero conoscono e pensano in modi che gli adulti non praticano (e poiché sono stati bambini anche loro si può dire: non praticano più). Il "che cosa" e il "come" del pensare non sono separabili.

I bambini sono portatori di un pensiero complesso. In molte situazioni, significativamente nel caso di problemi complessi e non complicati, è questa differenza di epistemologia a costituire anche il motivo del successo dei bambini e dell'insuccesso degli adulti, intendendo per successo la capacità di trovare una soluzione soddisfacente del problema, di rispondere in modo adeguato a una domanda.

Questa complessità della mente del bambino comprende la non separabilità tra ciò che noi chiamiamo "cognitivo" e ciò che chiamiamo "affettivo". L'uso di queste due categorie, che sicuramente sono utili per comprendere, ci mostra subito il pericolo di "proiettare" sui bambini qualcosa che appartiene al nostro modo di adulti di rapportarci al mondo, dando per scontato che sia anche il loro.

Per molti versi l' "ascolto" è simile all "osservazione". Che cosa significa allora la scelta del primo termine rispetto al secondo? La distinzione parte da una suggestione relativa ai sensi che le due azioni chiamano in causa: l'udito e la vista. La vista è qualcosa che dal soggetto va all'oggetto attivamente: mi sembra che si sottolinei la scelta più o meno consapevole di che cosa osservare, della "figura" che viene fatta emergere dallo "sfondo" indistinto delle sensazioni visive ad opera della attività percettiva e interpretativa del soggetto. L'udito è meno selettivo: si sottolinea quindi la qualità di una attenzione passiva, di una passività attenta, la qualità della recettività. Si tratta di ricevere, tutto e nei dettagli, senza selezionare in partenza, accettando l'incertezza del non capire, ma evitando di assimilare ciò che riceviamo al già noto: "riconoscere" è tranquillizzante ma non sempre è "vero", cioè adeguato alla relazione con quel bambino, con quella bambina, quella classe.

IL SETTING

L'ascolto, se è una dimensione della professionalità dell'insegnante, si esercita in qualunque momento della vita della classe, ma, se desideriamo farne oggetto di ricerca, per una maggiore consapevolezza del processo e delle condizioni, occorre predisporre una situazione specifica.

La proposta è quella di dare vita nella classe a una piccola comunità di ricerca che si interroga a partire da domande e situazioni problematiche. Il modello è quello di una "comunità scientifica", ma soltanto perché l'esperienza è nata in un contesto di discorsi su oggetti che siamo soliti attribuire al campo scientifico e perché le modalità di interazione riproducono quelle della comunità degli scienziati, ma questo non deve essere un limite.

Il dialogo (la discussione) si può sviluppare per

               dare spiegazioni di             fenomeni naturali

          esprimere opinioni su             eventi di cui si ha notizia

confrontare vissuti relativi a             esperienze dirette

La caratteristica di una tale situazione è che si parte da domande "legittime", cioè da domande che vengono fatte perché non si conosce già la risposta, e che non esistono dunque in partenza risposte “giuste”: l’unica richiesta è che le risposte alle domande che vengono poste siano il più possibile comprensibili per gli altri.

La modalità potrebbero essere quelle della presentazione da parte dell’insegnante di una situazione problematica, di una domanda rispetto alla quale i bambini, PD_1109_41.jpgintervenendo liberamente, oppure, meglio ancora, secondo la regola del “circolo di parola”, provino a fornire risposte interagendo tra di loro.

L’insegnante in questo caso è il garante della libertà di parola e del rispetto della parola altrui: non dovrebbe intervenire se non per far rispettare le regole o per aiutare i bambini a chiarire ulteriormente il senso del loro pensiero, a loro stessi prima di tutto e ai compagni poi. È importante che l'insegnante sospenda il giudizio su ciò che un bambino dice: meglio non capire che sviare il pensiero del bambino proponendogli subito una propria interpretazione.

