Da Prometeo a Frankestein

relazione di Marcello Sala

alla vacanza studio del Circolo Bateson Rieti agosto 2005

 

Perché oggi secolarizzazione e “rinascita religiosa” stanno insieme (astensioni al referendum)? Al di là delle strumentalizzazioni dei nuovi “atei clericali”, quale rappresentazione sociale sostiene questa contraddizione? Per provare a rispondere mi pare utile ricostruire quale immagine abbiamo della scienza e da dove nasce nella storia della nostra cultura il contrasto tra scienza e religione.

1) LE IMMAGINI DELLA SCIENZA

Interviste ad una cinquantina di insegnanti di vari ordini di scuola

“i tre scienziati più importanti nella storia della scienza”

La classifica vede in testa Galileo (19 citazioni su 39 interviste), Eistein (18), Newton (14), Darwin (10), Pasteur (7).

Componenti diverse che in parte si sovrappongono: la prima potrebbe essere definita come “gli emblemi della scienza” come Galileo, Einstein, Newton, Leonardo, Volta. Si tratta di figure presenti (“figurine” nell’album) della cultura di massa, indipendentemente dalla conoscenza del merito delle loro idee scientifiche (quelle di Einstein raccolgono solo due citazioni tra le “scoperte”; vedi avanti).

Parzialmente sovrapposta alla prima è la “scienza degli inventori” (Volta, Leonardo). Una seconda componente si potrebbe chiamare “scienza salvifica”, quella degli scopritori-inventori di rimedi per la salute (Pasteur, Koch, forse Levi-Montalcini). Infine c’è una “scienza in TV” di cui fanno parte personaggi resi noti dai media; di loro probabilmente si sa solo genericamente di che si occupano (Levi-Montalcini, Hack, Rubbia, Hawking

Tra gli/le insegnanti delle scuole medie (12 risposte su 39) troviamo una maggiore varietà di personaggi anche di minore notorietà (Mary Lion) a testimonianza di una formazione specifica. 

Le componenti sembrano le stesse  con un’importante aggiunta, quella della “scienza pura”: personaggi che, più che inventare tecnologie, con le loro scoperte hanno dato contributi teorici; alcuni abitano prevalentemente i libri di testo (Ohm, Ampére) altri testimoniano una cultura più sofisticata (Maxwell, Plank, Schrodinger).

Dal punto di vista disciplinare le scienze fisiche sovrastano decisamente quelle biologiche.

“tre scoperte fondamentali nella storia della scienza”

Tra gli/le insegnanti delle scuole elementari (8 su 40) la parola “scoperta” è stata largamente interpretata come “invenzione”: la componente prevalente è quella delle applicazioni della scienza al miglioramento della vita dell’uomo, in primo luogo della salute (vaccini, penicillina, cura di certe malattie); più che di scienza si dovrebbe parlare di tecnologia (macchina a vapore, lavatrice, ruota). Il fatto che l’idea del miglioramento della qualità della vita prevalga su considerazioni epistemologiche è dimostrato dalla presenza di invenzioni (ruota, scrittura) che non si possono attribuire alla scienza, almeno come la si intende nella modernità, ma alla cultura umana in generale.

La genericità della formulazione (che richiama la precedente “cura di certe malattie”) può essere letta come segno di un investimento di speranza per problematiche che toccano dolorosamente l’esperienza di vita delle persone, investimento che spiega un atteggiamento di sostanziale delega alla scienza della soluzione dei problemi.

Ciò che unifica queste “scoperte” non è una consapevolezza di che cosa è scienza ma un’idea di progresso che viene sovrapposta a, e forse identificata con, quella di scienza.

L’emergere di tematiche molto presenti nell’attualità (DNA, genoma, staminali) testimonia una maggiore attenzione al mondo della scienza con i suoi sviluppi, ma anche forse un condizionamento mediatico.

“che cos’è per te la scienza?"

