Componenti diverse che in parte si
sovrappongono: la prima potrebbe essere definita come “gli emblemi della
scienza” come Galileo, Einstein, Newton, Leonardo, Volta. Si tratta di
figure presenti (“figurine” nell’album) della cultura di massa,
indipendentemente dalla conoscenza del merito delle loro idee scientifiche
(quelle di Einstein raccolgono solo due citazioni tra le “scoperte”; vedi
avanti). Parzialmente sovrapposta alla prima
è la “scienza degli inventori” (Volta, Leonardo). Una seconda componente
si potrebbe chiamare “scienza salvifica”, quella degli
scopritori-inventori di rimedi per la salute (Pasteur, Koch, forse Levi-Montalcini). Infine c’è una “scienza in TV”
di cui fanno parte personaggi resi noti dai media; di loro probabilmente si
sa solo genericamente di che si occupano (Levi-Montalcini,
Hack, Rubbia, Hawking “che
cos’è per te la scienza?"
Abbiamo
provato a differenziare le risposte date dalle femmine e dai maschi:
l’elemento significativo è che tra le prime è molto più frequente l’elemento
“curiosità” (19 su 34 risposte contro 1 su 11), mentre il “bisogno di verità”
è presente allo stesso modo (27/34 e 9/11); lo stesso per il “desiderio
di migliorare la vita” (9/34 e 3/11); la considerazione dell’aspetto sociale
compare solo nella risposta di un maschio. “che cosa
ti aspetti dalla scienza per il futuro?” -
necessità
di un vincolo etico a valori riferiti alla natura o alla
società e controllo sociale sulla scienza (13/45) -
timore
della perdita di controllo
sulle proprie scoperte e invenzioni, paura dell’ ‘apprendista
stregone’ (12/45) -
diffidenza
non nei confronti della ricerca scientifica, che è sempre buona, ma del suo cattivo
uso da parte di altri poteri (quello economico soprattutto) (13/45) -
fiducia
nel progresso
per migliorare la qualità della vita (29/45) -
sete
di conoscenza
come motore inarrestabile della ricerca (14/45) Anche il
“cattivo uso” compare di meno (9/35 contro 4/10) mentre decisamente più
frequente appare la “fiducia nel progresso” (27/35 contro 5/10), probabilmente
riferita soprattutto al rapporto medicina-cura. La scienza che emerge da queste
rappresentazioni mantiene le sue radici baconiane. La conoscenza scientifica nella sua
specificità è caratterizzata classicamente da accumulo di sapere,
osservazione, sperimentazione, uso di strumenti. È rigorosa e
insieme richiede immaginazione
e serendipity. La conoscenza scientifica ha
l’aspetto di una costruzione caratterizzata dalla complessità. Il senso di infinito progredire
della conoscenza dal punto di vista del soggetto a volte sconfina nella frustrazione.
E, in queste risposte, questa è una emergenza quantitativamente rilevante. Anche qui è presente
l’immagine dell’illuminazione, ma con un vissuto meno univocamente positivo,
più critico. La
conoscenza non è soltanto meraviglia, ma anche lavoro, fatica e difficoltà.
E anche questa è un emergenza significativa nel campione. Ma come viene prodotta la
conoscenza? Le immagini assumono spesso il quotidiano come riferimento. Ma la domanda precedente ha un
versante “sociologico”: la comunità scientifica è vista come una società
retta da dinamiche cooperative e competitive a volte copresenti
e interagenti. La percezione della società degli scienziati appare dunque
critica. Ci
pare significativo l’emergere di tre elementi. Il primo è il senso della difficoltà della conoscenza
scientifica e quindi un
vissuto anche di frustrazione, che è forse anche di esclusione da un mondo che proprio sulla disparità di conoscenza
fonda una propria chiusura. 2) GENEALOGIA “PROMETEO ... creature puerili a quei tempi. Io li formai:
riflessivi, sovrani del loro intelletto. Anche prima di me guardavano, ed era
cieco guardare; udivano suoni, e non era sentire; li vedevi, erano forme di
sogni, la vita un esistere lento, un impasto opaco senza disegno; non sapevano
case - trame di cotti mattoni - inondate di sole, né il mestiere del legno;
l'alloggio era un buco sotterra - come formiche sul filo del vento - nel seno
di grotte cieche di sole. Mancavano loro i fissi presagi del gelo che viene,
della primavera fragrante, fiorita, del tempo caldo dei frutti. Era tutto un
darsi da fare senza lume di mente. Finché io insegnai le aurore e i tramonti
nella volta stellata: un problema, saperli! Fu mia - e a loro bene - l'idea
del calcolo, primizia d'ingegno, e fu mio il sistema di segni tracciati, Memoria