(È il caso in questa sede di ricordare soltanto il valore didattico e pedagogico di situazioni di interazione comunicativa, come la conversazione, la discussione, come contesti di costruzione della conoscenza e anche di valutazione. Su questo ampia documentazione si trova nei lavori di Clotilde Pontecorvo e del suo gruppo.)

È importante che il dialogo venga registrato integralmente: utilissima la videoregistrazione, ma altrettanto lo è quella soltanto sonora, in cui è importante che l’insegnante annoti elementi di contesto che potrebbero essere utili per comprendere quanto i bambini dicono (ad esempio se un bambino fa un gesto indicando un oggetto presente nella stanza).

Il lavoro successivo è quello, faticoso ma importantissimo, della trascrizione integrale della conversazione. La recettività nell'ascolto si manifesta proprio nel non selezionare in partenza ciò che è significativo e ciò che è insignificante. Il rischio è di cancellare le tracce di un pensiero diverso dal nostro, solo perché non le sappiamo riconoscere. Piuttosto, se la conversazione è troppo lunga, possiamo, coscienti che anche questo fa perdere informazioni, selezionare un brano che individuiamo come una unità di senso nello sviluppo della conversazione.

La lettura che segue è un lavoro da fare in gruppo, ed è importante che il gruppo comprenda persone che non erano presenti alla conversazione. Uno stesso brano dovrebbe essere letto e commentato individualmente da ciascuno dei componenti del gruppo, che solo successivamente confrontano le rispettive interpretazioni.

IL TESTO E LA DISTANZA

Ma qual è dunque concretamente l'oggetto dell'ascolto?

Il dispositivo che si è proposto, che naturalmente è solo uno dei possibili, prevede una serie di passaggi che danno corpo a un "testo" su cui attivare le capacità interpretative. Dall'accadere della interazione comunicativa "qui e ora" si passa alla videoregistrazione oppure alla registrazione sonora integrata da note sul contesto, poi alla trascrizione integrata da note su quegli aspetti della comunicazione che si perdono nel passaggio allo scritto (toni di voce, gesti ecc.). Quello che ne risulta è un testo scritto, che però è utile leggere come si legge un copione teatrale perché riproduce una interazione comunicativa agìta, priva di commenti dell'autore e di parti narrative.

Come gioca, per chi era presente, questo aumento della distanza dall'oggetto?

Essere presenti allo svolgersi della comunicazione può renderne direttamente accessibili i significati e il senso, ma la necessità di gestire la situazione da parte dell'insegnante disperde la sua attenzione dal contenuto della conversazione.

È vero che chi conosce il contesto (la situazione "qui e ora" della interazione, ma anche le identità dei partecipanti, o la storia precedente del gruppo) è facilitato nella ricerca dei significati nel testo, ma proprio queste pre-conoscenze possono giocare come pre-giudizi, cioè limitare la ricerca dei significati ad ambiti già noti (nel "tono" di un intervento possiamo cercare inconsapevolmente la conferma dell'immagine che ci siamo fatti di una persona e che ci è utile, non dimentichiamolo, per rapportarci ad essa)

Per questo la situazione più proficua sembra essere quella del confronto sul testo tra persone che erano presenti e persone che non lo erano, tra persone che conoscono la classe e persone che non la conoscono. Una disconferma da parte di altri della nostra interpretazione può mettere in luce quali sono i "filtri" (culturali, epistemologici, biografici, caratteriali) con cui tendiamo a osservare la realtà. Questi "filtri", in quanto incorporati nella nostra identità, non sono eliminabili; è possibile però rendersene consapevoli e con ciò relativizzare i nostri giudizi, tenerli aperti a una modifica.

