Marcello Sala

presentazione di

 

Il testo libero di matematica

Un modo creativo di insegnare/imparare la matematica

di Paul Le Bohec (La Nuova Italia 1995)

 

Leggendo questo libro, più di una volta ho ritrovato la commozione che provai durante i seminari con Paul Le Bohec. E mi chiedo perché "commozione".

Scrivevo allora: "Paul Le Bohec è una di quelle persone che sconvolgono perché in loro e nel loro lavoro, che ci si apre davanti in tutta la quotidianità di una realtà riconoscibile, è presente qualcosa di più grande, che chiama irresistibilmente ciò che di grande, di importante c'è anche in noi. E quando questo qualcosa, impaurito o disconosciuto, dimenticato o schiacciato, emerge alla coscienza, si rimane commossi e sconvolti."

Oggi forse parlerei dei "momenti di verità" che la "maestria" di Paul sa aprire ("Io non pretendo di portare un sapere, io cerco di mettere la gente in crisi"), momenti in cui si ha come l'intuizione diretta dei nodi di senso del nostro essere educatori.

Se il libro suscita risonanze forti in noi è anche perché la vicenda umana e professionale di Paul è intrecciata con quella del Movimento di Cooperazione Educativa italiano. La sintonia non nasce soltanto dalle radici (con Celestine ed Elise Freinet Paul ha collaborato personalmente) ma da un lavoro di scambio e di formazione che ha radicato la presenza di Paul nel Movimento italiano, grazie ai seminari che ha svolto in decine di città. E allora vorrei ritrovare qui anche alcuni fili di questo intreccio.

Il titolo che Paul dà ai suoi seminari, "Il comportamento dell’essere umano nell’apprendimento", mi era sembrato un titolo freddo, quasi accademico, per una esperienza così calda. Mi ero lasciato colpire dai termini e non avevo colto la globalità della frase che sottolinea le relazioni, prendendo le distanze da un approccio psicologico che studi l'essere umano "in sé" e da un approccio cognitivista che studi l'apprendimento "in sé". Il contesto, il luogo dove i processi si dispiegano è l'esperienza viva. Dall’esperienza Paul ricava le sue osservazioni, le sue proposte, senza mai astrarne. Dopo la lettura di questo libro gli proporrei soltanto di sostituire "comportamento" con "vita".

Quella del libro è una proposta, nel senso evidente che chiunque "pubblica" qualcosa ha il desiderio di provocare cambiamenti anche fuori di sé, ma è anche una testimonianza di una pratica consolidata. Una pratica che può prendere l'avvio nell’ambito della formazione degli insegnanti, ma che è radicata in una rete di esperienze nelle scuole, come testimoniano gli interventi riportati nel libro. Ma prima di tutto è radicata nella vita di Paul e di sua moglie Jeannette, maestri di scuola elementare. Non bisogna mai dimenticare questa qualità di praticien che Paul rivendica, al di là delle sue esperienze di insegnamento universitario.

Se eccezionale può essere considerata la personalità di Paul e la sua vicenda umana di educatore, non si può attribuire alla sua proposta un carattere di eccezionalità nel senso della decontestualizzazione: il contesto è la scuola di tutti. In questo senso niente di più estraneo ad uno sperimentalismo di matrice accademica o di carattere elitario: siamo invece nell'alveo della "pedagogia popolare" dei Movimenti Freinet, di una formazione democratica che nasce dai bisogni educativi dei bambini appartenenti a strati sociali meno favoriti o collocati in condizioni personali più disagiate e si rivolge a tutti. Se la proposta ci appare eccezionale vuol dire che noi ci stiamo pericolosamente adattando ad una norma di basso profilo. E l'accondiscendere può essere una tappa verso il lasciarsi assimilare.