-           scienza come curiosità, come spinta ad una conoscenza fine a se stessa, oppure riconducibile ad un bisogno adattativo di percepire la realtà all’interno di un ordine per poter interagire positivamente con essa, spinta comunque verso un’apertura continua (20/45)

-           scienza come specchio della natura, come bisogno di verità garantita da procedure di indagine rigorose che permettano di fare previsioni certe sulla realtà e quindi e di tenerla sotto controllo; nasce di qui la dimensione epistemologica (36/45)

-           scienza come desiderio di miglioramento della qualità della vita su cui si fonda l’idea di, e la fiducia nel, progresso e che dà impulso alla tecnologia (12/45 meno che in altre situazioni delle interviste. Noi riteniamo che questi risultati vadano messi in relazione alla formulazione della domanda: “che cos’è” la scienza e non “a che cosa serve”.)

-           scienza come istituzione sociale: una visione antropologica, storica, sociologica che si colloca ad un livello “meta-“ rispetto agli atteggiamenti precedenti (1/45)

Abbiamo provato a differenziare le risposte date dalle femmine e dai maschi: l’elemento significativo è che tra le prime è molto più frequente l’elemento “curiosità” (19 su 34 risposte contro 1 su 11), mentre il “bisogno di verità” è presente allo stesso modo (27/34 e 9/11); lo stesso per il “desiderio di migliorare la vita” (9/34 e 3/11); la considerazione dell’aspetto sociale compare solo nella risposta di un maschio.

“che cosa ti aspetti dalla scienza per il futuro?”

La domanda ci pare adatta a mettere il luce gli “investimenti”, che sono fortemente affettivi, anche se si basano su premesse cognitive, collocati in un contesto sociale.

-         necessità di un vincolo etico a valori riferiti alla natura o alla società e controllo sociale sulla scienza (13/45)

-         timore della perdita di controllo sulle proprie scoperte e invenzioni, paura dell’ ‘apprendista stregone’ (12/45)

-         diffidenza non nei confronti della ricerca scientifica, che è sempre buona, ma del suo cattivo uso da parte di altri poteri (quello economico soprattutto) (13/45)

-         fiducia nel progresso per migliorare la qualità della vita (29/45)

-         sete di conoscenza come motore inarrestabile della ricerca (14/45)

Abbiamo provato anche qui a differenziare tra risposte date dalle femmine e dai maschi: tra le prime compaiono meno frequentemente che tra i maschi quelle che abbiamo indicato come “necessità del vincolo etico” (9/35 contro 4/10) e come “sete di conoscenza” (9/35 contro 5/10).

Anche il “cattivo uso” compare di meno (9/35 contro 4/10) mentre decisamente più frequente appare la “fiducia nel progresso” (27/35 contro 5/10), probabilmente riferita soprattutto al rapporto medicina-cura.

Se confrontiamo le due situazioni legate alle due domande (percezione della scienza, o meglio del proprio rapporto con la scienza, e investimento affettivo-sociale) troviamo elementi di continuità come la fiducia nel progresso e il desiderio di conoscenza, ma l’evidenza che ci colpisce è l’emergere degli elementi della paura e, probabilmente legato ad esso, della responsabilità.

Nella seconda situazione si manifesta più chiaramente come paura un atteggiamento che, nella visione essenzialmente positiva della prima, è forse nascosto nel bisogno di controllo, e viene esplicitata una richiesta di responsabilità nella consapevolezza di un rapporto ineludibile tra scienza e società.

Potremmo azzardare che quando è in gioco il destino della società in cui investire le nostre speranze l’atteggiamento di fiducia nei confronti della scienza è meno incondizionato.

La metafora come indicatore della relazione soggetto-scienza

la richiesta di esprimere metafore mirava a far emergere aspetti “latenti” della relazione con l’oggetto scienza connotati emotivamente e affettivamente.

Queste nostre impressioni riguardano dunque la qualità della relazione tra il soggetto e la scienza da leggersi in chiave culturale e non psicologica.

fuori delle interviste, in situazioni probabilmente meno legate dalla presenza dell’intervistatore, con tutte le implicazioni che questa si porta dietro in termini di condizionamento delle risposte.

La scienza che emerge da queste rappresentazioni mantiene le sue radici baconiane.

La conoscenza scientifica nella sua specificità è caratterizzata classicamente da accumulo di sapere, osservazione, sperimentazione, uso di strumenti. È rigorosa e insieme richiede immaginazione  e serendipity.

La conoscenza scientifica ha l’aspetto di una costruzione caratterizzata dalla complessità.