Questo processo critico non ci consente soltanto di imparare qualcosa di più sui nostri alunni e su come funzionano le interazioni nella nostra classe, ma ci fa fare un salto di livello. Nell'interazione diretta le nostre reazioni sono sempre interpretazioni dell'azione dell'altro, ma questo per lo più avviene inconsapevolmente; nell'analisi del testo l'interpretazione diventa consapevole proprio perché l'interazione è diventata testo, un oggetto in qualche modo "formalizzato" che anche altri possono esaminare e su cui ci si può confrontare. L'interpretazione può essere scelta tra tante possibili e dialettizzata. Questo lavoro di "meta-comprensione" è quello che ci permette, quando ci si ripresenta la situazione in classe, di agire in modo diverso, o anche di agire allo stesso modo, ma consapevolmente, con la possibilità (la libertà e la responsabilità) comunque di scegliere tra diverse alternative.

DOMANDE

A questo punto il discorso si sposta su come è possibile analizzare un testo. La chiave mi sembra sia ancora quella delle "domande legittime": in quanto domande predispongo alla ricerca stimolando l'attenzione, in quanto legittime non presuppongono la risposta e pongono in attesa ("attesi imprevisti").

La modalità è quella di elaborare le risposte individualmente e poi confrontarle in gruppo.

Quelli che seguono sono soltanto esempi di domande attraverso le quali è possibile interrogare un testo. Se siano o no legittime è altra questione: dipende dal soggetto che le pone e dal contesto in cui le pone. Ogni domanda orienta la lettura, indirizza l'attenzione, individua pertinenze, suggerisce modalità e strumenti.

Qual è la dinamica dell'interazione comunicativa? Si tratta di comprendere se e come ogni intervento sia in reazione a interventi precedenti e provochi reazioni in quelli seguenti. Questo sia a livello cognitivo che affettivo-relazionale: uno degli "assiomi della comunicazione" di Watzlawick ci dice che una comunicazione ha sempre un livello attinente al contenuto e uno alla relazione tra le persone che vi partecipano, e che, quanto meno è stabilizzata la relazione, tanto più i messaggi scambiati possono nascondere, sotto l'apparenza del contenuto, messaggi che la riguardano (competizione, affermazione di supremazia o di sottomissione, desiderio di contatto ecc.). Per rispondere a questa domanda può essere utile ad esempio osservare se si ripetono turni di interventi, se cioè certe persone sistematicamente intervengano dopo certe altre.

Ci sono ruoli nella comunicazione? intendendo non tanto ruoli formalizzati quanto piuttosto funzioni svolte, come quella di "provocare", o di "tirare le fila", o di "confermare" ecc. La domanda può riguardare in particolare chi conduce: quali messaggi espliciti o impliciti ha indirizzato l'insegnante ai bambini e con quali reazioni?

Ci sono domande binarie che potrebbero specificare meglio quelle precedenti, purché si stia in guardia rispetto al pericolo insito nella forma binaria, ovvero di fare dicotomie là dove nella realtà vi sono gradazioni di qualità:

Gli interventi sono "convergenti" o "divergenti"? cioè tendono a costruire la "risposta giusta" alla domanda oppure a trovare risposte diverse e originali?

Gli interventi vanno nella direzione della socializzazione o della individuazione? Qui siamo più sul piano delle relazioni perché si tratta di capire se chi interviene cerca di essere accolto e assimilato nel gruppo o invece di essere distinto da esso come individuo autonomo.

Gli interventi sono simmetrici o complementari? ovvero chi interviene intende contrapporre la propria autorità a quella di altri o invece sostenerla? Se invece che al singolo si guarda più al collettivo la domanda può essere formulata così: nel complesso gli interventi configurano una dinamica di conflitto o di cooperazione? O più in generale: si può individuare un "clima relazionale" della classe in questa situazione? Occorre in questo distinguere il conflitto cognitivo, centrato sull'oggetto, che si sviluppa in un contesto relazionale stabilizzato, e che ha comunque le sue specificità affettive nella relazione con l'oggetto, dal conflitto che si manifesta come una disputa attorno all'oggetto ma che in realtà è relazionale.

Si possono individuare delle "svolte" nello sviluppo della conversazione? Anche qui si può trattare di momenti di climax drammaturgico nello svolgimento dell'azione collettiva, oppure momenti topici dal punto di vista cognitivo nella costruzione collettiva della risposta.