del mondo, fertile madre di Muse. Io, inventai l'attacco di bestie selvatiche
al giogo, io le domavo sotto cinghie: dovevano essere loro gli eredi
dell'uomo nella fatica pesante, che stronca. Io trassi il cavallo alle
stanghe del carro, lo feci tutt'uno alle briglie: fregio stupendo del lusso
che spicca e trionfa. Fu mia, solo mia, la scoperta di un mezzo marino - vele
come ali - per la gente che corre le onde [...]Crescerà il tuo stupore,
udendo il racconto dei mezzi, delle strade maestre che la mia mente ha
tracciato. Senti ciò che conta di più: se l'uomo piombava infermo, nulla gli
faceva da scudo, né alimento, né pozione, né balsamo. Sempre più secco,
scavato: disperato bisogno di cure. Finché venni io a indicare gli amalgami,
i composti che alleviano, fanno barriera a qualunque malanno. Non basta: io
regolai le linee infinite dell'arte profetica. Io primo scelsi fra i sogni
quelli destinati a farsi mondo reale, io interpretai gli ambigui rumori e i
segni, in cui t'imbatti per strada. Fui io a definire con termini netti i
voli degli uccelli dall'artiglio falcato - quelli da destra che hanno in sé
forza propizia, e gli altri... che hanno il bene nel nome - e l'indole, le
schermaglie di guerra e d'amore, l'affollarsi d'ogni razza d'alati; poi il nitore
delle viscere, l'aspetto della bile a suscitare la grazia dei numi, la diversa
armonia benigna del fegato. Io misi al fuoco quarti fasciati di grasso e - intero
- il filo del dorso: così feci strada ai viventi, verso la chiusa scienza dei
segni, e diedi sguardo eloquente ai messaggi del fuoco, vitrei, un tempo,
appannati. Tutto qui in questo campo. Poi i beni che l'uomo si gode, sepolti
da sempre nel fondo, sotterra: bronzo e ferro, oro e argento. Avanti, chi può
dire di averli scovati prima di me? Nessuno, son certo. Altrimenti è parlare
borioso, da folle. Poche parole a dirti intero il concetto: fonte di tutte le
scienze ai viventi è Prometeo. CORO PROMETEO Prometeo
pronuncia queste parole incatenato per ordine di Zeus che lo punisce per aver
rivelato l’uso del fuoco agli uomini. Il mito di Prometeo come mito della
nascita della tecnica (“Una fonte, da trarne la scienza di molti mestieri.”)
e come rottura tra religione e scienza. La tecnica come essenza dell’uomo
La tesi di Umberto Galimberti in Psiche e techne. Gli animali si adattano
all’ambiente grazie ai loro istinti biologici. L’uomo è privato di questa risorsa
naturale e rimedia culturalmente con la tecnica ovvero con i
mezzi, le tecnologie, e la razionalità che presiede al loro impiego in termini
di funzionalità ed efficienza. Perciò la tecnica (azione) è l’essenza
dell’uomo. Fino a che la tecnica si
esercita dentro le mura della città, enclave artificiale all’interno della natura,
si può dire che l’uomo è soggetto e la tecnica è strumento a sua
disposizione. Ma poi l’uomo ha continuato a trasformare la natura,
adattandola a sé, fino a rovesciare il rapporto. Oggi, che è la natura ad essere
un enclave dentro le mura della città umana, la tecnica è diventata l’ambiente
dell’uomo. La rottura col divino La colpa di Prometeo è
quella di avere dato agli uomini la tecnica con cui possono ottenere da sé ciò
che una volta chiedevano agli dei. “L’uomo,
crescendo ad altezza titanica, si conquista da sé la propria civiltà,
costringendo gli dei ad allearsi con lui, perché nella sua propria saggezza
tiene in sua mano l’esistenza e i limiti di essa. La cosa più mirabile in
questa poesia su Prometeo, che secondo il suo pensiero fondamentale è il vero
proprio inno dell'empietà, è la profonda tendenza eschilea alla giustizia: lo
sconfinato dolore dell’ “individuo" temerario da una parte, e la miseria
divina, anzi il presentimento di un crepuscolo degli dei dall'altra. [...] Il
presupposto del mito di Prometeo è lo sconfinato valore che un'umanità ingenua
attribuisce al fuoco, come al vero palladio di ogni civiltà ascendente: ma
che l'uomo disponesse liberamente del fuoco e non lo ricevesse soltanto come
un regalo dal cielo, come folgore incendiaria o come vampa scottante del
sole, apparve a quei contemplativi uomini arcaici come un sacrilegio, come
una rapina ai danni della natura divina. E così il primo problema filosofico
pone subito una penosa e insolubile contraddizione fra uomo e dio, e la sospinge
come un macigno sulla soglia di ogni civiltà. La cosa migliore e più alta di
cui l'umanità possa diventare partecipe, essa la conquista come un crimine.”