Ma se la proposta ci colpisce vuol anche dire che siamo ancora sensibili alla qualità. Ciò che forse Paul ci chiede è di fare il passo dalla sensibilità alla reattività. La qualità è possibile; ma non ci sono scorciatoie. Sarebbe un errore cercare la "trasferibilità" l’applicabilità", non perché la proposta non sia trasferibile o applicabile, ma perché nessuno può esimersi dall’esperienza e ogni esperienza è personale. Se Paul Le Bohec nel suo libro parla dei suoi bambini, delle sue classi e dei suoi amici è perché vuole restare sempre in relazione con l'esperienza. A noi tocca comunque il compito di ri-contestualizzare ciò che l'esperienza di Paul ci dice e che lui ci aiuta a comprendere.

Ecco perché il libro parte dai seminari con gli adulti, dal loro coinvolgimento come persone prima che come insegnanti, dal loro rapporto con la matematica e non da quello dei loro alunni (come se il loro non ci fosse o non importasse). È questa l'idea che sta alla base del "laboratorio a livello adulto" che il MCE pratica da quasi vent'anni e che caratterizza in modo originale la sua dimensione formativa e autoformativa.

E c'è un altro atteggiamento, fortemente presente nel libro, in cui noi del MCE ci riconosciamo, sull’asse teoria-pratica. L'immagine del praticien proposta da Freinet non deve ingannare nella sua assonanza con l'italiano "praticone": il praticien è l'educatore ricercatore che non delega ad esperti accademici la responsabilità della teoria (esperto è colui che ha fatto esperienza). Anzi Paul Le Bohec esorta i praticien a teorizzare la loro pratica se vogliono cambiare qualcosa nella pedagogia. Ma la teoria non è mai un quadro che nasce altrove e viene assunto così com'è o, peggio, applicato forzando nei suoi schemi la realtà della relazione educativa e del suo contesto.

Nella costruzione di una teoria del proprio lavoro il praticien cerca assonanze e sfondi, che possano non tanto interpretare, quanto piuttosto far germogliare nuove idee, aprire nuove possibilità di approccio. Questo è il senso dei riferimenti culturali che Paul Le Bohec propone. Interessante soprattutto quello alla "complessità" e in particolare alla ricerca di Edgar Morin sulla conoscenza, dove complessità significa multidimensionalità della conoscenza, impossibilità di un ordine lineare, soggettività come dimensione costitutiva (biologica).

Da questa sponda culturale viene anche la valorizzazione del "caso" come elemento fondamentale nell’evoluzione: non solo nel senso che (nella direzione del futuro) il caso assume significato nell’ambito di un'evoluzione, ma anche (nella direzione del passato) che "nulla è mai per caso".

La proposta di Paul Le Bohec è quella del "metodo naturale". In coerenza con l'esigenza di globalità il punto di partenza deve essere tale da mettere in gioco tutto l'essere umano (compresa quella forza misteriosa che è l'estetica). Ed ecco allora qualcosa che nell’ambito della matematica corrisponde al "testo libero"; ciò che Paul chiede è di fare una "creazione matematica": "a partire da cifre, da numeri, da punti, da lettere, componete una cosa qualsiasi".

Le regole con cui ogni persona costruisce le proprie creazioni sono consapevoli e inconsapevoli. Sicuramente in una situazione completamente destrutturata la memoria, l'affettività, le strutture profonde della personalità hanno modo di agire. È una direzione di ricerca questa sul rapporto tra matematica e inconscio che è stata sviluppata anche nel gruppo romano del MCE a cavallo degli anni 70-80, e che ha sicuramente lasciato tracce nella formazione professionale di molti, anche se non ha avuto la forza di diventare visibile come "tecnica educativa".

Le creazioni matematiche, di cui il libro ci mostra moltissimi esempi, sono provocazioni alla riflessione. Si tratta di ricostruire il significato della creazione, di costruirne collettivamente il senso. Ma c’è anche il gioco del "e se..." che apre a infinite possibilità, a nuove scoperte.

Ma l'idea di utilizzare anche nella matematica il metodo naturale di Freinet, già sperimentato nell’espressione scritta, nella lingua orale, nel canto, nell’educazione corporea ed espressiva, può apparire sorprendente: che cosa c'è di "naturale" nella matematica? Risponde Le Bohec che vi è una tendenza dell’uomo a trovare strutture che permettano di dominare il caos con il pensiero, e la matematica è appunto il momento della strutturazione.