Qual è la teoria individuale di quella persona sull'argomento?  In questa direzione un modo di cercare la risposta è raggruppare tutti gli interventi dello/a stesso/a bambino/a (lo stesso vale per l'adulto/a). Attenzione però: per i bambini quella della coerenza non è una dimensione acquisita. Quelle che per noi sono contraddizioni lo sono perché affermano cose diverse su uno stesso oggetto, ma spesso per i bambini sembra non si tratti dello stesso oggetto se lo esaminano in diversi contesti e in diversi momenti. Questa non è solo una "immaturità" nel pensiero dei bambini: spesso le descrizioni sono diverse perché implicano la compresenza di punti di vista diversi ed è esattamente ciò che serve per comprendere quei problemi "complessi" che spesso gli adulti non riescono a risolvere.

Qual è il "profilo cognitivo" di questo personaggio? Al di là dei concetti, delle idee, delle teorie sullo specifico argomento si tratta di individuare uno "stile" cognitivo, un modo personale di porsi le domande, di procedere nella ricerca, di organizzare i dati, di ragionare, di argomentare.

Più in particolare domande di tipo binario possono aiutarci, con le cautele esplicitate sopra, a caratterizzare lo stile di un/a bambino/a:

Trova riferimenti nel proprio vissuto o nella cultura comune (in particolare quella scolastica)?

Tende a particolarizzare o a generalizzare? Il "fare esempi" è tipico del primo atteggiamento, mentre del secondo lo sono il tirare conclusioni valide in generale o il trasferire i concetti in un altro contesto.

Che cosa prevedi che diranno i bambini in una situazione analoga? È una domanda molto utile dal punto di vista epistemologico, perché dal confronto con quello che i bambini hanno realmente detto possono emergere i nostri "filtri", le nostre "proiezioni" su di loro. Naturalmente una simile domanda implica che prima gli adulti si mettano loro stessi alla prova, riproducendo la situazione che solo dopo proporranno ai bambini.

Quali sono le battute chiave di questa conversazione? Anche questa domanda, se posta nel contesto di un confronto tra insegnanti, serve a mettere in luce i diversi punti di vista, le diverse epistemologie, le diverse sensibilità affettive, le diverse centrature professionali di ciascuno/a. Può essere interessante chiedere a ciascuno/a di scegliere, senza pensarci troppo, quella che ritiene la più significativa di queste battute e poi, a posteriori, cercare di individuare il proprio criterio di scelta.

Che "tipo" è questo personaggio del dialogo? Qui il gioco, per chi non conosce il bambino in questione, è di "esagerare" nel dipingerne il proprio ritratto personale prima di confrontarlo: esagerare nel dedurre da pochi elementi del testo il carattere del personaggio. È un utile verifica degli stereotipi che la nostra cultura e la nostra biografia ci propongono nel giudicare le persone.

Si possono identificare elementi affettivi che si possono mettere in relazione al contenuto specifico del dialogo? A volte le reazioni dei bambini ci possono far intuire che quello che per noi è oggetto di una relazione puramente cognitiva è vissuto invece dai bambini anche a livello empatico (ad esempio quando si parla di animali). È interessante allora indirizzare la ricerca di significati anche in quella direzione, per individuare quali aspetti dell'argomento in sé, o delle rappresentazioni che ne vengono messe in campo, suscitano risonanze emotive nei bambini. Questo vale per i bambini in generale, nella loro diversità rispetto agli adulti, oppure per ciascuna persona. La domanda allora potrebbe essere: si possono intravedere problematiche personali negli interventi?

Ma potremmo anche domandarci: quali problemi cognitivi emergono? quali problemi relazionali? intendendo anche problemi della classe più che dei singoli.