Il senso di infinito progredire della conoscenza dal punto di vista del soggetto a volte sconfina nella frustrazione. E, in queste risposte, questa è una emergenza quantitativamente rilevante.

Anche qui è presente l’immagine dell’illuminazione, ma con un vissuto meno univocamente positivo, più critico.

La conoscenza non è soltanto meraviglia, ma anche lavoro, fatica e difficoltà. E anche questa è un emergenza significativa nel campione.

Ma come viene prodotta la conoscenza? Le immagini assumono spesso il quotidiano come riferimento.

Ma la domanda precedente ha un versante “sociologico”: la comunità scientifica è vista come una società retta da dinamiche cooperative e competitive a volte copresenti e interagenti. La percezione della società degli scienziati appare dunque critica.

Non manca anche qui l’espressione di una relazione positiva, a volte non motivata, che possiamo mettere in relazione alla fiducia nel progresso come capacità di migliorare la vita.

La fiducia a volte prende la forma di un affidamento, ma non mancano espressioni di diffidenza

Ci pare significativo l’emergere di tre elementi.

Il primo è il senso della difficoltà della conoscenza scientifica e quindi un vissuto anche di frustrazione, che è forse anche di esclusione da un mondo che proprio sulla disparità di conoscenza fonda una propria chiusura.

Il secondo elemento legato al primo è la consapevolezza dell’investimento di lavoro che comporta la conoscenza scientifica accanto agli aspetti gratificanti di scoperta e di meraviglia.

Il terzo è la considerazione degli aspetti di relazione tra scienza e società con la comparsa di aspetti di “sociologia della scienza” che erano minoritari altrove. E anche in questo caso si manifesta una criticità che è forse l’emergenza più significativa e per noi conclusiva

2) GENEALOGIA

 

PROMETEO

... creature puerili a quei tempi. Io li formai: riflessivi, sovrani del loro intelletto. Anche prima di me guardavano, ed era cieco guardare; udivano suoni, e non era sentire; li vedevi, erano forme di sogni, la vita un esistere lento, un impasto opaco senza disegno; non sapevano case - trame di cotti mattoni - inondate di sole, né il mestiere del legno; l'alloggio era un buco sotterra - come formiche sul filo del vento - nel seno di grotte cieche di sole. Mancavano loro i fissi presagi del gelo che viene, della primavera fragrante, fiorita, del tempo caldo dei frutti. Era tutto un darsi da fare senza lume di mente. Finché io insegnai le aurore e i tramonti nella volta stellata: un problema, saperli! Fu mia - e a loro bene - l'idea del calcolo, primizia d'ingegno, e fu mio il sistema di segni tracciati, Memoria del mondo, fertile madre di Muse. Io, inventai l'attacco di bestie selvatiche al giogo, io le domavo sotto cinghie: dovevano essere loro gli eredi dell'uomo nella fatica pesante, che stronca. Io trassi il cavallo alle stanghe del carro, lo feci tutt'uno alle briglie: fregio stupendo del lusso che spicca e trionfa. Fu mia, solo mia, la scoperta di un mezzo marino - vele come ali - per la gente che corre le onde [...]Crescerà il tuo stupore, udendo il racconto dei mezzi, delle strade maestre che la mia mente ha tracciato. Senti ciò che conta di più: se l'uomo piombava infermo, nulla gli faceva da scudo, né alimento, né pozione, né balsamo. Sempre più secco, scavato: disperato bisogno di cure. Finché venni io a indicare gli amalgami, i composti che alleviano, fanno barriera a qualunque malanno. Non basta: io regolai le linee infinite dell'arte profetica. Io primo scelsi fra i sogni quelli destinati a farsi mondo reale, io interpretai gli ambigui rumori e i segni, in cui t'imbatti per strada. Fui io a definire con termini netti i voli degli uccelli dall'artiglio falcato - quelli da destra che hanno in sé forza propizia, e gli altri... che hanno il bene nel nome - e l'indole, le schermaglie di guerra e d'amore, l'affollarsi d'ogni razza d'alati; poi il nitore delle viscere, l'aspetto della bile a suscitare la grazia dei numi, la diversa armonia benigna del fegato. Io misi al fuoco quarti fasciati di grasso e - intero - il filo del dorso: così feci strada ai viventi, verso la chiusa scienza dei segni, e diedi sguardo eloquente ai messaggi del fuoco, vitrei, un tempo, appannati. Tutto qui in questo campo. Poi i beni che l'uomo si gode, sepolti da sempre nel fondo, sotterra: bronzo e ferro, oro e argento. Avanti, chi può dire di averli scovati prima di me? Nessuno, son certo. Altrimenti è parlare borioso, da folle. Poche parole a dirti intero il concetto: fonte di tutte le scienze ai viventi è Prometeo.