In questo egli va oltre Freinet, in un certo senso apre in una direzione opposta. Il "calcolo vivente" di Freinet cercava di trovare nella quotidianità situazioni che forniscano materiali per il calcolo. Le Bohec scopre nell’anteriorità dell’astrazione, nel lavoro sul modello prima dell’applicazione, un'altra possibilità di ricerca: non solo la matematizzazione del reale, ma il gioco matematico come fonte di scoperta.

In questo, per Paul, sta la sua personale "rivoluzione copernicana", perché nel calcolo vivente le strutture matematiche sono quelle che stanno prima di tutto nella mente del maestro; nelle creazioni libere sono i bambini a proporre le loro strutture come punto di partenza.

Non bisogna dimenticare che, nella matematizzazione, l’“astrazione" è un processo, non tanto un prodotto, e come tale si sviluppa nell’esperienza personale. E questo carattere personale  del percorso dà l'impronta alla qualità matematica della scoperta e dell’invenzione. Negli interventi dei bambini, come degli adulti, emerge la capacità di mettere in luce strutture diverse, di cui Paul coglie il legame organico con le caratteristiche del personaggio

Nelle biografie degli ex alunni che ci presenta si vede dispiegato questo rapporto tra la matematica come via personale alla strutturazione del mondo e la storia dell’individuo. Non "la matematica nell’apprendimento" o "l'apprendimento della matematica" dunque, ma "l’apprendimento della matematica nelle storie di esseri umani".

Se la soggettività, intesa nella globalità dell’essere umano, è elemento imprescindibile della conoscenza, perché non si dà conoscenza senza esperienza e non si dà esperienza senza un soggetto che la vive, l'intersoggettività è il luogo della costruzione dei significati.

In un filone pedagogico che ha visto l'MCE sottolineare con forza la dimensione della cooperazione, non solo come comunità di lavoro degli adulti, ma anche dei bambini nella classe, Paul Le Bohec colloca nel gruppo il processo di crescita che parte dalle creazioni per approdare a strutture che generano nuove creazioni in un'elica di sviluppo.

Forse nel gruppo di adulti si accentua di più la interpretazione, mentre nei bambini è essenziale l'interazione che fornisce l'energia al processo. È il confronto con il gruppo che apre nuove prospettive di interpretazione, nuove possibilità di senso, al di là delle abitudini e delle idiosincrasie individuali. Questo perché diverse addirittura sono le strutture percettive di ognuno.

Il gruppo è luogo di crescita, luogo di un' ecologia della comunicazione, forse luogo terapeutico. Il gruppo è luogo di accoglienza ma anche di prova, il luogo dove ci si scontra con la difficoltà di entrare nel pensiero di altri attraverso il linguaggio. La creazione matematica è allora il mediatore tra pensieri e linguaggi diversi che cercano una comunicazione e una simbolizzazione comune. È quando si spiega ad altri che si capisce; e una discussione, una "disputa", protetta da un contesto affettivo, può essere strumento di crescita.

In tutto questo il maestro sparisce? Ciò che sparisce è l’"ossessione cognitiva diretta" del maestro, la sua pretesa di "insegnare" cioè di imprimere nei bambini dal di fuori le strutture della matematica. Il maestro modifica profondamente il suo ruolo, il senso della sua presenza.

Se ci può essere un insidia nell’accettare la proposta di Paul Le Bohec è quella di farsi sedurre dalla sua geniale semplicità e centrare la propria attenzione sul "metodo", sulle modalità, sulla successione delle tappe, sulle giustificazioni teoriche; e dimenticare ancora una volta le relazioni tra gli esseri umani nell’apprendimento. Ciò che Paul continuamente ripropone come compito del maestro è creare le condizioni, organizzare le circostanze.

Il processo che si sviluppa a partire dalle creazioni deve essere gestito, protetto, coltivato. C'è un problema di tempi, di ritmi, di accoglienza, di dinamiche relazionali, di caratteri personali, di identità di sesso.