Ci sono altre operazioni interessanti che si possono fare sul testo. Una richiesta che si può rivolgere a chi non conosce i personaggi del dialogo è di tentare una identificazione personale o di genere, di dire cioè quali interventi sono fatti da una femmina e quali da un maschio, oppure quali sono fatti dalla stessa persona (naturalmente in questo caso la trascrizione non deve riportare il nome dell'autore/trice di ciascun intervento e sarà l'insegnante presente alla conversazione a confermare o smentire le ipotesi fatte). Ancora una volta ciò che  può emergere sono gli stereotipi relativi al sesso e ai "tipi umani".

Come si vede le domande oscillano tra una lettura "diacronica", "storica", per ritrovare significati nella successione degli interventi, nella dinamica dell'interazione, e una lettura "sincronica" più tesa a caratterizzare situazioni, stili, personaggi, a individuare i centri di organizzazione di senso di quel sistema che è l'individuo. Il livello cognitivo e quello affettivo-relazionale si intrecciano e a volte si sovrappongono.

C'è poi un ulteriore livello di analisi, che potremmo definire più propriamente "pedagogico".

Un'operazione interessante è quella di provare, partendo dal testo di una conversazione avvenuta non nella propria classe, a scriverne la "programmazione a posteriori" come se dovessimo presentarla, a sostegno della nostra competenza professionale, fingendo di averla scritta prima: quindi in particolare scrivendo quali obiettivi ci si propone (in realtà: quali obiettivi si pensa siano stati raggiunti), quale setting si deve costruire (in realtà: quale setting si è realizzato) per rendere possibile l'esperienza.

Ancora si può provare a dare un titolo al testo, il che equivale a domandarsi: questo testo di cosa parla? E si può proseguire con: quali sono i personaggi? c'è una trama? c'è una risoluzione "drammatica"?

Si può provare a nominare gli affetti e le emozioni in gioco,

a trovare una metafora della relazione educativa che il testo ci mostra, una immagine che la rappresenti,

a immaginare la scena nella sua materialità: spazi, oggetti, tempi, collocazioni e movimenti dei corpi, regole.

La prima parte del lavoro consiste dunque nella ricerca delle risposte a queste o ad altre domande che si possono formulare. Naturalmente: tante persone, tante risposte. Una stessa espressione viene interpretata diversamente non solo perché le attribuiamo un diverso significato, ma anche perché la collochiamo in aree di significato diverse, in un diverso contesto di pertinenza. Attenzione però: noi distinguiamo i contesti, ad esempio quello cognitivo da quello delle relazioni interpersonali, mentre la realtà dei bambini, il loro vissuto, le loro rappresentazioni, il loro modo di pensare, non contempla certe distinzioni e consente invece facili traslazioni da un contesto all'altro. Occorre dunque sempre porsi la domanda: qual è il contesto pertinente per loro in quel momento, e in questo è essenziale non perdere il contatto con il testo, prenderlo come riferimento decisivo.

L'INTERPRETAZIONE

Le risposte che ciascuno/a ricava dal testo costituiscono il materiale di confronto e discussione e rendono possibile un secondo livello di interpretazione.

La non concordanza delle interpretazioni dello stesso testo da parte di persone diverse ci dice che le categorie, le griglie, le domande attraverso cui si legge il testo appartengono alla "mappa" e non al "territorio", non alla realtà in sé della vita di un gruppo di bambini in un contesto educativo, ma alla descrizione che ognuno di noi insegnanti ne fa. La mappa è un'ipotesi, un'utile ipotesi, sul territorio. Il livello successivo è dunque quello di interpretare le mappe.

Tradizionalmente l'osservazione utilizza delle "griglie", che in sostanza sono un sistema di classificazione, delle reti che dovrebbero catturare tutto il materiale da osservare. Nel nostro caso sarebbero dei sistemi organizzati e completi di domande, cui la lettura del testo dovrebbe fornire risposte. Ma le "griglie di osservazione" sono come dei filtri che lasciano passare solo ciò che noi, a priori, abbiamo deciso essere significativo per noi, ciò che noi siamo in grado di comprendere, forse ciò che noi siamo in grado di tollerare. In sostanza le griglie, limitando e strutturando a priori il campo di osservazione, funzionano come dei pre-giudizi.