CORO
Tu non ostinarti a far ricchi i viventi. Non è più il caso se per questo abbandoni te stesso al destino sinistro. Io sono piena di fede, ti dico: libero da questi tuoi nodi avrai forza non meno di Zeus. sinistro. Io sono piena di fede, ti dico: libero da questi tuoi nodi avrai forza non meno di Zeus.

PROMETEO
La Quota Fatale decide la fine: per lei non è ancora destino che sia questa la mia realtà. Folla di spasimi e strazi, fino a lasciarmi infranto: solo dopo sfuggo ai miei nodi. La tecnica è di gran lunga più debole della necessità.”

Prometeo pronuncia queste parole incatenato per ordine di Zeus che lo punisce per aver rivelato l’uso del fuoco agli uomini.

Il mito di Prometeo come mito della nascita della tecnica (“Una fonte, da trarne la scienza di molti mestieri.”) e come rottura tra religione e scienza.

La tecnica come essenza dell’uomo

La tesi di Umberto Galimberti in Psiche e techne.

Gli animali si adattano all’ambiente grazie ai loro istinti biologici. L’uomo è privato di questa risorsa naturale e rimedia culturalmente con la tecnica ovvero con i mezzi, le tecnologie, e la razionalità che presiede al loro impiego in termini di funzionalità ed efficienza. Perciò la tecnica (azione) è l’essenza dell’uomo.

Fino a che la tecnica si esercita dentro le mura della città, enclave artificiale all’interno della natura, si può dire che l’uomo è soggetto e la tecnica è strumento a sua disposizione. Ma poi l’uomo ha continuato a trasformare la natura, adattandola a sé, fino a rovesciare il rapporto. Oggi, che è la natura ad essere un enclave dentro le mura della città umana, la tecnica è diventata l’ambiente dell’uomo.

La rottura col divino

La colpa di Prometeo è quella di avere dato agli uomini la tecnica con cui possono ottenere da sé ciò che una volta chiedevano agli dei.

“L’uomo, crescendo ad altezza titanica, si conquista da sé la propria civiltà, costringendo gli dei ad allearsi con lui, perché nella sua propria saggezza tiene in sua mano l’esistenza e i limiti di essa. La cosa più mirabile in questa poesia su Prometeo, che secondo il suo pensiero fondamentale è il vero proprio inno dell'empietà, è la profonda tendenza eschilea alla giustizia: lo sconfinato dolore dell’ “individuo" temerario da una parte, e la miseria divina, anzi il presentimento di un crepuscolo degli dei dall'altra. [...] Il presupposto del mito di Prometeo è lo sconfinato valore che un'umanità ingenua attribuisce al fuoco, come al vero palladio di ogni civiltà ascendente: ma che l'uomo disponesse liberamente del fuoco e non lo ricevesse soltanto come un regalo dal cielo, come folgore incendiaria o come vampa scottante del sole, apparve a quei contemplativi uomini arcaici come un sacrilegio, come una rapina ai danni della natura divina. E così il primo problema filosofico pone subito una penosa e insolubile contraddizione fra uomo e dio, e la sospinge come un macigno sulla soglia di ogni civiltà. La cosa migliore e più alta di cui l'umanità possa diventare partecipe, essa la conquista come un crimine.” ( F. Nietzche, La nascita della tragedia).

Questa trasformazione ha il potere di cancellare il mondo mitico in cui è nata. Ma gli strumenti all’inizio non sono ancora sufficienti: “La tecnica è di gran lunga più debole della necessità.” (la norma della natura).