Il maestro è il garante della sospensione del giudizio che può liberare le energie, è il "catalizzatore" dei processi, il regista che fa agire. La sua attitudine fondamentale è l'ascolto, come accettazione della imprevedibilità, come disposizione a non chiudere possibilità. Ritroviamo in Paul pienamente dispiegata quella "pedagogia dell’ascolto" che fa del MCE una voce originale nel panorama delle pedagogie della programmazione in cui il processo di crescita è invece totalmente eterodiretto.

L'abbandono di un programma predeterminato, rigido e lineare, non significa sottrarsi alla responsabilità di una consapevolezza più ampia, significa invece valorizzare la strategia, che poggia sull’essere presenti "qui e ora" con le migliori qualità culturali e professionali. Allora, se il silenzio è fondamentale nel maestro, egli è anche colui che "fornisce il vocabolario", là dove mancano le parole per consolidare la dimensione collettiva di una scoperta.

La competenza psicologica che Paul pratica diventa allora una componente fondamentale della professionalità, ma si parla d'altro che di studi di psicologia, perché il riferimento è sempre "il comportamento dell'essere umano nell'apprendimento". Dunque non una interpretazione da applicare all’esperienza, che la forza dentro schemi precostituiti, ma la pratica del leggere, con acutezza partecipante, nello sfondo le figure delle relazioni che di volta in volta costituiscono la chiave della situazione. Non c'è psicologia per il maestro senza attenzione alla storia del bambino e dei suoi rapporti con lui.

La storia del maestro è intrecciata con quella dei bambini, in un percorso di co-formazione, perché l'adulto ha bisogno continuamente di perfezionare il suo atteggiamento in relazione con i bambini: non ci sono ricette o acquisizioni di metodo, ma una strategia che si dispiega nell’esperienza.

Anche, e soprattutto, nell’apprendimento della matematica, la crescita del maestro è necessaria e difficile, perché più dei bambini ha alle spalle un percorso che ha soffocato in lui la creatività e la capacità di conoscere.

E poi c'è la cooperazione tra adulti, tra educatori, che è la rete di sostegno non solo della sperimentazione, ma della possibilità di un rinnovamento pedagogico: la cooperazione è la ragione stessa di esistere del MCE, quella che ci ha permesso di conoscere Paul e Jeannette Le Bohec e di poter accogliere il loro lavoro come seme che cade in terra fertile, come riferimento con cui confrontarsi, come scambio nutritivo.

L'aspetto che può sembrare più sorprendente nella proposta del "metodo naturale" del "testo libero di matematica" è la sua produttività.

È la preoccupazione dell’accumulo all’interno di una cultura che non riconosce la complessità che può impedirci di accorgerci dell’enorme spreco che si provoca nel non consentire percorsi personali; si pensi soltanto a quanto la memoria, pilastro della conoscenza scolastica, è soggettiva e affettiva.

Ciò che si chiede all’adulto è di non condizionare lo sviluppo dei bambini alle proprie paure, che derivano da una chiusura culturale. Il lavoro di Paul ci dimostra che ci sono sempre verifiche per strade diverse, purché si abbia capacità di ascolto.

La produttività del vagabondare non è un paradosso in una visione dello sviluppo della conoscenza inserito organicamente nell’evoluzione biologica. È necessario "deviare" per scoprire il ruolo essenziale dell’"errore" nell’evoluzione: è nella non esattezza della riproduzione che sta la possibilità di adattamento delle forme di vita e di comparsa di nuove forme.

In questo contesto il riferimento ad un "programma" è ribaltato: non più garanzia che la società chiede rispetto alla trasmissione culturale, ma garanzia ai bambini di non limitarne le conoscenze.

E in questo contesto l'accettazione del diverso non è giustificata da precetti morali, anche a scapito della produttività, ma si basa sulla constatazione a posteriori dell’efficacia, rispetto allo sviluppo della conoscenza, di una interazione in cui la diversità è elemento imprescindibile.