Ma è possibile eliminare i filtri con cui noi osserviamo la realtà? L'idea di un osservatore "esterno" e "oggettivo" si è rivelata un'illusione per la stessa scienza che l'ha introdotta nella cultura moderna. Nel nostro caso poi questo tipo di osservazione sarebbe comunque resa impossibile dal ruolo stesso dell'insegnante che può mettersi "in ricerca", ma è comunque sempre "in azione", è sempre coinvolto nella gestione della classe e nella relazione con i suoi alunni.

Non si può non avere un'epistemologia, un modo di mettersi in relazione cognitiva con il mondo. Il problema è che questa costituisce un' "abitudine cognitiva" sempre in funzione, ma sprofondata nella inconsapevolezza. È un po' come il camminare: lo facciamo senza essere coscienti degli innumerevoli circuiti di regolazione percettivo-motoria che una azione così complessa comporta e che soltanto chi sta ancora imparando a camminare ha nel suo campo di consapevolezza.

La scelta delle domande (o delle risposte), delle pertinenze, analizzata a posteriori, fornisce indicazioni sul soggetto che osserva. Ad esempio spesso emergono tra gli insegnanti scelte di pertinenza che privilegiano il livello della relazione, e una minore attenzione al setting (il contesto materiale degli spazi, dei tempi, delle regole, dell'organizzazione ecc.) oppure allo sviluppo cognitivo nella sua caratterizazione individuale o nella dinamica collettiva. Questo probabilmente è spiegabile nei termini di una legge biologica di sopravvivenza e di adattamento: siamo più attenti a ciò che ci mette più in difficoltà.

Insomma è possibile guardare i "filtri" come informazioni sull'osservatore e questo rifonda il problema dell'ascolto: non ascoltiamo i bambini, ma la relazione educativa tra noi insegnanti e i bambini.

I "filtri" dunque non si possono eliminare, ma possiamo farli emergere a livello di consapevolezza. Nella nostra tecnica questo equivale a porsi una "meta-domanda": quali sono le domande "giuste" con cui interrogare il testo?

Se le domande "sbagliate" sono quelle che nei fatti produrranno risposte non significanti, c'è una difficoltà intrinseca nel sapere a priori quali sono quelle che produrranno risposte significative. E allora?

Allora si può suggerire non un metodo, ma una strategia: "lasciare che la risposta trovi la sua domanda", lasciare che il testo susciti le domande pertinenti selezionandole tra quelle possibili. Si tratta di mettersi di fronte al testo con un atteggiamento aperto, disponibili a lasciarsi colpire dalle emergenze del testo, dai nessi che si manifestano, dalle "figure" che si stagliano impreviste dallo sfondo (gli "attesi imprevisti"). Questo richiede da una parte una passività attenta (quella che distingue l'udito dalla vista, l'ascolto dall'osservazione) un'attenzione "fluttuante", ricettiva, e dall'altra la conoscenza di tante "domande" possibili, di tante griglie. In questo senso, se non è opportuno usare una sola griglia, è invece utile conoscerne tante, averne come un archivio di domande entro cui poter trovare quelle pertinenti, quelle che potrebbero esserci utili in quella particolare situazione.

IL CONTESTO SCOLASTICO

Il dispositivo pedagogico che abbiamo delineato è un supporto a quella funzione di ascolto che gioca una parte essenziale nella professionalità dell'insegnante. Ma non costituisce tutta la professionalità dell'insegnante. In questo senso l'ascolto può essere percepito come in contraddizione con quell'altra funzione strutturale dell'insegnamento che possiamo chiamare inculturazione. L'inserimento dell'individuo nella cultura in cui vive è una realtà che precede segue e contorna l'esperienza scolastica, ma la scuola ha uno specifico compito di trasmissione culturale, il cui scopo ultimo è permettere al bambino di non dover "ricominciare da capo" l'esplorazione del mondo, di poter utilizzare il bagaglio di conoscenze, competenze, strumenti che la storia della comunità umana in cui vive ha prodotto.