La scienza come sapere

La tecnica deriva dall’esperienza, ma mette in gioco un sapere:

“giudichiamo coloro che posseggono la tecnica più sapienti di coloro che posseggono la sola esperienza [...] e questo perché i primi sanno la causa” (Aristotele, Metafisica)

Platone: fare qualcosa (téchne) presuppone la possibilità di poterlo fare (dýnamis) e questa si dà solo per il sapere (epistéme). Questo sapere è specifico di un oggetto ed è quindi caratterizzato da differenze. Questo costituisce una rottura con l’indifferenziato, il simbolico (syn-ballein = mettere insieme ovvero non distinguere), in cui il significato oscilla  e non è soggetto al principio di non contraddizione, il mondo delle metamorfosi, il mondo del mito e della divinità, del sacro (Nietzche) e poi dell’inconscio (Freud).

La tecnica sostituisce all’universalità della ragione cosmica un sistema di ragioni parziali (Platone) che assumono come misura della competenza l’efficacia dell’intervento. Per la ragione tecnica non è importante la natura dello strumento, la sua essenza, ma la sua funzionalità che è decisa a partire dal criterio dell’efficacia.

La verità non preesiste al sapere, come credeva la visione mitica e religiosa, ma è prodotta dal sapere:

“Gli uomini devono cercare nei processi delle loro tecniche la luce che permetta loro di penetrare nei segreti della natura” (Ippocrate)

L’illuminismo non farà che esplicitare la natura strumentale della ragione che viene dalla Grecia classica (l’Organon di Arsitotele). Da sempre la ragione è strumento di dominio perché consente all’uomo di sottrarsi all’imprevedibile al simbolico, all’indifferenziato. Il mito spiega e il rito prescrive azioni efficaci: con essi l’uomo già ha guadagnato, in termini analogici, la garanzia della regolarità della natura. Sarà l’avvento della ragione scientifica a evidenziare che le leggi, che si supponevano iscritte nella natura, erano in realtà mezzi escogitati dalla mente umana per dominarla: la ragione si svela come strumento di dominio, tecnica per il calcolo dei rapporti mezzi-fini.

Dal mito greco alla religione giudaico-cristiana

“Questo cosmo, che è di fronte a noi e che è lo stesso per tutti, non lo fece nessuno degli dei né degli uomini, ma fu sempre così, ed è, e sarà fuoco sempre vivente, che divampa secondo misure e si spegne secondo misure”  (Eraclito)

il tempo ciclico

“In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era un caos senza forma e vuota; le tenebre ricoprivano l’abisso e sulle acque aleggiava lo spirito di Dio. Iddio disse: ‘sia la luce’ e la luce fu....” (Genesi 1,1-3)

il tempo della storia

Si dà storia solo in un contesto religioso e non mitico, quando gli eventi vengono iscritti in un disegno  che dà loro senso come adempimento di quanto annunciato e non come ritorno ciclico dell’ordine immutabile.

L’idea stessa di creazione è negazione della autosufficienza della natura. L’atto originale la trae dal nulla e un compimento di un progetto divino la salva dal nulla.

L’atto di Dio separa e definisce ponendo fine al caos alla mescolanza: differenziare. Dare nomi: conoscere per dominare. La storia come tempo della volontà di Dio che affida all’uomo il dominio del mondo. Il dolore e la morte non appartengono all’ordine della natura, ma alla colpa del distacco da Dio. Dopo la caduta, la storia è progetto di redenzione dalla colpa. É l’uomo e non l’ordine della natura a dare senso al mondo.

L’immortalità dell’uomo è la sua destinazione ad un altro mondo con svalutazione di questo mondo. Il mondo non è più il tutto, ma il negativo contrapposto al divino.

I greci (come gli orientali) pensano l’ordine storico-politico in funzione dell’ordine cosmico, i cristiani subordinano la natura alla storia, cui è il sacro a fare da misura e a dare senso.

Il senso storico dell’occidente come progetto divino: passato come memoria della relazione con Dio e futuro come escatologia.

Bacone, assumendo come compito della scienza il dominio sulla natura, pensa la sua riforma nel solco della redenzione cristiana. Conoscenza non come svelamento dell’ordine del cosmo, ma come esecuzione del precetto divino del dominio sulla natura, quindi come etica. L’indagine scientifica come ricerca dell’impronta di Dio nelle cose.