( F. Nietzche, La nascita della tragedia). Questa trasformazione ha
il potere di cancellare il mondo mitico in cui è nata. Ma gli strumenti
all’inizio non sono ancora sufficienti: “La tecnica è di gran lunga più
debole della necessità.” (la norma della natura). La scienza come sapere La tecnica deriva
dall’esperienza, ma mette in gioco un sapere: “giudichiamo
coloro che posseggono la tecnica più sapienti di coloro che posseggono la
sola esperienza [...] e questo perché i primi sanno la causa” (Aristotele, Metafisica) Platone: fare qualcosa (téchne) presuppone la possibilità di poterlo fare
(dýnamis) e questa si dà solo per il sapere
(epistéme). Questo sapere è specifico di un oggetto ed è quindi caratterizzato
da differenze. Questo costituisce una rottura con l’indifferenziato, il
simbolico (syn-ballein = mettere insieme
ovvero non distinguere), in cui il significato oscilla e non è soggetto al principio di non
contraddizione, il mondo delle metamorfosi, il mondo del mito e della divinità,
del sacro (Nietzche) e poi dell’inconscio (Freud). La tecnica sostituisce
all’universalità della ragione cosmica un sistema di ragioni parziali (Platone)
che assumono come misura della competenza l’efficacia dell’intervento. Per la
ragione tecnica non è importante la natura dello strumento, la sua essenza,
ma la sua funzionalità che è decisa a partire dal criterio dell’efficacia. La verità non preesiste al sapere,
come credeva la visione mitica e religiosa, ma è prodotta dal sapere: “Gli uomini devono
cercare nei processi delle loro tecniche la luce che permetta loro di penetrare
nei segreti della natura” (Ippocrate) L’illuminismo non farà che
esplicitare la natura strumentale della ragione che viene dalla Grecia
classica (l’Organon di Arsitotele).
Da sempre la ragione è strumento di dominio perché consente all’uomo di
sottrarsi all’imprevedibile al simbolico, all’indifferenziato. Il mito spiega
e il rito prescrive azioni efficaci: con essi l’uomo già ha guadagnato, in
termini analogici, la garanzia della regolarità della natura. Sarà l’avvento
della ragione scientifica a evidenziare che le leggi, che si supponevano
iscritte nella natura, erano in realtà mezzi escogitati dalla mente umana per
dominarla: la ragione si svela come strumento di dominio, tecnica per il
calcolo dei rapporti mezzi-fini. Dal mito greco alla religione
giudaico-cristiana “Questo
cosmo, che è di fronte a noi e che è lo stesso per tutti, non lo fece nessuno
degli dei né degli uomini, ma fu sempre così, ed è, e sarà fuoco sempre
vivente, che divampa secondo misure e si spegne secondo misure” (Eraclito) il tempo
ciclico “In principio Dio creò
il cielo e la terra. La terra era un caos senza forma e vuota; le tenebre ricoprivano
l’abisso e sulle acque aleggiava lo spirito di Dio. Iddio disse: ‘sia la luce’ e la luce fu....” (Genesi 1,1-3)
il tempo
della storia Si dà storia solo in un
contesto religioso e non mitico, quando gli eventi vengono iscritti in un disegno che dà loro senso come adempimento di
quanto annunciato e non come ritorno ciclico dell’ordine immutabile. L’idea stessa di creazione
è negazione della autosufficienza della natura. L’atto originale la trae dal
nulla e un compimento di un progetto divino la salva dal nulla. L’atto di Dio separa e
definisce ponendo fine al caos alla mescolanza: differenziare. Dare nomi: conoscere
per dominare. La storia come tempo della volontà di Dio che affida all’uomo
il dominio del mondo. Il dolore e la morte non appartengono all’ordine della
natura, ma alla colpa del distacco da Dio. Dopo la caduta, la storia è
progetto di redenzione dalla colpa. É l’uomo e non l’ordine della natura a dare
senso al mondo. L’immortalità dell’uomo è la sua
destinazione ad un altro mondo con svalutazione di questo mondo. Il mondo non
è più il tutto, ma il negativo contrapposto al divino. I greci (come gli orientali) pensano
l’ordine storico-politico in funzione dell’ordine cosmico, i cristiani subordinano
la natura alla storia, cui è il sacro a fare da misura e a dare senso. Il senso storico
dell’occidente come progetto divino: passato come memoria della relazione con
Dio e futuro come escatologia. Bacone, assumendo come compito della
scienza il dominio sulla natura, pensa la sua riforma nel solco della