Percepire questi due aspetti, l'uno centrato sul soggetto l'altro sull'oggetto della conoscenza, come conflittuali porta spesso, per rimozione del conflitto, alla negazione di una delle due parti; l'altra parte allora diventa il tutto: così da un lato si rischia un didatticismo tutto centrato sul sapere, che sottovaluta la cultura come processo sociale, che non riconosce la qualità delle relazioni come contesto di apprendimento, dall'altro una enfatizzazione della relazione e della sua dimensione affettiva, una "pedagogia della commozione", in cui l’attenzione ai sentimenti da parte dell’insegnante finisce per essere manipolazione affettiva, che porta alla distruzione dell'autonomia delle persone, e va di pari passo con l'oblio degli oggetti della conoscenza.

La soluzione creativa di un conflitto passa attraverso una ristrutturazione della nostra percezione che colga gli elementi in conflitto come connessi nella loro diversità, la loro relazione all'interno di una organizzazione di senso più ampio. In questo caso, l'ascolto come pratica comunicativa è funzionalmente connesso all'inculturazione se si considera la natura sociale della cultura: i processi di conoscenza si sviluppano in un contesto di pratica della conoscenza stessa e l'apprendimento è una proprietà emergente del partecipare come soggetti legittimi a una comunità di pratica sociale. Si tratta dunque di costruire dentro la scuola contesti coerenti con questa epistemologia.

Alla costruzione di modelli di prassi educativa, che coinvolgono anche un livello organizzativo e istituzionale, può contribuire la risposta alla domanda: quale funzione può svolgere la pratica dell'ascolto nella scuola?

·        Una prima risposta riguarda il riconoscimento, la valorizzazione e lo sviluppo delle diverse forme di intelligenza, di quelli che vengono indicati come "stili cognitivi", considerati da una parte come aspetti della identità da rispettare, dall'altra anche come vie personali, e quindi più efficaci, all'apprendimento e all'inculturazione; entrambi gli elementi sono riconducibili alla costruzione dell'autonomia.

·        Un secondo tipo di risposta riguarda la costruzione di strategie di insegnamento-apprendimento basate sulla mediazione culturale. L'insegnante costruisce contesti, strumenti, tecniche per facilitare la mediazione cognitiva tra un oggetto del sapere codificato e i saperi "spontanei" (nel senso di costruiti in un contesto non istituzionale) dei bambini, le cui forme e il cui linguaggio sono componenti strutturali. Vanno in questa direzione l'utilizzo delle "mappe cognitive", oppure il lavoro di progressiva formalizzazione delle teorie dei bambini in un contesto comunicativo.

Ma c'è una terza risposta che ha a che fare con la costruzione di un sapere collettivo nel qui e ora della comunicazione. Quello che i bambini fanno attraverso l'interazione comunicativa, sia nel registro della co-operazione sia in quello del conflitto cognitivo, è costruire conoscenze condivise, ovvero inserirsi in quel processo sociale che noi definiamo cultura. Da una parte la conversazione, la discussione, il dialogo, appaiono come l'immagine del convergere di saperi diffusi: i saperi dei bambini sono stati acquisiti e/o costruiti (attraverso trasmissione, imitazione, sperimentazione, elaborazione...) in un contesto sociale caratterizzato da pratiche e conoscenze culturali. Dall'altra questi nodi comunicativi possono generare un'immagine di espansione, di un affacciarsi della conoscenza su reti di saperi, dell'aprirsi di possibilità di esplorazioni culturali. Nelle conversazioni dei bambini è facile trovare, oltre a informazioni in cerca di organizzazione, nuclei di teorie, tracce di controversie filosofiche, riproposizioni di questioni scientifiche, concezioni antropologiche, ben note a noi insegnanti: tutto ciò dunque può diventare spunto per viaggi di conoscenza nel sapere codificato della nostra  cultura (e di altre).