Questo richiede una natura non vitalistica ma meccanica, in quanto assoggettabile al progetto dell’uomo. La matematica come misura del controllo umano.

Cartesio: la soggettività pensante dell’uomo è ciò che lo rende simile a Dio. L’uomo è più vicino a Dio che alla natura. E può ad un certo punto fare a meno di Dio. La dimensione intellettualistica e volontaristica del pensiero cristiano ha preparato l’ateismo moderno.

La secolarizzazione

Lo sguardo matematico sulla natura (misurare come dare nomi) era stato inaugurato dall’intelletto greco classico, prendendo le distanze dal sacro (Pitagora). Ma per i greci la matematica è l’ordine della natura e non l’ordine che l’uomo assegna alla natura.

Sia per gli empiristi che per i razionalisti moderni la matematica, fonte dei modelli quantitativi della natura, è costruzione della mente umana.

La relazione causale prima con Hume e poi con Kant è costruzione soggettiva. Viene meno la necessità della natura

Criterio della scienza diventa l’utilità delle ipotesi e quindi l’errore non nega la scienza, ma la alimenta dall’interno.

La verità non deriva da un manifestarsi dell’ordine della natura, ma dal fare esperimenti con cui si costringe la natura a rispondere alle interrogazioni umane (Bacone Kant).

L’uomo diventa soggetto e la natura oggetto della rappresentazione. Nasce la soggettività (umanesimo moderno). Si conclude il percorso iniziato con Platone (la verità abbandona l’essere per abitare l’idea che è rappresentazione cognitiva).

La secolarizzazione inizia quando l’uomo, grazie alla sua somiglianza con Dio, si fa garante di quella salvezza che la religione giudaico-cristiana aveva posto come senso della storia (colpa-redenzione). I suoi strumenti sono la conoscenza e il dominio.

L’uomo imita Dio creando il mondo. Grazie alla tecnica non ha più bisogno di Dio.

Il futuro come tempo del riscatto. Anche il progresso illuministico e la rivoluzione socialista si pongono nell’ambito escatologico.

La fine del fine

Per il pensiero greco l’uomo non può oltrepassare i limiti della natura, per quello cristiano ha i suoi limiti come creatura, dopo la “morte di Dio” la tecnica non ha più limiti se non quelli di fatto.

Chi aziona l’apparato tecnico o vi è semplicemente inserito, non si pone la domanda di senso sullo scopo dell’apparato. Quando il positivo è iscritto per intero nell’esercizio della potenzialità tecnica e il negativo è circoscritto all’errore tecnico riparabile, la tecnica guadagna quel livello di autoreferenzialità che la sottrae ad ogni condizionamento e la pone come assoluto. L’imperativo diventa “si deve fare tutto ciò che si può fare”.

Quando la tecnica aumenta quantitativamente al punto da rendersi disponibile per la realizzazione di qualsiasi fine allora muta qualitativamente lo scenario, perché non è più il fine a condizionare la rappresentazione; la cresciuta disponibilità di mezzi tecnici dispiega il ventaglio di qualsivoglia fine che per loro tramite può essere raggiunto (discorso simile fa Marx per il denaro).

L’etica come forma dell’agire in vista di fini celebra la sua impotenza nel mondo della tecnica regolato dal fare come pura produzione di risultati, dove gli effetti si addizionano in modo tale che gli esiti finali non sono più riconducibili alle intenzioni (Kant) degli agenti iniziali.

Alla nascita della scienza moderna Bacone iscrive la tecnica nel dominio sulla natura che cessa di essere la dimora degli uomini. Ma oggi la tecnica mette in crisi la sopravvivenza stessa della natura e questo pone un problema all’etica che si è sempre occupata solo dei rapporti tra gli uomini.

L’autonomia della tecnica crea una situazione dove le possibilità di costruzione e distruzione si equivalgono. Ciò fa vacillare la categoria della salvezza, della storia come redenzione.

Potenziata dalla religione, che aveva preparato il terreno per iscrivere la tecnica in un progetto di salvezza, la tecnica ha portato la religione al suo crepuscolo e, con la religione, la storia.