redenzione cristiana. Conoscenza non come svelamento dell’ordine del cosmo,
ma come esecuzione del precetto divino del dominio sulla natura, quindi come
etica. L’indagine scientifica come ricerca dell’impronta di Dio nelle cose. Questo richiede una natura non
vitalistica ma meccanica, in quanto assoggettabile al progetto dell’uomo. La
matematica come misura del controllo umano. Cartesio: la soggettività pensante
dell’uomo è ciò che lo rende simile a Dio. L’uomo è più vicino a Dio che alla
natura. E può ad un certo punto fare a meno di Dio. La dimensione
intellettualistica e volontaristica del pensiero cristiano ha preparato
l’ateismo moderno. La secolarizzazione
Lo sguardo matematico sulla natura
(misurare come dare nomi) era stato inaugurato dall’intelletto greco
classico, prendendo le distanze dal sacro (Pitagora). Ma per i greci la matematica
è l’ordine della natura e non l’ordine che l’uomo assegna alla natura. Sia per gli empiristi che per i
razionalisti moderni la matematica, fonte dei modelli quantitativi della natura,
è costruzione della mente umana. La relazione causale prima con Hume
e poi con Kant è costruzione soggettiva. Viene meno
la necessità della natura Criterio della scienza
diventa l’utilità delle ipotesi e quindi l’errore non nega la scienza, ma la alimenta
dall’interno. La verità non deriva da un
manifestarsi dell’ordine della natura, ma dal fare esperimenti con cui si costringe
la natura a rispondere alle interrogazioni umane (Bacone Kant). L’uomo diventa soggetto
e la natura oggetto della rappresentazione. Nasce la soggettività (umanesimo
moderno). Si conclude il percorso iniziato con Platone (la verità abbandona
l’essere per abitare l’idea che è rappresentazione cognitiva). La secolarizzazione inizia quando
l’uomo, grazie alla sua somiglianza con Dio, si fa garante di quella salvezza
che la religione giudaico-cristiana aveva posto come senso della storia
(colpa-redenzione). I suoi strumenti sono la conoscenza e il dominio. L’uomo imita Dio creando il mondo.
Grazie alla tecnica non ha più bisogno di Dio. Il futuro come tempo del riscatto.
Anche il progresso illuministico e la rivoluzione socialista si
pongono nell’ambito escatologico. La fine del fine Per il pensiero greco l’uomo non può
oltrepassare i limiti della natura, per quello cristiano ha i suoi limiti
come creatura, dopo la “morte di Dio” la tecnica non ha più limiti se non
quelli di fatto. Chi aziona l’apparato
tecnico o vi è semplicemente inserito, non si pone la domanda di senso sullo
scopo dell’apparato. Quando il positivo è iscritto per intero nell’esercizio
della potenzialità tecnica e il negativo è circoscritto all’errore tecnico
riparabile, la tecnica guadagna quel livello di autoreferenzialità che la
sottrae ad ogni condizionamento e la pone come assoluto. L’imperativo diventa
“si deve fare tutto ciò che si può fare”. Quando la tecnica aumenta
quantitativamente al punto da rendersi disponibile per la realizzazione di
qualsiasi fine allora muta qualitativamente lo scenario, perché non è più il
fine a condizionare la rappresentazione; la cresciuta disponibilità di mezzi
tecnici dispiega il ventaglio di qualsivoglia fine che per loro tramite può
essere raggiunto (discorso simile fa Marx per il denaro). L’etica come forma
dell’agire in vista di fini celebra la sua impotenza nel mondo della tecnica
regolato dal fare come pura produzione di risultati, dove gli effetti si addizionano
in modo tale che gli esiti finali non sono più riconducibili alle intenzioni
(Kant) degli agenti iniziali. Alla nascita della scienza
moderna Bacone iscrive la tecnica nel dominio sulla natura che cessa
di essere la dimora degli uomini. Ma oggi la tecnica mette in crisi la
sopravvivenza stessa della natura e questo pone un problema all’etica che si
è sempre occupata solo dei rapporti tra gli uomini. L’autonomia della tecnica crea una
situazione dove le possibilità di costruzione e distruzione si equivalgono.
Ciò fa vacillare la categoria della salvezza, della storia come
redenzione. Potenziata dalla religione, che
aveva preparato il terreno per iscrivere la tecnica in un progetto di salvezza,
la tecnica ha portato la religione al suo crepuscolo e, con la religione, la
storia. |